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L\u0027oggetto del ricorso. \n    Con ricorso ex art. 28, decreto legislativo n. 150/2011 le  parti\nattrici hanno chiesto: \n      «Voglia il  Tribunale,  disattesa  ogni  contraria  istanza  in\naccoglimento delle domande  delle  signore  Maria  Nicolai,  Caterina\nCottatellucci, Federica Bernard, Elena Belotti: \n        a) accertare dichiarare il  carattere  discriminatorio  della\ncondotta tenuta dall\u0027INPS consistente nell\u0027aver omesso  di  applicare\nalle ricorrenti il medesimo esonero contributivo applicato, ai  sensi\ndell\u0027art. 1, commi 180 e 181, legge n. 213/2023, alle lavoratrici  in\nidentiche condizioni con rapporto di lavoro a tempo  indeterminato  e\npertanto nell\u0027aver richiesto/ricevuto/trattenuto per  contributi  IVS\nuna   quota    della    retribuzione    che    non    viene    invece\nrichiesta/ricevuta/trattenuta dalle lavoratrici con rapporto  a  temo\nindeterminato.  E,  conseguentemente,  adottare  ogni   provvedimento\nnecessario al fine di rimuovere la predetta discriminazione  e  farne\ncessare gli effetti; e pertanto, occorrendo nell\u0027ambito del piano  di\nrimozione di cui all\u0027art. 28, decreto legislativo n. 150/2011; \n        b) ordinare all\u0027INPS  di  restituire  alle  ricorrenti  sopra\nindicate  gli  importi  trattenuti  sulle  retribuzioni  maturate  da\ngennaio 2024 per il titolo di cui sopra e di comunicare ai datori  di\nlavoro delle stesse che  detti  importi  non  devono  essere  versati\nneppure per le  mensilita\u0027  necessarie  alla  sentenza,  fino  a  che\nsussistano le condizioni prevista dall\u0027art. 1, comma  180,  legge  n.\n213/2023; in accoglimento delle domande proposte da ASGI  aps  e  APN\nOnlus; \n        c)  ove  ritenuto  necessario,  dichiarare  rilevante  e  non\nmanifestatamente  infondata   la   questione   di   costituzionalita\u0027\ndell\u0027art. 1, commi 180 e 181, legge n. 181/2023 nella  parte  in  cui\nlimitano l\u0027esonero contributivo ivi previsto  alle  sole  lavoratrici\nmadri con contratto a tempo indeterminato e escludendo in  ogni  caso\nle lavoratrici con contratto  di  lavoro  domestico,  per  violazione\ndegli  articoli  3,  31,  117  della  Costituzione,  quest\u0027ultimo  in\nrelazione  alla  clausola  4  dell\u0027accordo  allegato  alla  direttiva\n1999/70, all\u0027art. 24, direttiva 2004/38, all\u0027art. 11, par. 1, lettera\na), direttiva 2003/109,  art.  12,  par.  1,  lettera  a),  direttiva\n2011/98, all\u0027art. 16, par. 1, direttiva 2021/1883,  nonche\u0027  all\u0027art.\n10  Convenzione   OIL   143/75;   e   all\u0027esito   del   giudizio   di\ncostituzionalita\u0027; \n        d) accertare e dichiarare il carattere discriminatorio  della\ncondotta tenuta dall\u0027INPS consistente nell\u0027aver omesso di applicare a\ntutte le lavoratrici con contratto di lavoro a  tempo  determinato  e\nalle lavoratrici domestiche il medesimo esonero contributivo previsto\ndall\u0027art. 1, commi 180 e 181, legge  n.  213/2023  e  applicato  alle\nlavoratrici in identiche condizioni soggettive con rapporto di lavoro\na  tempo  indeterminato  e  non  domestico;  e   pertanto   nell\u0027aver\nrichiesto/ricevuto/trattenuto da  dette  lavoratrici  una  quota  per\ncontributi IVS che  non  viene  invece  richiesta/ricevuta/trattenuta\nalle lavoratrici con rapporto lavoro  a  tempo  indeterminato  e  non\ndomestico. E conseguentemente, adottare ogni provvedimento necessario\nal fine di rimuovere la predetta discriminazione e farne cessare  gli\neffetti e, pertanto, occorrendo nell\u0027ambito del piano di rimozione di\ncu all\u0027art. 28, decreto legislativo n. 150/2011; \n        e) ordinare all\u0027INPS: \n          di restituire a tutte le lavoratrici con rapporto di lavoro\na tempo determinato e con rapporto di lavoro domestico che si trovino\nnelle condizioni soggettive di cui all\u0027art. 1, commi 180 e 181, legge\nn.  213/2023  gli  importi  trattenuti  per  contributi   IVS   sulle\nretribuzioni maturate da gennaio 2024 per il titolo di cui sopra; \n          di modificare sul punto sopra indicato la circolare  n.  27\ndel 31 gennaio 2024 e ogni altra circolare  o  messaggio  pertinente,\ncomunicando al pubblico sul proprio  sito  istituzionale  e  a  mezzo\napposita circolare che l\u0027esenzione contributiva prevista dai predetti\ncommi  deve  trovare  applicazione  anche  per  le  lavoratrici   con\ncontratto a tempo determinato e con contratto di lavoro domestico che\nsi trovino nelle condizioni soggettive previste da detti commi; \n        f) dato atto