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L.P. e altri","altre_parti":"ASMEL, E. G., M. D. A., V. S. ed altro, Procuratore Generale presso la Corte dei conti, Lo Polito Domenico","testo_atto":"N. 62 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 febbraio 2025\n\r\nOrdinanza  del  10  febbraio  2025  della  Corte  dei  conti  sezione\ngiurisdizionale per la Regione Calabria sul ricorso  proposto  da  D.\nL.P. e altri. \n \nResponsabilita\u0027 amministrativa  e  contabile  -  Comuni,  province  e\n  citta\u0027 metropolitane - Dichiarazione di dissesto - Conseguenze  per\n  gli amministratori che sono  stati  riconosciuti,  anche  in  primo\n  grado, responsabili di aver  contribuito  con  condotte,  dolose  o\n  gravemente colpose,  al  verificarsi  del  dissesto  finanziario  -\n  Sanzioni interdittive - Divieto di ricoprire,  per  un  periodo  di\n  dieci anni, incarichi di assessore, di revisore dei conti  di  enti\n  locali e di  rappresentante  di  enti  locali  presso  altri  enti,\n  istituzioni ed organismi pubblici e privati - Incandidabilita\u0027, per\n  un periodo di dieci anni, per i sindaci e i presidenti di provincia\n  ritenuti responsabili per la medesima fattispecie, alle cariche  di\n  sindaco, di  presidente  di  provincia,  di  presidente  di  Giunta\n  regionale, nonche\u0027 di membro dei consigli  comunali,  dei  consigli\n  provinciali,  delle  assemblee  e  dei  consigli   regionali,   del\n  Parlamento e del Parlamento europeo. \n- Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi\n  sull\u0027ordinamento degli enti locali), art. 248, comma 5. \n\n\r\n(GU n. 16 del 16-04-2025)\n\r\n \n                         LA CORTE DEI CONTI \n           Sezione giurisdizionale per la Regione Calabria \n \n    Composta dai seguenti magistrati: \n        Carlo Efisio Marre\u0027 Brunenghi - Presidente f.f.; \n        Sabrina Facciorusso - Giudice; \n        Guido Tarantelli - Giudice relatore; \n \n                              Ordinanza \n \n    Nel ricorso in opposizione ex art. 135 c.g.c. relativo a giudizio\nsanzionatorio iscritto  al  n.  23983  del  registro  di  Segreteria,\npromosso da: \n        D. L. P., nato a    il    e ivi residente   ; \n        A. V., nato a    il    e ivi residente (    ); \n        G. R., nato a    il    e ivi residente (    ); \n        P. P., nato a    il    e ivi residente (    ), \n    tutti rappresentati e difesi, come da procura alle liti in  atti,\ndall\u0027avv. Gaetano Callipo (CLLGTN64R11E041M) del foro di  Palmi,  con\ndomicilio  digitale  eletto  all\u0027indirizzo   di   posta   elettronica\ncertificata gaetano.callipo@pec.it - ricorrenti \n    contro: \n        Procura presso la  Sezione  giurisdizionale  per  la  Regione\nCalabria       della       Corte        dei        conti,        PEC:\ncalabria.procura@corteconticert.it - resistente \n    esaminati gli atti e i documenti di causa; \n    nella pubblica udienza del 31 ottobre 2024,  data  per  letta  la\nrelazione sul consenso delle parti e udito per il  ricorrente  l\u0027Avv.\nGaetano Callipo, e per la Procura resistente il V.P.G. dott. Giovanni\nDi Pietro, i quali concludevano come da verbale di udienza. \n \n                                Fatto \n \n    1. Con ricorso del  28  maggio  2024,  la  Procura  regionale  ha\nchiesto l\u0027emissione di un decreto per l\u0027applicazione  delle  sanzioni\npreviste dall\u0027art. 248, comma 5, del decreto  legislativo  18  agosto\n2000,  n.  267  (di  seguito  TUEL)  -  e,  dunque,  ferma   restando\nl\u0027applicazione  delle  misure  interdittive  afferenti  allo  status,\nl\u0027irrogazione di una  sanzione  pecuniaria  pari  a  dieci  volte  la\nretribuzione mensile lorda dovuta al momento della commissione  della\nviolazione - nei confronti dei signori L. P. D. (per euro    ), D. F.\n(per euro    ), V. A. (per euro    ), R. G. (per  euro     ),  P.  P.\n(per euro    ) e S. M. (per euro    ), nella qualita\u0027  di  componenti\ndella Giunta comunale di    , i quali, dopo l\u0027approvazione del  piano\ndi riequilibrio, non avrebbero posto in essere in modo  effettivo  le\nmisure e gli  interventi  necessari  per  realizzare  il  risanamento\ndell\u0027ente  e,  come  accertato  dalla  sezione  di  Controllo   nella\ndeliberazione  n.  24  del  6  marzo  2019,  avrebbero  aggravato  la\nsituazione economico finanziaria dell\u0027ente, perche\u0027  responsabili  di\navere contribuito, con le proprie  condotte  gravemente  colpose,  al\nverificarsi del dissesto finanziario dell\u0027ente locale, poi deliberato\ndal consiglio comunale. \n    La  domanda   della   Procura   regionale   seguiva   la   citata\ndeliberazione n. 24/2019 della Sezione di controllo  per  la  Regione\nCalabria nella quale non veniva approvato il  piano  di  riequilibrio\nfinanziario  predisposto  dall\u0027ente  locale   sussistendo   rilevanti\ncriticita\u0027 dovute alla mancata copertura  del  disavanzo  secondo  le\nprevisioni del piano, alla presenza di una situazione  debitoria  non\ncorrispondente a quella descritta nel piano e  ritenuta  di  maggiore\nconsistenza, anche in considerazione  della  mancata  definizione  di\naccordi  transattivi  e  di  rateizzazione  con   i   creditori,   ad\nun\u0027evidente e rilevante difficolta\u0027 di riscossione delle entrate,  al\nmancato  e  insufficiente  recupero  dell\u0027evasione  tributaria,  alle\ndiscrasie e anomalie  riscontrate  nella  gestione  del  fondo  cassa\ndell\u0027ente, ad irregolarita\u0027 contabili, al ritardo  nella  definizione\ndei pagamenti conseguenti ai piani di rientro dal debito sottoscritti\ncon la Regione Calabria. \n    La  deliberazione  di   mancata   approvazione   del   piano   di\nriequilibrio  veniva  confermata,  in  sede   d\u0027impugnazione,   dalla\nsentenza delle Sezioni riunite della  Corte  dei  conti  in  speciale\ncomposizione  n.  18/2019  con  conseguente  adozione  da  parte  del\nconsiglio comunale di    della deliberazione n.    del    di dissesto\ndell\u0027ente. \n    In   particolare,   nella   prospettazione   della   Procura   la\ndichiarazione dello stato di dissesto  esprimeva  una  situazione  di\nirreversibile precarieta\u0027  finanziaria  che  trovava  nelle  gestioni\nprotratte per anni le cause (e concause) dell\u0027evento  poi  accertato.\nSicche\u0027, gia\u0027 nel momento di ricorso alla procedura  di  riequilibrio\nfinanziario pluriennale si presuppone  vi  fosse  una  situazione  di\ngrave criticita\u0027 dell\u0027ente, tale da fare  apparire  non  adeguato  il\nricorso alle misure di salvaguardia degli equilibri di bilancio e  di\nriconoscimento di legittimita\u0027 di  debiti  fuori  bilancio,  previste\ndagli articoli 193 e 194 del TUEL. \n    Pertanto, approvato il piano di riequilibrio, gli  amministratori\ndovevano attuare il risanamento ed applicare tutte le misure previste\nper assicurare l\u0027incameramento delle risorse destinate a  finanziarlo\ned agire per evitare di aggravare la massa passiva  come  determinata\nal momento della sua approvazione. \n    Rispetto a tali premesse, secondo la Procura, il Comune di    non\naveva rispettato le condizioni fissate al  momento  dell\u0027approvazione\ndel piano di riequilibrio, poiche\u0027 la massa  passiva  risultava  piu\u0027\nconsistente di quella stimata (anche per la sopravvenienza di nuovi e\nulteriori debiti e voci  passive),  le  risorse  individuate  per  il\nripiano dello squilibrio non erano state effettivamente conseguite  e\nalcune leve  di  risanamento,  avevano  contribuito  ad  ampliare  il\ndisavanzo complessivo dell\u0027ente, anziche\u0027 ridurlo. \n    Pertanto, veniva contestata ai convenuti una responsabilita\u0027  per\nle condotte tenute rispetto agli interventi necessari per attuare  le\nmisure previste dal piano di riequilibrio pluriennale, rappresentando\nche la quantificazione della massa passiva  da  ripianare  era  stata\neffettuata  senza  svolgere  la  rigorosa  ricognizione  dei   debiti\npreesistenti, richiesta dall\u0027art. 243-bis  del  Tuel,  e  che,  anche\ndurante l\u0027attuazione  del  piano,  le  condotte  assunte,  attive  ed\nomissive, avevano concorso ad ampliare ed estendere la massa  passiva\nrealmente gravante sull\u0027ente. \n    2. I resistenti si costituivano in giudizio sollevando  eccezioni\ndi  difetto  di  giurisdizione  (poiche\u0027  l\u0027effetto  interdittivo  e\u0027\nprevisto come automatico dall\u0027art. 248, quinto comma,  del  TUEL,  la\ncui   applicazione   compete   all\u0027autorita\u0027   amministrativa),    di\ninammissibilita\u0027 della domanda,  e  di  incostituzionalita\u0027  dell\u0027art\n248, quinto comma, (per violazione  dei  principi  costituzionali  di\nragionevolezza e di gradualita\u0027 di cui all\u0027art. 3 della  Costituzione\nrispetto alla previsione della sanzione interdittiva fissa  decennale\ndinanzi a un diverso grado di responsabilita\u0027,  anche  confrontandola\ncon la gradualita\u0027 della  sanzione  prevista  per  i  componenti  del\ncollegio sindacale). \n    Nel merito, sotto diversi profili, veniva eccepita l\u0027infondatezza\ndel ricorso per difetto di prova,  carenze  istruttorie,  inesistenza\ndel nesso di causalita\u0027 e dell\u0027elemento psicologico,  chiedendone  il\nrigetto. \n    In  particolare,  veniva  contestato  che  l\u0027applicazione   delle\nsanzioni (pecuniarie e  interdittive)  fosse  stata  richiesta  senza\nindicare le azioni  od  omissioni  poste  in  essere  dall\u0027organo  di\nindirizzo, con dolo o colpa grave,  oltre  alla  circostanza  che  lo\nstato di decozione finanziaria dell\u0027ente, a cui non si e\u0027 riusciti  a\novviare, risaliva ad un periodo in cui nessuno dei resistenti era  in\ncarica, ne\u0027 veniva  indicato  come  gli  amministratori  vi  avessero\ncontribuito. \n    Inoltre, la difesa rappresentava che il  Comune  di    era  stato\namministrato da un Commissario Prefettizio da    a    e  che  per  il\nperiodo in contestazione (    ) i convenuti avevano amministrato  per\nun limitato e differente periodo di  tempo,  rispetto  al  quale  non\nerano state differenziate le varie responsabilita\u0027. \n    Veniva  dunque  contestato  l\u0027asserito  apporto   causale   degli\namministratori  alle  criticita\u0027  economico-finanziarie  foriere  del\ndissesto, avuto specifico riguardo al  ripiano  del  disavanzo,  alla\nsituazione debitoria dell\u0027ente, alla  gestione  delle  entrate,  alla\nrevisione  della  spesa,  alle  anticipazioni  di  liquidita\u0027,   alle\nanticipazioni di tesoreria e ai disallineamenti di cassa. \n    3. Ad esito della Camera di  consiglio  del  18  luglio  2024  il\nGiudice Monocratico, con decreto n. 4/2024  (depositato  in  data  20\nagosto 2024 e notificato al procuratore costituito in data 28  agosto\n2024), ha cosi\u0027 statuito: \n        «1) rigetta il ricorso nei confronti delle convenute  signore\nD. F. e S. M.; \n        2) accerta, ai sensi e per gli effetti dell\u0027art. 248,  quinto\ncomma, del decreto legislativo n. 267/2000,  la  responsabilita\u0027  dei\nconvenuti signori L. P. D., V. A., R. G. e P. P., a titolo  di  colpa\ngrave, in relazione  al  dissesto  finanziario  del  Comune  di     ,\ndichiarato con la deliberazione del consiglio comunale n.    del    ; \n        3)  condanna  i  convenuti  al   pagamento   della   sanzione\npecuniaria in favore del Comune di    determinata per  ciascuno  come\nsegue: L. P. D. in euro    ; V. A. in euro    ; R. G. in  euro     P.\nP. in euro    ; \n        4) assegna il termine di quaranta giorni dalla  notificazione\ndel presente decreto ai fini del pagamento immediato, in  favore  del\nComune di    , delle  suindicate  sanzioni  pecuniarie  nella  misura\nridotta, pari al 30%, ai sensi dell\u0027art. 134, secondo comma, c.g.c.; \n        5) condanna i convenuti L. P. D. V. A.  R.  G.  e  P.  P.  al\npagamento, in solido, delle spese di giudizio in favore  dell\u0027Erario,\nche si quantificano come da nota segretariale a margine; \n        6) condanna il Comune di    al  pagamento  della  complessiva\nsomma di euro    oltre IVA, CPA e spese generali, a titolo di onorari\ne diritti spettanti alla difesa delle convenute D. F. e S. M.; \n        7) Dispone la trasmissione del provvedimento  alle  autorita\u0027\ncompetenti, a cura della  Procura  Regionale  presso  questa  Sezione\ngiurisdizionale, come indicato in motivazione». \n    4.  Avverso  tale  decreto  gli  odierni  ricorrenti  formulavano\nricorso  in  opposizione  ex  art.  135  c.g.c.  replicando,  in  via\npreliminare, le eccezioni gia\u0027  formulate  nel  giudizio  dinanzi  al\ngiudice monocratico. \n    4.1 Nello specifico veniva eccepito il difetto  di  giurisdizione\ndella Corte dei conti in relazione alla domanda di applicazione delle\nsanzioni  interdittive,  come  formulata  dalla  Procura   regionale,\nrichiamava i principi di diritto (Cassazione n. 13205 del  14  maggio\n2024) secondo cui «In tema di enti locali, in caso  di  dichiarazione\ndi  dissesto  del  Comune,   le   sanzioni   interdittive   per   gli\namministratori, previste ex art.  248  TUEL,  conseguono  di  diritto\nall\u0027accertamento  dei  relativi  presupposti  da  parte  del  giudice\ncontabile,  senza  che  quest\u0027ultimo  possa   procedere   alla   loro\napplicazione   diretta,   riservata   all\u0027autorita\u0027    amministrativa\ncompetente,  determinandosi   altrimenti   un   eccesso   di   potere\ngiurisdizionale»  e  lamentava  che  il  rigetto  dell\u0027eccezione  nel\ndecreto  opposto  sarebbe   infondata,   atteso   che   nel   ricorso\nintroduttivo la Procura Regionale aveva richiesto proprio la  diretta\nirrogazione delle sanzioni interdittive carico  degli  amministratori\n(cfr. pag. 38 ricorso) e  il  Giudice  avrebbe  dovuto  rigettare  la\ndomanda sulle  sanzioni  interdittive,  chieste  in  via  di  diretta\napplicazione,  risultando  cosi\u0027  una  pronuncia  viziata  da   ultra\npetizione. \n    4.2  Veniva  poi  sollevata  eccezione   di   incostituzionalita\u0027\ndell\u0027art. 248, comma 5, TUEL, per difetto di motivazione e violazione\ndell\u0027art. 3 della Costituzione, nella parte in cui,  avendo  previsto\nper gli amministratori comunali una sanzione interdittiva  in  misura\nfissa  decennale,  impedisce  di  considerare  il  diverso  grado  di\nresponsabilita\u0027 - colpa grave o dolo - e di commisurare  la  sanzione\nrispetto  alla  gravita\u0027  del  fatto,  con  evidente  violazione  dei\nprincipi     costituzionali     di     gradualita\u0027     sanzionatoria,\nproporzionalita\u0027, ragionevolezza, e parita\u0027 di  trattamento  previsti\ndall\u0027art. 3 della Costituzione. \n    La violazione  dei  principi  costituzionali  veniva  prospettata\nanche in considerazione della disparita\u0027 di trattamento  rispetto  ai\ncomponenti del collegio dei revisori, nei  cui  confronti  la  misura\ninterdittiva puo\u0027 essere graduata entro la durata  massima  di  dieci\nanni, come previsto dal comma  5-bis  dello  stesso  art.  248  TUEL,\naggiunto dall\u0027art. 3 del decreto-legge n. 174  del  2012,  convertivo\ndalla legge 7 dicembre 2012, n. 213. \n    In particolare, il decreto opposto  aveva  rigettato  l\u0027eccezione\nrichiamando la giurisprudenza costituzionale che  ha  qualificato  il\nbilancio come bene pubblico e le sentenze n. 236/2015, n. 276/2016  e\nn. 230 del 2021 - con cui erano gia\u0027 state dichiarate non fondate  le\nquestioni  di  legittimita\u0027  costituzionale  riguardanti   le   norme\ncontenute  nel  decreto  legislativo   n.   235/2012   in   tema   di\nincandidabilita\u0027 - sul presupposto che le norme  del  citato  decreto\nlegislativo n. 235/2012 fossero  «sovrapponibili»  alle  disposizioni\nsanzionatorie dell\u0027art. 248 comma 5 TUEL. \n    Secondo gli opponenti non vi  sarebbe  sovrapponibilita\u0027  tra  le\ndisposizioni  del  decreto  legislativo  n.  235/2012  (che  riguarda\nesclusivamente cause speciali di incandidabilita\u0027  e  di  divieto  di\nricoprire cariche  elettive  e  di  Governo  conseguenti  a  sentenze\ndefinitive di condanna per  (gravi)  delitti  non  colposi,  a  norma\ndell\u0027art. 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190) e  quelle\ndell\u0027art.  248  comma  5  TUEL  (per  ipotesi   di   incandidabilita\u0027\nconseguenti a condanne per c.d.  responsabilita\u0027  da  dissesto),  ne\u0027\nsarebbe possibile alcuna applicazione analogica per ampliare le cause\nd\u0027incompatibilita\u0027 del decreto legislativo  n.  235/2012,  stante  la\nloro specialita\u0027 (veniva indicata sul punto la sentenza  della  Corte\ncostituzionale n. 56 dell\u00278 marzo 2022 che ha dichiarato  ammissibile\nla richiesta di referendum per abrogare l\u0027intero decreto  legislativo\nn. 235/2012). \n    Peraltro, la giurisprudenza costituzionale richiamata nel decreto\nnon avrebbe mai riguardato i principi costituzionali  di  gradualita\u0027\nsanzionatoria,  proporzionalita\u0027,  ragionevolezza   della   sanzione,\nnonche\u0027  di  parita\u0027  di  trattamento  previsti  dall\u0027art.  3   della\nCostituzione, considerato che l\u0027art. 13 del  decreto  legislativo  n.\n235/2012 prevede la graduazione  e  la  commisurazione  della  durata\n(quantomeno  quella  massima)  dell\u0027incandidabilita\u0027,  rispetto  alla\nentita\u0027 della condanna e quindi del delitto commesso,  mentre  l\u0027art.\n14 consente di estinguere  la  stessa  incandidabilita\u0027  per  effetto\ndella riabilitazione; meccanismi di graduazione e  superamento  della\nincandidabilita\u0027   (che    incide    sul    diritto    costituzionale\nall\u0027elettorato passivo) anche a  fronte  delle  ipotesi  di  condanne\npenale  per  gravi   delitti,   che   sono   invece   assenti   nella\nresponsabilita\u0027 da  dissesto  (dove  e\u0027  graduata  solo  la  sanzione\npecuniaria e non  quella  piu\u0027  afflittiva  che  incide  sul  diritto\ncostituzionale di elettorato passivo, tenuto anche  conto  dell\u0027ampia\ngamma di condotte degli amministratori). \n    I ricorrenti lamentavano poi la disparita\u0027 di  trattamento  degli\namministratori rispetto ai componenti dell\u0027organo di  revisione,  che\ninvece beneficiano della graduazione  della  sanzione  rispetto  alla\nloro responsabilita\u0027, pur essendo richiesta la loro compartecipazione\nnecessaria nelle dinamiche di bilancio. \n    Rispetto   a   tali   profili,   dunque,   veniva   indicata   la\ngiurisprudenza   costituzionale    espressione    della    necessaria\napplicazione del principio di proporzionalita\u0027 in sede  sanzionatoria\n(sentenza n. 51/2024 secondo cui: «Numerose sentenze di questa  Corte\nhanno pero\u0027 ritenuto in contrasto, tra l\u0027altro, con  l\u0027art.  3  della\nCostituzione disposizioni che prevedevano  l\u0027automatica  destituzione\ndi altri pubblici dipendenti, ovvero  l\u0027automatica  cancellazione  di\nprofessionisti dall\u0027albo, in conseguenza della loro condanna in  sede\npenale per determinati reati. 3.2.1.- Gia\u0027 la  sentenza  n.  971  del\n1988 aveva colpito la previsione della destituzione di diritto  degli\nimpiegati civili dello Stato e dei dipendenti degli enti locali della\nRegione Siciliana a seguito di condanna per taluni delitti. \n    «L\u0027indispensabile  gradualita\u0027  sanzionatoria,  ivi  compresa  la\nmisura massima destitutoria» - si era affermato in quell\u0027occasione  -\n«importa [...] che le valutazioni relative siano ricondotte,  ognora,\nalla naturale sede di valutazione: il procedimento  disciplinare,  in\ndifetto di che ogni relativa norma risulta  incoerente,  per  il  suo\nautomatismo,  e  conseguentemente  irrazionale  ex   art.   3   della\nCostituzione» (punto 3 del Considerato in  diritto).  Poco  dopo,  in\nrelazione ai notai, la  sentenza  n.  40  del  1990  affermo\u0027  essere\n«indispensabile che il \"principio di proporzione\" che  e\u0027  alla  base\ndella razionalita\u0027 che domina il \"principio di  eguaglianza\",  regoli\nsempre   l\u0027adeguatezza   della   sanzione    al    caso    concreto».\nConseguentemente,  essa  dichiaro\u0027   costituzionalmente   illegittimo\nl\u0027«automatismo  di  un\u0027unica  massima  sanzione  [la   destituzione],\nprevista indifferentemente per l\u0027infinita  serie  di  situazioni  che\nstanno nell\u0027area della commissione di uno stesso  pur  grave  reato».\nAutomatismo che si ritenne non potesse «reggere il confronto  con  il\nprincipio di eguaglianza che, come esige lo  stesso  trattamento  per\nidentiche  situazioni,  postula  un  trattamento  differenziato   per\nsituazioni diverse». Identica ratio decidendi si riscontra:  -  nella\nsentenza n. 158 del 1990, relativa  alla  radiazione  automatica  dei\ndottori commercialisti; - nella sentenza n. 16 del 1991,  concernente\nla destituzione di diritto del dipendente regionale; - nella sentenza\nn.  197  del  1993,  sulla  destituzione  di  diritto  del  personale\ndipendente delle amministrazioni pubbliche a seguito del passaggio in\ngiudicato della sentenza di condanna per taluni reati,  ovvero  della\ndefinitivita\u0027  del  provvedimento  applicativo  di  una   misura   di\nprevenzione per appartenenza ad associazione di tipo mafioso; - nella\nsentenza n. 2 del 1999, in materia di radiazione automatica dall\u0027albo\ndei ragionieri e periti commerciali. In epoca piu\u0027 recente,  rispetto\nal personale militare, la sentenza n. 268  del  2016  (riprendendo  e\napprofondendo principi gia\u0027 espressi nella precedente sentenza n. 363\ndel  1996)  ha  dichiarato  l\u0027illegittimita\u0027  costituzionale  di  una\ndisciplina  che  non  prevedeva  l\u0027instaurazione   del   procedimento\ndisciplinare per la cessazione dal servizio per  perdita  del  grado,\nconseguente alla pena accessoria della  interdizione  temporanea  dai\npubblici uffici irrogata dal giudice penale. «[A] causa dell\u0027ampiezza\ndei presupposti a cui viene  collegata  l\u0027automatica  cessazione  dal\nservizio», si e\u0027 in  questa  occasione  osservato,  «le  disposizioni\nimpugnate non possono validamente fondare, in tutti i  casi  in  esse\nricompresi, una presunzione  assoluta  di  inidoneita\u0027  o  indegnita\u0027\nmorale o, tanto meno,  di  pericolosita\u0027  dell\u0027interessato,  tale  da\ngiustificare una sanzione disciplinare cosi\u0027 grave  come  la  perdita\ndel grado  con  conseguente  cessazione  dal  servizio.  L\u0027automatica\ninterruzione del rapporto di impiego  e\u0027,  infatti,  suscettibile  di\nessere applicata a una troppo ampia generalita\u0027 di casi, rispetto  ai\nquali e\u0027 agevole formulare ipotesi in cui essa  non  rappresenta  una\nmisura proporzionata rispetto allo scopo perseguito». \n    4.3 Cio\u0027 premesso i  ricorrenti  si  opponevano  al  decreto  per\nviolazione  dell\u0027art.  248,  comma  5,  TUEL  sotto  diversi  profili\n(difetto  di  motivazione,  omessa  valutazione  di  fatti  ed   atti\nrilevanti  ai  fini  del  giudizio,  difetto  di  prova   e   carenze\nistruttorie,  carenza  dei  presupposti,   difetto   del   nesso   di\ncausalita\u0027, difetto dell\u0027elemento psicologico, violazione delle norme\ndi contabilita\u0027). In particolare, lamentavano che il decreto  opposto\navesse desunto la sussistenza dell\u0027elemento psicologico  della  colpa\ngrave unicamente dalla conoscenza sin dal 2012  della  condizione  di\nsquilibrio strutturale dell\u0027ente locale e la  sussistenza  del  nesso\ncausale dalla deliberazione del dissesto dell\u0027ente locale secondo cui\n«l\u0027aggravamento della condizione economica  e  finanziaria  dell\u0027ente\nlocale nel triennio    (periodo in cui i resistenti  erano  tutti  in\ncarica) ha irreversibilmente  compromesso  l\u0027equilibrio  di  bilancio\ndell\u0027ente e che parte degli odierni resistenti, quali  amministratori\npro tempore, non hanno adottato politiche di bilancio  funzionali  al\nrisanamento dell\u0027ente, cosi\u0027  contribuendo  al  dissesto  del  Comune\ndi     »,  con  una  responsabilita\u0027  da  dissesto  che  non  sarebbe\ndimostrata, ma  conseguenza  di  un  mero  automatismo  del  dissesto\nstesso. \n    Dunque, sarebbe stata ravvisata la  responsabilita\u0027  di  (alcuni)\namministratori in quanto i  risultati  conseguiti  a  rendiconto  nel\ntriennio    non hanno rispettato le previsioni contenute nella ultima\nrimodulazione del Piano di Riequilibrio Finanziario. \n    In particolare, la Sezione regionale di controllo aveva rilevato: \n        a) l\u0027aumento dei debiti fuori bilancio di parte corrente; \n        b) il mancato finanziamento  dei  debiti  fuori  bilancio  di\nparte capitale, attraverso le previste alienazioni di  beni  immobili\nstante la  mancata  conclusione  delle  relative  procedure,  avviate\nnel    ; \n        c) la cronica difficolta\u0027 di riscossione delle entrate; \n        d)  il  mancato  o   insufficiente   recupero   dell\u0027evasione\ntributaria  (con  rischio  di  prescrizione  o  decadenza   dell\u0027ente\nimpositore); \n        e) le discrasie e le anomalie riscontrate nel fondo cassa (  \n); \n        f) la mancata trasmissione degli accordi  transattivi  con  i\ncreditori, per tutti i debiti  fuori  bilancio  riconosciuti  e/o  da\nriconoscere e assenza di un piano di rateizzazione; \n        g) la mancata comunicazione e  documentazione  dei  pagamenti\neffettuati e dei rimanenti pagamenti da effettuare; \n        h) l\u0027irregolare tenuta delle scritture contabili (con risorse\ndel fondo svalutazione crediti ripetutamente inglobate nel  fondo  di\nriserva, in violazione dei principi di chiarezza e trasparenza); \n        i)  il   mancato   miglioramento,   per   ciascun   esercizio\nfinanziario del triennio    , della parte disponibile  del  risultato\ndi amministrazione rispetto all\u0027esercizio precedente,  in  violazione\ndel decreto  del  Ministero  dell\u0027economia  e  delle  finanze  del  2\naprile    , e conseguimento di un ulteriore disavanzo nella  gestione\nfinanziaria negli esercizi considerati; \n        l) il mancato ripiano,  a  decorrere  dal     ,  della  quota\nannuale da riaccertamento straordinario,  pari  a  quote  annuali  di\neuro    ; \n        m) la mancata approvazione delle misure organizzative per  la\ntempestivita\u0027 dei pagamenti richieste dall\u0027art. 9  del  decreto-legge\nn. 78/2009, anche in relazione  alle  previsioni  dell\u0027art.  183  del\nTUEL, relative alla  compatibilita\u0027  dei  pagamenti  con  i  relativi\nstanziamenti di cassa; \n        n) la mancata indicazione dei tempi  medi  di  pagamento,  in\nviolazione dell\u0027art. 41 del decreto-legge n. 66/2014; \n        o)  la  mancata  indicazione  sul  sito  internet   dell\u0027ente\ndell\u0027indicatore  di  tempestivita\u0027  dei  pagamenti,  come   richiesto\ndall\u0027art. 33 del decreto legislativo n. 33/2013; \n        p) il ritardo sui pagamenti  dei  piani  di  rientro     e   \n sottoscritti con la Regione Calabria. \n    Rispetto a tali contestazioni vi sarebbe un vizio di motivazione,\npoiche\u0027 il decreto ha omesso di considerare i  dati  oggettivi  e  le\nrisultanze contabili documentalmente dimostrate dai resistenti. Nello\nspecifico, non sarebbe stato considerato che lo  stato  di  decozione\nfinanziaria dell\u0027ente, a cui non si e\u0027 riusciti ad ovviare, risale ad\nun periodo in cui nessuno degli opponenti era in carica e  non  viene\nindicato  per  quale  motivo  questi  amministratori  possano  avervi\n«contribuito» (il Comune e\u0027  stato  amministrato  da  un  Commissario\nPrefettizio da    a    , quindi durante il periodo dal    al     ,  e\nalcuni di essi sono stati in carica solo successivamente  al  periodo\ndi commissariamento). \n    Quanto alla motivazione dell\u0027addebito del decreto viene  indicato\nche la deliberazione del dissesto dell\u0027ente locale «ha reso  evidente\nche l\u0027aggravamento della condizione economica e finanziaria dell\u0027ente\nlocale nel triennio    (periodo in cui i resistenti  erano  tutti  in\ncarica) ha irreversibilmente  compromesso  l\u0027equilibrio  di  bilancio\ndell\u0027ente   e   che   (parte   de)gli   odierni   resistenti,   quali\namministratori pro tempore, non hanno adottato politiche di  bilancio\nfunzionali  al  risanamento,  cosi\u0027  contribuendo  al  dissesto   del\nComune». \n    La responsabilita\u0027 per omissione viene contestata dai ricorrenti,\ncome da perizia allegata al ricorso, anche in ragione delle modifiche\nnormative. \n    Nello  specifico,  l\u0027analisi  delle  risultanze   delle   singole\ngestioni di competenza dal     al    indica che il Comune ha generato\nrisparmi attraverso un  saldo  positivo  di  parte  corrente  (avanzo\neconomico di parte corrente) per euro    (esercizi  finanziari  dal  \n al    ) e i dati nel decreto  opposto  non  terrebbero  conto  delle\nrisultanze degli equilibri di competenza (considerato che  il  Comune\ndi    aveva approvato  il  PRFP  prima  dell\u0027entrata  in  vigore  del\ndecreto legislativo n. 118/2011 con  i  principi  dell\u0027armonizzazione\ncontabile). \n    Veniva evidenziato che a fronte di  un  disavanzo  acclarato  con\nl\u0027approvazione del  Piano  di  riequilibrio  finanziario  pluriennale\n(PRFP) di euro    da ripianarsi in  anni  dieci,  la  misura  per  il\nperiodo contestato (dal   al   ) era pari ad  euro     e  il  maggior\ndisavanzo pari ad  ulteriori  euro     conseguiva  al  riaccertamento\nstraordinario  dei  residui  al      derivato   in   via   principale\ndall\u0027applicazione   dei   nuovi   istituti    contabili    introdotti\ndall\u0027armonizzazione, ed  in  particolare  del  Fondo  crediti  dubbia\nesigibilita\u0027 (FCDE), la cui composizione viene  determinata  in  modo\naritmetico dal  principio  contabile  di  cui  all\u0027allegato  4.2  del\ndecreto legislativo n. 118/2011. \n    Il metodo di calcolo del FCDE  ha  fatto  si\u0027  che  il  disavanzo\ndell\u0027amministrazione al    si attestasse ad un importo pari  a     di\ncui    di FCDE, a cio\u0027 si sono aggiunti gli ulteriori  accantonamenti\nprevisti   dalla   riforma   dell\u0027armonizzazione   contabile   (fondo\ncontenzioso, riarticolazione della parte vincolata del  risultato  di\namministrazione, Fondo pluriennale vincolato) assenti nel  precedente\nordinamento contabile. \n    La conferma della efficacia dell\u0027azione di recupero  nei  termini\nrisulterebbe  anche  dai  saldi  di   cassa,   ampiamente   positivi,\nregistrati dal Comune al    di ogni esercizio finanziario dal    al  \n , rispetto al dato iniziale registrato al     allorquando  risultava\nun saldo di cassa negativo per euro    , con l\u0027effetto che  il  fondo\ncassa positivo nel  periodo  di  riferimento  ha  comportato  a  fine\nesercizio l\u0027assenza di scoperti per anticipazione di tesoreria. \n    Non vi sarebbe stata, dunque, alcuna condotta peggiorativa  degli\nequilibri  di  bilancio  e  quindi  di  causalita\u0027  aggiuntiva   alla\ndichiarazione di dissesto. \n    Venivano poi richiamate le norme intervenute  dal  2015  al  2019\nfinalizzate al superamento e al ripiano nel tempo delle condizioni di\ndisavanzo, poi dichiarate  incostituzionali,  con  effetti  contabili\ndirompenti sui bilanci di tutti gli enti  interessati  determinandone\nl\u0027inevitabile dissesto in presenza di condizione sociali ed economici\ndi difficolta\u0027. \n    Sulla situazione debitoria di euro    per debiti non rilevati nel\nPRFP  veniva  indicato  che   essi   erano   emersi   successivamente\nall\u0027approvazione del  Piano  di  Riequilibrio  (ad  eccezione  di  un\ndebito, di importo oggettivamente trascurabile,  di  euro     circa),\nmentre la rimanente  somma  di  euro     era  costituita  dai  debiti\nderivanti da sentenze emesse in  epoca  successiva  al     ,  tramite\nriconoscimento di debiti fuori bilancio. \n    Quanto alla mancata  definizione  del  rapporto  con  la  Regione\nCalabria in relazione alla fornitura di acqua potabile per il periodo\n1981/2004 il decreto sarebbe privo di motivazione, considerato che in\nsede di  redazione  del  piano  di  riequilibrio  non  era  emersa  e\nconosciuta dagli amministratori  una  situazione  di  debito  con  la\nRegione Calabria, ne\u0027 il quantum; debito che e\u0027 stato successivamente\ndefinito in via transattiva non producendo  scostamenti  e  squilibri\nnella complessiva gestione amministrativa e finanziaria. \n    Quanto alla gestione delle entrate e  al  recupero  dell\u0027evasione\ntributaria rilevatasi scarsamente produttiva richiamavano  le  azioni\nintraprese, mentre sull\u0027assenza di  titolo  per  il  mantenimento  in\nbilancio di residui per euro    afferenti a trasferimenti (titolo  II\ndelle Entrate) dello Stato per il rimborso delle spese sostenute  dal\nComune  per  conto  del  Ministero  della  giustizia  e  relative  al\nfunzionamento degli uffici giudiziari, ribadivano  che  tali  residui\nnon potevano essere cancellati in quanto c\u0027era  un  titolo  giuridico\ncerto  e  la  differenza  tra  i  rendiconti  approvati  e  le  somme\neffettivamente  versate  dal  Ministero  della  giustizia  era  stata\ngiustificata dai verbali approvati  dalla  Corte  di  Appello  e  dai\nmandati di incasso gia\u0027 prodotti (sulla correttezza del  mantenimento\ndi residui richiamavano la sentenza del Consiglio di  Stato  n.  5782\ndel 2020). \n    Quanto alla revisione della spesa  venivano  indicate  importanti\nmisure di  razionalizzazione  richiamando  la  relazione  istruttoria\ndella Commissione Ministeriale sul PRFP e le misure attuate: \n        1) Eliminazione dei fitti passivi; \n        2)  Le  Strutture  comunali  a  debito  per  il  comune  sono\ndiventate  remunerative  (protoconvento,   parco   giochi,   impianto\nsportivo); \n        3)  Azzeramento  di  incarichi  dirigenziali   di   carattere\nfiduciario; \n        4) Nessun affidamento di incarichi a collaboratori esterni; \n        5) Notevole riduzione spese per amministratori; \n        6) Azzeramento spese per rimborsi e missioni; \n        7) Gestione interna  di  una  serie  di  servizi  prima  dati\nall\u0027esterno ad iniziare dalla gestione del canile  comunale  e  dalle\npulizie degli edifici di competenza comunale; \n        8) creazione dell\u0027ufficio interno avvocatura. \n    Con  riferimento  alle  criticita\u0027  legate  all\u0027anticipazione  di\nliquidita\u0027 indicavano che tale facolta\u0027 era prevista dalla legge e il\nComune l\u0027avrebbe correttamente utilizzata. \n    In merito ai disallineamenti di cassa,  in  disparte  la  mancata\nincidenza ai fini della dichiarazione di disseto, veniva rilevato che\nsi era addivenuti all\u0027accertamento  definitivo  della  situazione  di\ncassa, evidenziando che non esistono ne  disavanzi  e  ne  avanzi  di\ncassa. \n    Quanto al debito verso S. veniva indicato che era stato azzerato,\nrichiamando sentenze vittoriose per  il  Comune  (con  riconoscimento\ndella non debenza di rilevanti somme di denaro). Quindi i  ricorrenti\nlamentavano che non fossero stati considerati gli  atti  con  effetti\npositivi diretti sui bilanci e che non  fosse  stata  considerata  la\nposizione  degli   assessori   al   bilancio.   Quanto   all\u0027elemento\npsicologico l\u0027inidoneita\u0027 del piano  non  potrebbe  rappresentare  il\ndato  da  cui  far   discendere,   come   conseguenza   diretta,   la\nresponsabilita\u0027    degli     amministratori,     determinando     una\nresponsabilita\u0027   oggettiva   e   venivano   indicati,   a   sostegno\ndell\u0027assenza di colpa, alcuni elementi: \n        tutti gli atti  deliberati  dalla  giunta  sono  accettazione\ndella proposta degli  uffici,  che  mettono  il  relativo  parere  di\nregolarita\u0027 tecnica; \n        ogni atto  rilevante,  dalla  rimodulazione  del  piano  alla\npredisposizione dei  bilanci,  ha  il  parere  favorevole  tanto  del\nresponsabile che dei revisori dei conti; \n        la rimodulazione dei piani e\u0027 stata effettuata, la prima, nel\nrispetto di una nuova norma di legge  e  la  seconda  su  invito  del\nMinistero dell\u0027interno che,  in  luogo  dei  prescritti  5  mesi,  ha\nimpiegato 5 anni per il parere sul piano di riequilibrio. \n    Rispetto a tali atti ed attivita\u0027 non vi sarebbe la  colpa  grave\n(«sprezzante  trascuratezza  dei  propri   doveri,   resa   estensiva\nattraverso  un  comportamento  improntato  a  massima  negligenza   o\nimprudenza ovvero ad una  particolare  non  curanza  degli  interessi\npubblici»), tenuto conto che il piano e\u0027 stato rimodulato nel    e vi\ne\u0027 stato il giudizio ampiamente favorevole dei revisori dei  conti  e\nnel parere sull\u0027aggiornamento del  piano  di  riequilibrio  del     ,\nsuccessivo ai pareri sui  bilanci  contenenti  le  «raccomandazioni»,\nl\u0027organo di revisione (nominato della Prefettura) indica con delibera\nn.    del    i miglioramenti intervenuti. \n    I revisori hanno attestato che tutte le misure attuate hanno dato\ni risultati previsti e l\u0027amministrazione ha puntualmente dato seguito\nalle sollecitazioni dell\u0027organo di revisione. \n    In particolare, veniva indicato che il punto di  partenza  e\u0027  la\ndichiarazione di ente strutturalmente  deficitario  con  la  delibera\ndella Corte dei conti del    , mentre  il  punto  di  approdo  e\u0027  la\ndelibera della commissione presso  il  Ministero  dell\u0027interno  del  \n che definisce il comune di    ente non strutturalmente  deficitario,\ndando atto del miglioramento sostanziale della  situazione;  venivano\nrichiamati poi i singoli interventi migliorativi adottati. \n    A dimostrazione della riduzione dell\u0027anticipazione di tesoreria e\ndella volonta\u0027 politica di limitarne l\u0027utilizzo  veniva  indicato  il\nparere  della  commissione  del  Ministero  dell\u0027interno  dove   sono\nrilevati soltanto    euro di  interessi  per  anticipazioni  per  gli\nanni    e del    poiche\u0027 vi si e\u0027 fatto ricorso solo per tre mesi nei\nquali si attendevano i trasferimenti statali. \n    Quanto ai dati contabili la perizia di parte allegata  richiamava\nle modifiche di questi a seguito dell\u0027entrata in vigore del  bilancio\narmonizzato. \n    Concludevano gli opponenti, dunque, chiedendo  di  accogliere  le\neccezioni preliminari,  ed  in  ogni  caso  accogliere  integralmente\nl\u0027opposizione e per l\u0027effetto riformare integralmente e/ annullare il\ndecreto opposto, con ogni contestuale declaratoria  di  insussistenza\ndi responsabilita\u0027 in capo agli opponenti. \n    5. Con decreto presidenziale n. 246 del 1°  ottobre  2024  veniva\nfissata l\u0027udienza per la  discussione  il  giorno  31  ottobre  2024,\nritualmente notificato alla Procura regionale resistente,  unitamente\nal ricorso in opposizione, in data 5 ottobre 2024. \n    6. All\u0027udienza del 31 ottobre 2024 sono comparsi  l\u0027Avv.  Gaetano\nCallipo per gli opponenti e il V.P.G. dott. Giovanni Di Pietro per la\nProcura opposta che concludevano come da verbale di udienza. \n    La causa veniva trattenuta in decisione. \n \n                               Diritto \n \n    7.  In  via  pregiudiziale  viene  in  rilievo   l\u0027eccezione   di\nincostituzionalita\u0027 dell\u0027art. 248, comma  5,  TUEL,  per  difetto  di\nmotivazione e violazione dell\u0027art. 3 della Costituzione, nella  parte\nin cui, avendo previsto per gli amministratori comunali una  sanzione\ninterdittiva in misura fissa decennale, impedisce di  considerare  il\ndiverso grado di  responsabilita\u0027  -  colpa  grave  o  dolo  -  e  di\ncommisurare  la  sanzione  rispetto  alla  gravita\u0027  del  fatto,  con\nviolazione dei principi costituzionali di gradualita\u0027  sanzionatoria,\nproporzionalita\u0027, ragionevolezza, e parita\u0027 di  trattamento  previsti\ndall\u0027art.  3  della   Costituzione;   eccezione   prospettata   anche\nconfrontando la  disparita\u0027  di  trattamento  con  i  componenti  del\ncollegio dei revisori, nei cui confronti la misura interdittiva  puo\u0027\nessere graduata entro la durata massima di dieci anni, come  previsto\ndal comma 5-bis dello stesso art.  248  TUEL,  aggiunto  dall\u0027art.  3\ndecreto-legge n. 174 del 2012,  convertivo  dalla  legge  7  dicembre\n2012, n. 213. \n    La questione di legittimita\u0027 costituzionale sollevata deve essere\nesaminata, in via pregiudiziale rispetto  ad  ogni  altra  eccezione,\nalla luce della sua rilevanza e non manifesta infondatezza. \n    Tali profili devono avere come punto di  partenza  la  disciplina\ndell\u0027art. 248, comma  5,  TUEL  e  la  sua  portata  nell\u0027ordinamento\ninterno come tracciato dalla giurisprudenza. \n    In particolare, la norma nella  sua  formulazione  antecedente  a\nquella attuale prevedeva che «gli amministratori  che  la  Corte  dei\nconti ha riconosciuto responsabili, anche in primo  grado,  di  danni\ncagionati con dolo o colpa  grave,  nei  cinque  anni  precedenti  il\nverificarsi del dissesto finanziario, non possono ricoprire,  per  un\nperiodo di dieci anni, incarichi di assessore, di revisore dei  conti\ndi enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri  enti,\nistituzioni ed organismi pubblici e privati, ove la  Corte,  valutate\nle circostanze e le cause che hanno determinato il dissesto,  accerti\nche questo e\u0027 diretta conseguenza delle azioni od  omissioni  per  le\nquali l\u0027amministratore e\u0027 stato riconosciuto responsabile», oltre  ad\nulteriori specifiche incandidabilita\u0027 per i Sindaci. \n    Il legislatore e\u0027 intervenuto con l\u0027art. 3, comma 1,  lettera  s)\ndel decreto-legge n. 174 del 2012,  convertito  con  modifiche  dalla\nlegge n. 213/2012, novellando il comma 5. \n    In particolare,  la  nuova  formulazione  ha  previsto  che  «gli\namministratori che la Corte dei conti ha riconosciuto, anche in primo\ngrado, responsabili  di  aver  contribuito  con  condotte,  dolose  o\ngravemente colpose, sia omissive che commissive, al  verificarsi  del\ndissesto finanziario, non possono ricoprire, per un periodo di  dieci\nanni, incarichi di assessore, di revisore dei conti di enti locali  e\ndi rappresentante di enti locali presso altri  enti,  istituzioni  ed\norganismi   pubblici   e   privati»,    mantenendo    le    ulteriori\nincandidabilita\u0027 per  i  Sindaci  e  specificando  che  «Ai  medesimi\nsoggetti, ove riconosciuti responsabili, le  sezioni  giurisdizionali\nregionali della Corte dei conti irrogano una sanzione pecuniaria pari\nad un minimo di cinque e  fino  ad  un  massimo  di  venti  volte  la\nretribuzione mensile lorda dovuta al  momento  di  commissione  della\nviolazione.» \n    La novella, dunque, oltre ad  introdurre  la  previsione  di  una\nsanzione pecuniaria, ha eliminato il limite  di  indagine  ai  cinque\nanni precedenti al dissesto e  ha  previsto  che  la  responsabilita\u0027\npossa  essere  riferita  anche  a   quelle   condotte   che   abbiano\nsemplicemente «contribuito» al verificarsi  del  dissesto,  in  luogo\ndella   precedente   impostazione   del   dissesto   quale   «diretta\nconseguenza» delle condotte; quindi, vengono in rilievo quelle azioni\ned omissioni  che  abbiano  anche  solo  facilitato  o  aggravato  il\ndissesto e, dunque, che si  siano  poste  in  termini  di  contributo\nconcausale  e  non  di  necessaria  sufficienza  alla   realizzazione\ndell\u0027evento dissesto. \n    Sotto la vigenza della  nuova  disciplina  si  e\u0027  registrato  un\ncontrasto tra  alcune  pronunce  in  cui  il  giudice  contabile,  in\napplicazione dell\u0027art. 248, comma 5, TUEL, ha espressamente  irrogato\nla sanzione relativa  all\u0027incandidabilita\u0027  degli  amministratori,  a\nfronte di altre nelle quali si  e\u0027  limitato  all\u0027accertamento  della\nresponsabilita\u0027 rimettendo  l\u0027irrogazione  della  sanzione  ad  altra\nautorita\u0027  amministrativa  («Dal  medesimo  ed   unico   accertamento\ndiscendono, infatti, due effetti: quello di  condanna  alla  sanzione\npecuniaria, cosi\u0027 come previsto dall\u0027art. 248, comma  5  e  5-bis,  e\nquello dichiarativo, automatico  e  conseguenziale,  in  ordine  alla\nsussistenza  dei  presupposti  per  l\u0027applicazione   delle   sanzioni\ninterdittive o di status previste dai medesimi  commi,  che  verranno\npoi irrogate dall\u0027autorita\u0027  amministrativa  competente»,  Corte  dei\nconti, Sez. Giur. Calabria, sentenza n. 122/2021). \n    Su tale contrasto sono intervenute le Sezioni Riunite della Corte\ndei conti (sentenza n. 4/2022/QM) che  hanno  indicato  il  principio\nsecondo cui «Con il rito sanzionatorio previsto dagli articoli 133  e\nss.  del  c.g.c.  possono  valutarsi  l\u0027applicazione  delle  sanzioni\npecuniarie previste dai comma 5 e 5-bis  dell\u0027art.  248  del  decreto\nlegislativo n. 267/2000 e i presupposti di fatto che  determinano  le\nconnesse misure  interdittive,  previste  dai  medesimi  commi  quali\neffetto giuridico della condotta sanzionata». \n    In particolare, nel corpo delle argomentazioni,  la  sentenza  ha\nritenuto che «le sanzioni interdittive (o \"di status\") conseguono  di\ndiritto   all\u0027unico   accertamento   della    responsabilita\u0027    alla\ncontribuzione   del   dissesto,   nell\u0027ambito   del   medesimo   rito\nsanzionatorio,   in   quanto   il   positivo    accertamento    della\nresponsabilita\u0027 da contribuzione al dissesto si pone come  condizione\nnecessaria per la  sussistenza  dei  presupposti  per  l\u0027applicazione\ndelle citate sanzioni  di  status:  da  tale  accertamento  discende,\ninfatti, il duplice effetto della condanna alla sanzione pecuniaria e\nquello dichiarativo, automatico  e  consequenziale,  in  ordine  alla\nsussistenza  dei  presupposti  per  l\u0027applicazione   delle   sanzioni\ninterdittive di cui innanzi; \n    il giudice contabile, pertanto, ha cognizione piena  su  entrambi\ngli effetti che  derivano  dall\u0027unico  accertamento  in  ordine  alla\nresponsabilita\u0027 degli  amministratori  e  dei  revisori  che  abbiano\ncontribuito, con dolo  o  colpa  grave  e  con  condotte  omissive  o\ncommissive, al verificarsi del dissesto». \n    Successivamente sono intervenute anche  le  Sezioni  Unite  della\nCorte di cassazione con l\u0027ordinanza  n.  13205/2024  sul  riparto  di\ngiurisdizione rilevando che «la giurisdizione della Corte  dei  conti\nsi radica, secondo quanto previsto  dalla  citata  norma,  sull\u0027unico\naccertamento in ordine alla sussistenza  del  nesso  causale  fra  la\ncondotta tenuta ed il conseguente dissesto che non richiede piu\u0027  una\ncausalita\u0027 diretta, bensi\u0027 il solo contributo  causale,  ma  da  esso\nconsegue l\u0027irrogazione delle sole sanzioni pecuniarie, tra un  minimo\ne un massimo stabilito dalla norma. \n    Invece,  le  sanzioni  interdittive,   stabilite   per   gli   ex\namministratori (differentemente che  per  i  revisori  contabili)  in\nmisura fissa, sono un effetto automatico previsto dalla legge,  cosi\u0027\nda non rendere necessaria una declaratoria (\"comando\") del giudice. \n    Dal medesimo ed unico accertamento discendono dunque due effetti:\nquello di condanna alla  sanzione  pecuniaria,  cosi\u0027  come  previsto\ndall\u0027art. 248, comma 5 e 5-bis,  del  TUEL,  e  quello  automatico  e\nconseguenziale,   di   sola   \"sussistenza   dei   presupposti    per\nl\u0027applicazione delle sanzioni interdittive o di status  previste  dai\nmedesimi  commi\",   che   verranno   poi   applicate   dall\u0027autorita\u0027\namministrativa competente. \n    In definitiva, il legislatore, con l\u0027art. 248, comma 5,  che  qui\ninteressa, del TUEL, nel testo risultante dalle modifiche  del  2012,\nha inteso attribuire espressamente al giudice contabile il potere  di\nvalutare la sussistenza dei presupposti per l\u0027applicazione  non  solo\ndelle sanzioni pecuniarie ma anche delle sanzioni c.d.  interdittive,\nma queste ultime conseguono come effetto automatico dell\u0027accertamento\ndella responsabilita\u0027 per dissesto. \n    Le sanzioni c.d. di status discendono dunque non  dalla  volonta\u0027\ndel giudice, ma  dalla  volonta\u0027  del  legislatore,  sulla  quale  la\nvolizione   giudiziale,   una   volta   espressasi   sull\u0027an    della\nresponsabilita\u0027, non puo\u0027 incidere. \n    Ne consegue che la decisione del  giudice  contabile,  una  volta\naccertata la responsabilita\u0027 dell\u0027ex amministratore dell\u0027Ente  locale\nda dissesto, ha e deve avere, riguardo alle misure c.d.  interdittive\n(quelle qui in esame),  una  chiara  portata  meramente  dichiarativa\ndella voluntas legis e dunque deve limitarsi  all\u0027accertamento  della\nsussistenza dei presupposti per  il  divieto  previsto  dalla  legge,\nrestando la relativa declaratoria-applicazione compito dell\u0027autorita\u0027\namministrativa competente». \n    Cio\u0027 premesso sulla portata  dell\u0027azione  del  giudice  contabile\nrispetto agli effetti di legge sullo status, il  giudizio  sottoposto\nall\u0027esame della Sezione attiene - per la parte di cui  si  discute  -\nall\u0027accertamento  di  responsabilita\u0027  per  «aver   contribuito   con\ncondotte, dolose o gravemente colpose, sia omissive  che  commissive,\nal verificarsi del dissesto finanziario» e, dunque,  dei  presupposti\nper poter poi irrogare (il giudice contabile) la sanzione  pecuniaria\nnei termini edittali (da cinque a venti volte la retribuzione mensile\nlorda) previsti dalla norma, mentre l\u0027ulteriore divieto di  ricoprire\ncariche e, dunque, quella  che  viene  impropriamente  indicata  come\nsanzione sullo status politico degli  amministratori  e\u0027  un  effetto\nultroneo ed automatico che consegue all\u0027accertamento dei  presupposti\n(responsabilita\u0027) da parte della Corte dei conti, ma  che  viene  poi\nmaterialmente disposto  con  provvedimento  amministrativo  da  altra\nautorita\u0027 competente, la quale, stando al dato testuale della  norma,\nnon ha pero\u0027 alcuna discrezionalita\u0027 in merito all\u0027an  e  al  quantum\ntemporale della sanzione (personale) da irrogare. \n    Da questi elementi  discende,  dunque,  l\u0027esame  sulla  rilevanza\ndell\u0027eccezione. \n    A  tal  fine  occorre  evidenziare  che  dalla  natura  meramente\ndichiarativa del provvedimento (e  dal  relativo  accertamento  della\nsussistenza dei presupposti) discende l\u0027effetto  automatico  relativo\nallo status, rispetto al quale l\u0027autorita\u0027 amministrativa preposta e\u0027\ntenuto ad adottare  il  relativo  provvedimento  senza  alcun  potere\ndecisionale. \n    Ora, la circostanza che la pronuncia del giudice contabile incida\nsolo in via mediata sull\u0027irrogazione  della  sanzione  relativa  allo\nstatus, non elimina di per se\u0027 la rilevanza della questione  ai  fini\ndella decisione, considerato che l\u0027effetto primo e diretto e\u0027 proprio\nl\u0027accertamento dei presupposti  di  legge  per  l\u0027applicazione  delle\ncondizioni di status, rispetto alle quali la Corte di  cassazione  ha\nappunto chiarito che esse discendono dalla volonta\u0027  del  legislatore\n«sulla quale la volizione giudiziale, una  volta  espressasi  sull\u0027an\ndella responsabilita\u0027, non puo\u0027 incidere». \n    Dunque, le limitazioni di status cosi\u0027 congeniate si  configurano\ndi  fatto   come   un   procedimento   bifasico,   la   prima   parte\nsull\u0027accertamento dei presupposti di fatto e  di  diritto  di  natura\ngiurisdizionale rimessa alla Corte dei conti e quella  successiva  di\nmera determinazione sull\u0027incandidabilita\u0027  in  termini  fissi  e  non\nmodulabili di competenza dell\u0027autorita\u0027 amministrativa. \n    In  questi  termini,  l\u0027unico  momento  nel  quale  gli   effetti\npregiudizievoli dell\u0027accertamento (dell\u0027unico accertamento a  duplice\neffetto  sanzionatorio,  pecuniario  e  di  status)  possono   essere\ncensurati di incostituzionalita\u0027 e\u0027 proprio il giudizio dinanzi  alla\nCorte dei conti che non puo\u0027 non tener conto - ai fini dell\u0027eccezione\n- degli effetti di legge consequenziali al proprio decisum, ancorche\u0027\npoi irrogati da un\u0027autorita\u0027 amministrativa. \n    Ne\u0027  potrebbe  il  giudice  contabile  scindere  i  due   momenti\ndisconoscendo - ai fini della rilevanza - gli effetti  che  la  legge\ncollega espressamente  al  proprio  accertamento,  nel  rispetto  del\nrapporto necessario tra protasi ed apodosi. \n    Peraltro,  per  come  la  norma  e\u0027   strutturata,   emerge   che\nl\u0027accertamento della Corte  dei  conti  sul  contributo  al  dissesto\nfinanziario ha come primo effetto voluto dal legislatore e  vincolato\nalla pronuncia (seppur poi irrogato da  altro  soggetto)  proprio  il\ndivieto  di  ricoprire   determinate   cariche   pubbliche   e   solo\nsuccessivamente  (ultimo  capoverso  del   comma   5)   la   sanzione\npecuniaria. \n    Quindi, essendo la condizione di status l\u0027elemento principale che\nconsegue alla sentenza che accerta la responsabilita\u0027 delle condotte,\nla  questione  di  legittimita\u0027  costituzionale  della  norma  rileva\nnecessariamente ai  fini  della  decisione,  non  potendosi  separare\nl\u0027accertamento (prima) dai suoi effetti  (poi)  sulla  condizione  di\nstatus (sebbene mediati dal  provvedimento  amministrativo),  essendo\neffetto consequenziale e non discrezionale  («l\u0027incandidabilita\u0027  non\ne\u0027 una \"sanzione di status\", ma e\u0027 un effetto ex lege che  limita  il\ndiritto (costituzionalmente garantito a ogni cittadino  dall\u0027art.  51\ndella  Costituzione)   all\u0027elettorato   passivo,   in   un   delicato\nbilanciamento  con  altri  principi  costituzionali   sanciti   dagli\narticoli 54 e 97 della Costituzione. Quando  la  norma  che  pone  il\ndivieto,  prescrive,  ai  fini  dell\u0027applicazione,  la  comunicazione\nall\u0027autorita\u0027 amministrativa, a questa compete  il  potere-dovere  di\nprocedere in conformita\u0027», cfr. Corte dei  conti,  sentenza  Sez.  II\nApp., n. 173 del 26 giugno 2023). \n    Ne\u0027 potrebbe superarsi la rilevanza della questione -  in  questa\nsede - sulla considerazione  che  l\u0027incostituzionalita\u0027  della  norma\npotrebbe essere fatta valere successivamente  a  valle  dell\u0027adozione\ndell\u0027atto  amministrativo  sull\u0027incandidabilita\u0027,   nella   fase   di\neventuale impugnazione. \n    Infatti, partendo dal concetto di unicita\u0027  dell\u0027accertamento  in\nordine alla sussistenza del nesso  causale  fra  la  condotta  tenuta\ndall\u0027amministratore  ed  il  conseguente   dissesto   e   all\u0027effetto\n«automatico previsto dalla legge, cosi\u0027 da non rendere necessaria una\ndeclaratoria (\"comando\") del giudice», come  indicato  dalle  Sezioni\nUnite della Corte di cassazione, viene in  evidenza  che  il  momento\ntopico nel quale l\u0027eccezione assume rilevanza e\u0027 proprio  quello  nel\nquale la condotta degli amministratori  viene  giudicata  e  rispetto\nalla  quale  l\u0027eccezione  di  incostituzionalita\u0027  della  norma,  per\nviolazione  del  principio  di  ragionevolezza  non  prevedendo   una\nsanzione di status con termini differenziati  rispetto  alle  singole\ncondotte in luogo del termine fisso decennale,  assume  la  rilevanza\nnei termini piu\u0027 ampi. \n    Infatti,  l\u0027eccezione  sollevata  ha  rilievo  in   questa   sede\ncontabile perche\u0027 la violazione dell\u0027art. 3 (in  rapporto  anche  con\nl\u0027art. 51) della Costituzione e\u0027 riferita proprio alla necessita\u0027  di\nancorare  l\u0027estensione  temporale  delle  limitazioni  sullo   status\n(effetto automatico che non necessita del comando del  giudice)  alle\ncondotte, il cui accertamento unico avviene dinanzi  alla  Corte  dei\nconti e, dunque, in tale momento -  anche  ai  fini  accertativi  del\ncontributo causale (e delle sue modalita\u0027) - gli effetti di legge  (e\nil relativo parametro di costituzionalita\u0027) incidono sulla decisione. \n    Peraltro, anche a voler ritenere che  l\u0027effetto  di  legge  sullo\nstatus non sia una conseguenza diretta della  pronuncia  del  giudice\ncontabile, ma un effetto «indiretto» dell\u0027accertamento, in ogni  caso\nla questione sarebbe rilevante, dovendosi necessariamente riferire la\nvalutazione sulla costituzionalita\u0027 delle norme da applicare a  tutti\ngli effetti che la decisione genera. \n    Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza   si   evidenzia   che\ndall\u0027impostazione della «interpretazione adeguatrice» della  sentenza\ndella Corte  costituzionale  n.  356  del  1996  («le  leggi  non  si\ndichiarano costituzionalmente illegittime perche\u0027 e\u0027 possibile  darne\ninterpretazioni  incostituzionali  (e  qualche  giudice  ritenga   di\ndarne),   ma   perche\u0027   e\u0027   impossibile    darne    interpretazioni\ncostituzionali», cfr.  §  4)  e  dalla  successiva  previsione  della\nnecessita\u0027  di  «verificare,  prima  di  sollevare  la  questione  di\ncostituzionalita\u0027, la concreta possibilita\u0027 di attribuire alla  norma\ndenunciata un significato diverso  da  quello  censurato  e  tale  da\nsuperare i prospettati dubbi di  legittimita\u0027  costituzionale»  (ord.\n322/2001, penultimo cpv. della  parte  in  fatto  e  diritto)  si  e\u0027\npassati alla tesi contenuta nella sentenza n. 235/2014  (secondo  cui\nla non condivisione della possibile soluzione ermeneutica conforme  a\nCostituzione, in quanto  sufficientemente  argomentata,  «non  rileva\npiu\u0027 in termini di inammissibilita\u0027 - ma solo, in tesi, di  eventuale\nnon fondatezza - della questione in esame», cfr. § 5 del  considerato\nin diritto) e a quella della sentenza  n.  262  del  2015  («ai  fini\ndell\u0027ammissibilita\u0027 della questione, e\u0027 sufficiente che il giudice  a\nquo esplori la possibilita\u0027 di un\u0027interpretazione conforme alla Carta\nfondamentale  e,  come  avviene  nel  caso  di  specie,  la   escluda\nconsapevolmente»,  cfr.  §  2.3  del  considerato  in  diritto),  per\napprodare ai principi indicati nella sentenza n. 42 del 2017  (§  2.2\ndel considerato in diritto, secondo cui «Se, dunque, \"le leggi non si\ndichiarano costituzionalmente illegittime perche\u0027 e\u0027 possibile  darne\ninterpretazioni  incostituzionali  (e  qualche  giudice  ritenga   di\ndarne)\" (sentenza n. 356 del 1996), cio\u0027 non significa che,  ove  sia\nimprobabile    o    difficile     prospettarne     un\u0027interpretazione\ncostituzionalmente  orientata,  la   questione   non   debba   essere\nscrutinata nel merito. Anzi, tale scrutinio, ricorrendo  le  predette\ncondizioni, si rivela, come nella specie, necessario,  pure  solo  al\nfine di stabilire se la soluzione conforme a  Costituzione  rifiutata\ndal giudice rimettente sia invece possibile»). \n    Sulla base di tali criteri  deve  essere  scrutinata  la  domanda\nsulla legittimita\u0027 dell\u0027art. 248, comma 5  del  TUEL  per  violazione\ndell\u0027art. 3, della Costituzione, laddove  ha  previsto  l\u0027effetto  di\nlegge dell\u0027incandidabilita\u0027 e il  divieto  di  ricoprire  determinate\ncariche  per  un  termine  determinato  e  fisso   di   dieci   anni,\nprescindendo dalla natura gravemente colposa o dolosa della  condotta\n(o dell\u0027entita\u0027 del  contributo  causale  all\u0027evento  dissesto).  Sul\npunto occorre premettere che il vaglio di costituzionalita\u0027 richiesto\nha  come  punto  di  riferimento  indiscutibile  l\u0027uso   del   potere\ndiscrezionale del Parlamento su cui non e\u0027 previsto  alcun  sindacato\n(art. 28 della  legge  n.  87  del  1953),  quindi  ben  potrebbe  il\nlegislatore prevedere -  in  linea  astratta  -  la  contrazione  dei\ndiritti di elettorato passivo per un  periodo  di  dieci  anni  quale\nmisura afflittiva e, ancor di piu\u0027, special preventiva per  il  danno\nche  gli  amministratori  hanno  provocato  (rectius  contribuito   a\nprovocare) con il dissesto dell\u0027ente. \n    Tuttavia, tale limitazione - estremamente  pervasiva  andando  ad\nincidere sui diritti riconosciuti dall\u0027art. 51 della  Costituzione  -\nin tanto e\u0027 ammissibile  in  quanto  sia  conforme  al  principio  di\nragionevolezza, avendo anche riguardo al modo in cui  il  legislatore\nha normato situazioni simili. \n    In questo senso gli opponenti hanno richiamato alcune fattispecie\nrappresentative di casi indicati come simili, con discipline  diverse\nche denoterebbero una disparita\u0027 di trattamento. \n    In particolare: \n        da un lato hanno  richiamato  la  previsione  dell\u0027art.  248,\ncomma 5-bis, del TUEL che, con riferimento ai  revisori,  prevede  un\ntermine massimo della sanzione e, dunque, la sua modulabilita\u0027; \n        dall\u0027altro lato hanno  indicato  le  previsioni  del  decreto\nlegislativo n. 235/2012 in tema di incandidabilita\u0027 (la cui  relativa\ngiurisprudenza costituzionale era stata addotta dal decreto  opposto,\na supporto del rigetto dell\u0027eccezione). \n    Quanto alla previsione  di  un  limite  massimo  del  divieto  di\nricoprire cariche (e, dunque, modulabile) per i membri  del  collegio\ndei revisori, si ritiene che il termine  di  paragone  sia  privo  di\npregio,   considerato   che   diversi    sono    i    ruoli    svolti\ndall\u0027amministratore e dal revisore e diversa  e\u0027  la  responsabilita\u0027\nche le due figure rivestono nelle dinamiche dell\u0027ente. \n    Il revisore, infatti, sebbene  dotato  di  specifiche  competenze\nprofessionali, e\u0027 comunque un soggetto che svolge funzione di ausilio\ne di controllo dell\u0027attivita\u0027 posta in essere dagli amministratori  i\nquali, avvalendosi dell\u0027attivita\u0027 degli uffici tecnici, gestiscono la\ncosa pubblica, avendo il potere e relativo dovere di operare  per  il\nmeglio, in condizioni ordinarie, e con particolare oculatezza per  il\nrisanamento, nella gestione di crisi dell\u0027ente (quale  la  condizione\ndi predissesto, con  piano  di  riequilibrio  approvato,  di  cui  si\ndiscute). \n    La diversa qualifica soggettiva (e di funzioni) configura  dunque\nfattispecie che non sono in alcun modo sovrapponibili. \n    Quanto  invece  all\u0027eccepita   incostituzionalita\u0027   riferita   a\ngradualita\u0027  sanzionatoria,  proporzionalita\u0027,  ragionevolezza  della\nsanzione, nonche\u0027 disparita\u0027  di  trattamento  previsti  dall\u0027art.  3\ndella  Costituzione,  si  osserva  che  il  termine  fisso  decennale\nindicato,  di  per  se\u0027,  non  ha  alcun   rilievo   o   profilo   di\nincostituzionalita\u0027, essendo un  termine  (pari  a  due  consiliature\ncomplete)   evidentemente   ritenuto    congruo    dal    legislatore\nnell\u0027esercizio della sua discrezionalita\u0027 normativa. \n    In merito, peraltro, non puo\u0027 non indicarsi il ruolo centrale che\nassume  nell\u0027ordinamento  -   e,   di   riflesso   nella   previsione\nsanzionatoria - il bilancio dello Stato (alla cui tutela la norma  e\u0027\norientata), a cui concorre necessariamente quello  dei  singoli  enti\nlocali, anche alla luce del principio di equita\u0027 intragenerazionale e\nintergenerazionale a cui l\u0027equilibrio del bilancio e\u0027 preposto (Corte\ncostituzionale sentenza n. 18/2019, sentenza n. 115/2020, sentenza n.\n246/2021), incidente altresi\u0027 sul legame fiduciario che  caratterizza\nil mandato elettorale e la rappresentanza  democratica  degli  eletti\n(Corte costituzionale  sentenza  n.  228/2017)  e  in  ragione  della\nnecessita\u0027  per  l\u0027amministratore   di   porre   in   essere   azioni\nindispensabili  ad  incentivare  il  buon  andamento  dei  servizi  e\npratiche  di  amministrazione  ispirate  a  una  oculata  e  proficua\nspendita delle risorse  della  collettivita\u0027  (in  tal  senso,  Corte\ncostituzionale sentenze n. 235 del 2021 e n. 18 del 2019). \n    Quindi, in adesione a tale impostazione  la  previsione  incisiva\nsullo  status  personale  prevista  dal  legislatore  (preclusione  a\nricoprire cariche per dieci anni) - confortata  dalla  giurisprudenza\ncostituzionale - non  presenterebbe  profili  di  incostituzionalita\u0027\nladdove messa in relazione solamente con  il  bilancio  dello  Stato,\natteso che esso ha comunque un  ruolo  fondamentale  superindividuale\ndestinato ad  incidere  sulla  vita  dell\u0027intera  cittadinanza  e  in\ntermini intragenerazionali, rispetto al quale l\u0027interesse del singolo\n(nei  cui  confronti  sono  state  accertate  delle  responsabilita\u0027)\nsarebbe recessivo, con  l\u0027effetto  che  la  limitazione  del  diritto\ncostituzionale   all\u0027elettorato   passivo   troverebbe    ragionevole\ngiustificazione nell\u0027esigenza di tutelare l\u0027equilibrio di bilancio. \n    Tuttavia, se letta nel sistema della  incandidabilita\u0027  ex  lege,\nallora la previsione dell\u0027art. 248, comma 5, TUEL  si  evidenzia  per\nalcune  peculiarita\u0027  di  fondo  che  non  sono  giustificate   dalla\npreminenza del bilancio dello Stato e dell\u0027equilibrio a cui  esso  e\u0027\norientato (art. 97 della Costituzione) e che stridono con il rispetto\ndei  criteri  di   gradualita\u0027   «sanzionatoria»,   proporzionalita\u0027,\nragionevolezza, nonche\u0027 di parita\u0027 di trattamento ai quali la  stessa\ndiscrezionalita\u0027 del legislatore deve conformarsi. \n    In  particolare,  fermi  restando  i  principi   espressi   dalla\ngiurisprudenza costituzionale, appare non manifestamente infondata la\nquestione  di  legittimita\u0027  costituzionale  laddove  prospetta  come\nirragionevole la previsione di  una  automatica  incandidabilita\u0027  (e\ndivieto di ricoprire cariche) per un termine fisso di dieci anni  per\nuna condotta, anche di  natura  gravemente  colposa,  che  abbia  non\n«determinato» (come nella  versione  originaria  della  disposizione,\nrispetto alla quale  l\u0027eccezione  d\u0027incostituzionalita\u0027  non  avrebbe\navuto rilievo), ma anche solo «contribuito» - peraltro  senza  limiti\ndi tempo - al dissesto dell\u0027ente. \n    Vengono infatti unificate ai fini dell\u0027incandidabilita\u0027, violando\nirragionevolmente  il  principio  di  parita\u0027  di  trattamento  e  di\nproporzionalita\u0027,  le  condotte  connotate  da   dolo   che   abbiano\ndeterminato con contributo estensivamente incisivo  e  protratto  nel\ntempo il dissesto dell\u0027ente con quelle condotte, invece, connotate da\ncolpa grave, circoscritte magari  a  singoli  episodi  risalenti  nel\ntempo  (anche  a  consiliature  antecedenti  un  eventuale  piano  di\nriequilibrio finanziario),  ma  che  secondo  la  nuova  formulazione\nabbiano comunque  «contribuito»,  ancorche\u0027  in  maniera  minima,  al\ndissesto dell\u0027ente. \n    La previsione  di  una  incandidabilita\u0027  (divieto  di  ricoprire\ncariche) decennale, ancorche\u0027 non sia configurabile come sanzione nei\ntermini  indicati  dalla  giurisprudenza,   in   ogni   caso   incide\ninevitabilmente nella vita (e, dunque, sui diritti costituzionalmente\ngarantiti)  degli  amministratori  e,  pertanto,  l\u0027effetto  ex  lege\nprevisto  dal  legislatore  deve  rientrare   nel   parametro   della\nragionevolezza  riferita,  da  un  lato,  al  diritto  all\u0027elettorato\npassivo di cui all\u0027art. 51 della  Costituzione  e,  dall\u0027altro,  alla\ntutela degli interessi costituzionali protetti dagli  articoli  54  e\n97, della Costituzione. \n    Inoltre,  secondo   la   prospettazione   dei   convenuti,   tale\nirragionevolezza  emergerebbe   anche   dal   raffronto   con   altre\nfattispecie. \n    Sul punto si osserva che lo stesso TUEL  prevede,  all\u0027art.  143,\ncomma  11,  l\u0027ipotesi  d\u0027incandidabilita\u0027  per  gli   amministratori,\nrelativa  allo  scioglimento  dei  consigli  comunali  e  provinciali\nconseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di  tipo\nmafioso o similare,  disponendo  espressamente,  fatte  salve  misure\ninterdittive o accessorie, che «gli amministratori responsabili delle\ncondotte che hanno dato causa allo scioglimento di  cui  al  presente\narticolo non possono essere candidati alle elezioni per la Camera dei\ndeputati, per il Senato della Repubblica e per il Parlamento  europeo\nnonche\u0027   alle   elezioni   regionali,   provinciali,   comunali    e\ncircoscrizionali, in relazione ai  due  turni  elettorali  successivi\nallo  scioglimento  stesso,  qualora  la  loro  incandidabilita\u0027  sia\ndichiarata con provvedimento definitivo».  Tale  fattispecie  ricorre\nnell\u0027ipotesi, disciplinata dal primo comma dell\u0027art. 143, allorquando\n«emergono concreti, univoci  e  rilevanti  elementi  su  collegamenti\ndiretti o indiretti con la criminalita\u0027 organizzata di tipo mafioso o\nsimilare degli amministratori di cui all\u0027art. 77, comma 2, ovvero  su\nforme  di  condizionamento  degli   stessi,   tali   da   determinare\nun\u0027alterazione del procedimento di formazione  della  volonta\u0027  degli\norgani  elettivi  ed  amministrativi  e  da  compromettere  il   buon\nandamento  o  l\u0027imparzialita\u0027  delle   amministrazioni   comunali   e\nprovinciali, nonche\u0027 il regolare funzionamento dei  servizi  ad  esse\naffidati, ovvero che risultino tali da arrecare  grave  e  perdurante\npregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica». \n    Oltre questa fattispecie viene in rilievo -  e  richiamata  dagli\nopponenti - l\u0027incandidabilita\u0027  di  cui  al  decreto  legislativo  n.\n235/2012, rispetto alla quale ha argomentato il decreto  opposto  nel\nrigettare l\u0027eccezione d\u0027incostituzionalita\u0027. \n    In particolare, con  riferimento  agli  enti  locali,  l\u0027art.  10\nprevede l\u0027incandidabilita\u0027  alle  elezioni  provinciali,  comunali  e\ncircoscrizionali e comunque il divieto  di  ricoprire  la  carica  di\namministratore (sindaco, assessore, consigliere,  etc.),  per  coloro\nche hanno riportato condanne definitive per fattispecie delittuose di\nparticolare rilievo sociale (associazione di tipo  mafioso,  traffico\ndi sostanze stupefacenti,  in  tema  di  immigrazione  e  terrorismo,\ndiverse ipotesi di delitti compiuti da pubblici ufficiali  contro  la\npubblica amministrazione, quali  peculato,  concussione,  corruzione,\netc.), oltre alle ipotesi di  condanna  definitiva  per  delitti  non\ncolposi con condanna non inferiore a due anni di  reclusione  e  alle\nipotesi di applicazione  definitiva  di  misura  di  prevenzione  per\nappartenenza ad associazioni (tra cui quella di tipo mafioso). \n    Rispetto a tali ipotesi, tuttavia, l\u0027art. 15,  comma  3,  prevede\nche «La sentenza di riabilitazione, ai sensi  degli  articoli  178  e\nseguenti del codice penale, e\u0027 l\u0027unica causa di estinzione anticipata\ndell\u0027incandidabilita\u0027 e ne comporta la cessazione per il  periodo  di\ntempo residuo». \n    Dunque, viene in rilievo che il legislatore, a fronte di  ipotesi\ndi condanna definitiva per delitti  che  incidono  significativamente\nnella vita della pubblica amministrazione (si pensi oltre all\u0027ipotesi\ndell\u0027art. 416-bis del codice penale anche al peculato, concussione  o\ncorruzione) prevede la possibilita\u0027 di limitare l\u0027incandidabilita\u0027 e,\ncosi\u0027,  restituire  al  condannato  il  diritto  elettorale  passivo,\ntramite l\u0027istituto della riabilitazione. \n    Per contro, tale possibilita\u0027 di porre fine  all\u0027incandidabilita\u0027\ne\u0027 preclusa nell\u0027ipotesi in cui un amministratore, a titolo di  colpa\ngrave, con la propria  condotta  anche  risalente  nel  tempo,  abbia\n«contribuito» al dissesto dell\u0027ente. \n    Tale disparita\u0027 di trattamento sembra indicare la  non  manifesta\ninfondatezza  dell\u0027eccezione  di  incostituzionalita\u0027  della   norma,\nrispetto al parametro dell\u0027art. 3 della Costituzione, sollevata dalle\nparti opponenti. \n    Se nelle due fattispecie indicate la contrazione del  diritto  di\nelettorato  passivo  trova   una   sua   necessaria   giustificazione\ncostituzionale con riferimento a  quelle  omissioni  che  incidono  o\nsulle condizioni morali  degli  amministratori  (incandidabilita\u0027  ai\nsensi del  decreto  legislativo  n.  235/2012,  relativa  a  condanne\ndefinitive) o a  responsabilita\u0027  relative  a  infiltrazioni  mafiose\n(art. 143, comma 11, TUEL), la stessa misura appare  irragionevole  -\nconsiderato che viene applicata in misura  fissa  e  non  graduata  -\nrispetto  ad  ipotesi   in   cui   non   solo   manca   l\u0027incisivita\u0027\ndell\u0027infiltrazione mafiosa (elemento che  inquina  l\u0027intero  apparato\namministrativo non solo da un punto  di  vista  economico,  ma  anche\nmorale e di rispetto della legalita\u0027) o l\u0027accertamento definitivo  di\nreati associativi o connessi con la funzione  pubblica  esercitata  a\ndanno  dell\u0027amministrazione  stessa,  ma  addirittura   si   potrebbe\nassistere a condotte risalenti nel tempo (non essendo  piu\u0027  previsto\nil termine degli ultimi cinque anni), caratterizzate da  colpa  grave\n(espressione dell\u0027incapacita\u0027 di amministrare) e che hanno  meramente\n«contribuito» al dissesto, eventualmente anche in  maniera  marginale\n(in luogo del precedente «determinato»). \n    Rispetto  alla   stessa   norma,   dunque,   il   termine   fisso\nd\u0027incandidabilita\u0027 (o divieto di ricoprire determinate  cariche)  per\ndieci anni appare irragionevole laddove unifica sia ipotesi di  colpa\ngrave che  dolo,  nonche\u0027  condotte  «determinanti»  con  quelle  che\nesprimono  un  mero  «contributo»,  senza  alcuna   possibilita\u0027   di\ndistinzione e di graduazione. \n    Inoltre, proprio perche\u0027 il  profilo  di  incostituzionalita\u0027  ai\nfini della non manifesta infondatezza deve essere vagliato alla  luce\ndi discipline simili, non  appare  sorretto  da  proporzionalita\u0027  la\nprevisione di incandidabilita\u0027 per un periodo di dieci anni  per  gli\namministratori che hanno solo «contribuito» anche in un tempo  remoto\ne a titolo di colpa grave, senza alcuna possibilita\u0027 di  emendazione,\na fronte di ipotesi in cui pur in presenza di condanna in sede penale\n(es. ex art. 10, decreto legislativo  n.  235/2012)  con  conseguente\nincandidabilita\u0027, e\u0027 prevista la possibilita\u0027 di poter tornare a  far\nparte dell\u0027elettorato passivo, grazie alla sentenza di riabilitazione\nex articoli 178 ss. del codice penale. \n    In   altri   termini,   il   principio   di   ragionevolezza    e\nproporzionalita\u0027 della previsione dell\u0027art. 248, comma 5,  TUEL,  non\nappare rispettato dalla norma, laddove  viene  trattata  con  maggior\nrigore la semplice ipotesi di colpa  grave  per  un  mero  contributo\ncausale   al   dissesto,   ancorche\u0027   risalente   nel   tempo   (con\nincandidabilita\u0027 assoluta per dieci anni) rispetto alle  ipotesi,  ad\nesempio, di condanna definitiva per reati di associazione  mafiosa  o\ncontro la pubblica amministrazione,  per  le  quali  e\u0027  prevista  la\npossibilita\u0027 di riabilitazione. \n    Peraltro, la stessa norma appare irragionevole e  contraddittoria\nsotto un altro profilo. \n    Infatti,  ove  si  ritenesse  non  irragionevole  il  divieto  di\nricoprire determinate cariche per dieci anni degli amministratori che\nhanno contribuito al dissesto  dell\u0027ente,  rispetto  a  condotte  che\nincidono sulla stessa moralita\u0027 ed onesta\u0027 dei medesimi e che  vedono\nla possibilita\u0027 di  ridurre  o  far  cessare  l\u0027incandidabilita\u0027,  in\nragione della  prevalenza  delle  esigenze  di  tutela  del  bilancio\npotenzialmente pregiudicato dalla mala gestio  degli  amministratori,\nsi\u0027 da precludere la possibilita\u0027  che  continuino  ad  amministrare,\nviene in rilievo la circostanza  che  agli  stessi  sia  preclusa  la\npossibilita\u0027 per dieci anni di ricoprire la carica di  assessore,  di\nrevisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti  locali\npresso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici  e  privati,  ma\npossono essere  eletti  Sindaci  e  quindi  gestire  non  la  singola\nattivita\u0027 delegata, ma l\u0027intera amministrazione  comunale.  Per  tali\nragioni l\u0027impossibilita\u0027  di  interpretare  secondo  Costituzione  la\nnorma   induce   a   prospettare   la   questione   di   legittimita\u0027\ncostituzionale  dell\u0027art.  248,  comma  5,  decreto  legislativo   n.\n267/2000, laddove  dispone  per  gli  amministratori  il  divieto  di\nricoprire incarichi di assessore,  di  revisore  dei  conti  di  enti\nlocali  e  di  rappresentante  di  enti  locali  presso  altri  enti,\nistituzioni ed organismi pubblici e privati, per un periodo fisso  di\ndieci anni e  non  graduabile,  a  fronte  di  condotte  che  abbiano\ncontribuito al dissesto dell\u0027ente, sia a titolo di dolo che di  colpa\ngrave. \n    2. Pertanto, ai sensi e per gli effetti degli articoli 134  della\nCostituzione  e  23  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87,   devono\ndichiararsi rilevanti e non manifestamente infondate le questioni  di\nlegittimita\u0027 costituzionale  dell\u0027art.  248,  comma  5,  del  decreto\nlegislativo n. 267/2000 sopra  prospettate,  e  deve  di  conseguenza\ndisporsi  la  sospensione  del   giudizio   in   oggetto,   ordinando\nl\u0027immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale  e  gli\naltri adempimenti a cura della cancelleria di cui al dispositivo. \n    3. Le spese  del  giudizio  saranno  liquidate  alla  definizione\nintegrale del merito della presente controversia. \n\n \n                               P.Q.M. \n \n    La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Calabria,  non\ndefinitivamente  pronunciando  con   riferimento   al   giudizio   di\nopposizione ex art. 135  c.g.c.  relativo  a  giudizio  sanzionatorio\niscritto al n. 23983 del Registro di Segreteria: \n        Visti l\u0027art. 134 della Costituzione e l\u0027art. 23  della  legge\n11 marzo 1953, n. 87; \n        Dichiara  rilevanti  e  non  manifestamente   infondate,   in\nriferimento agli articoli 3 e 51 della Costituzione, le questioni  di\nlegittimita\u0027 costituzionale  dell\u0027art.  248,  comma  5,  del  decreto\nlegislativo  n.  267/2000,  prospettate  nei  termini   di   cui   in\nmotivazione; \n        Ordina la sospensione del giudizio; \n        Ordina alla Segreteria della Sezione di provvedere: \n          all\u0027immediata   trasmissione   degli   atti   alla    Corte\ncostituzionale; \n          alla notificazione della presente ordinanza alle  parti  in\ncausa, al pubblico  ministero  e  al  Presidente  del  Consiglio  dei\nministri; \n          alla comunicazione della presente ordinanza  ai  Presidenti\ndelle Camere del Parlamento; \n          ad ogni altro adempimento di competenza. \n        Spese del giudizio al definitivo. \n          Cosi\u0027 deciso in Catanzaro nelle camere di consiglio del  31\nottobre - 11 dicembre 2024. \n \n                Il Presidente f.f.: Marre\u0027 Brunenghi","elencoNorme":[{"id":"62402","ordinanza_anno":"","ordinanza_numero":"","ordinanza_numero_parte":"","cod_tipo_legge":"dlgs","denominaz_legge":"decreto legislativo","data_legge":"18/08/2000","data_nir":"2000-08-18","numero_legge":"267","descrizionenesso":"","legge_articolo":"248","specificaz_art":"","comma":"5","specificaz_comma":"","descrizione_attributo":"","descrizione_cat_rn":"","id_qualificazione":"","descrizione_qualificazione":"","link_norma_attiva":"http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:2000-08-18;267~art248"}],"elencoParametri":[{"id":"79067","ordinanza_numero_parte":"","tipo_lex_cost":"c","descriz_costit":"Costituzione","numero_legge":"","data_legge":"","articolo":"3","specificaz_art":"","comma":"","specificaz_comma":"","descrizionenesso":"","link_norma_attiva":"","unique_identifier":""},{"id":"79068","ordinanza_numero_parte":"","tipo_lex_cost":"c","descriz_costit":"Costituzione","numero_legge":"","data_legge":"","articolo":"51","specificaz_art":"","comma":"","specificaz_comma":"","descrizionenesso":"","link_norma_attiva":"","unique_identifier":""}],"elencoParti":[{"id":"54589","num_progressivo":"","nominativo_parte":"ASMEL","data_costit_part":"06/05/2025","flag_cost_fuori_termine":"No","indirizzo_difensore":"","id_avv_indirizzo":"","tipologia_parte":"AC","descrizione_tipologia_parte":"","sigla_parte":""},{"id":"54557","num_progressivo":"","nominativo_parte":"E. 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