che statuizioni richieste  sub  e)  attengono  a\nobblighi di fare infungibili, condannare l\u0027amministrazione  convenuta\na pagare alle associazioni ricorrenti, ai sensi dell\u0027art. 614-bis del\ncodice di procedura civile, euro 100,00 per ogni  giorno  di  ritardo\nnell\u0027adempimento del predetto obbligo, a  decorrere  dal  novantesimo\ngiorno successivo alla notifica della emananda sentenza; \n        g) disporre la  pubblicazione  dell\u0027emananda  sentenza  sulla\nhome page del sito istituzionale dell\u0027amministrazione per  minimo  di\ngiorni trenta e/o o su uno o piu\u0027 quotidiani a tiratura nazionale che\nil Tribunale vorra\u0027 indicare. \n        h)  condannare  l\u0027INPS  a  rifondere  alle  ricorrenti  spese\ndiritti del presente  procedimento  (ivi  compreso  il  rimborso  del\ncontributo unificato) spese da distrarsi in  favore  dei  procuratori\nche si dichiarano antistatari». \n    In  particolare,  le  attrici  hanno  denunciato   il   carattere\ndiscriminatorio della condotta tenuta dall\u0027INPS consistente nell\u0027aver\nomesso di applicare alle lavoratrici attrici (tutte madri con  due  o\ntre figli  e  assunte  con  contratti  a  tempo  determinato)  e,  in\ngenerale, a tutte le lavoratrici con  contratto  di  lavoro  a  tempo\ndeterminato e alle lavoratrici domestiche l\u0027esonero  contributivo  di\ncui ai commi 180 e 181, dell\u0027art. 1, legge n. 213/2023. \n    Per questo, hanno chiesto l\u0027accertamento  dell\u0027illegittimita\u0027  di\ntale norma nella parte in cui esclude dall\u0027esenzione contributiva  le\nlavoratrici madri con contratto a termine e quelle  con  rapporto  di\nlavoro domestico. \n    A  parere   della   difesa   attorea,   la   discriminazione   si\nsostanzierebbe sotto le seguenti concorrenti prospettive: \n      a) per violazione dell\u0027obbligo di parita\u0027 di trattamento  nelle\ncondizioni  di  lavoro  tra  lavoratrici  a   tempo   determinato   e\nlavoratrici a tempo indeterminato sancito dalla clausola 4, punto  1,\ndell\u0027accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE; \n      b) per una discriminazione indiretta in danno delle lavoratrici\nstraniere (titolari di permessi di lavoro) che  sono  statisticamente\npresenti tra  le  lavoratrici  a  tempo  determinato  in  percentuale\nnotevolmente piu\u0027 alta delle lavoratrici di cittadinanza italiana; \n      c) perche\u0027, escludendo le lavoratrici  domestiche,  si  avrebbe\nuna ulteriore discriminazione indiretta in  danno  delle  lavoratrici\nstraniere (titolari di permessi di lavoro), che sono  statisticamente\npresenti  tra  le  lavoratrici  di  detto  settore   in   percentuale\nnotevolmente piu\u0027 alta rispetto alle lavoratrici  della  cittadinanza\nitaliana; \n      d) perche\u0027, in ogni caso,  vi  sarebbe  un  contrasto  con  gli\narticoli 3 e 31 della Costituzione. \n    Su questa linea, l\u0027illegittimita\u0027 delle disposizioni censurate e\u0027\nstata fatta valere sotto due differenti profili: \n      1) quello della discriminazione individuale, in relazione  alle\nattrici persone  fisiche,  in  quanto  «Costoro  sono  legittimate  a\ncontestare la predetta norma in quanto si trovano (a parita\u0027 di  ogni\naltra condizione, ivi compresi gli ditti  sulla  futura  pensione)  a\npercepire una retribuzione netta inferiore di almeno il 2% rispetto a\nquella percepita da una lavoratrice a tempo indeterminato» (cfr. pag.\n7 del ricorso); \n      2)  quello  della  discriminazione  collettiva,  «in  quanto  i\nrequisiti   che   vengono   dedotti   come   discriminatoti   pongono\nindirettamente  in  una  posizione  di  particolare   svantaggio   la\ncollettivita\u0027 indeterminata delle  lavoratrici  madri  straniere  con\nalmeno 2 figli (o 3 dal gennaio prossimo) che si trovano a  percepire\nuna retribuzione netta inferiore del 2,19% o del 3,19% (a seconda del\nlivello retributivo5 ) rispetto a quella percepita da una lavoratrice\na tempo indeterminato per il solo 2024; e inferiore del 9,19% per i l\n2025 e 2026» (cfr. pag. 7 del ricorso). \n    In tal senso, le  parti  attrici  hanno  sollevato  questione  di\nlegittimita\u0027 costituzionale dell\u0027art. 1, commi 180 e  181,  legge  n.\n213/2023: \n        per violazione dell\u0027art. 117, comma  1,  della  Costituzione,\npoiche\u0027 la  norma  contestata,  nel  prevedere  un  trattamento  meno\nfavorevole per le lavoratrici madri titolari di un rapporto di lavoro\na tempo determinato o di un contratto di  lavoro  domestico  rispetto\nalle lavoratrici madri con rapporto di lavoro a tempo  indeterminato,\nsi porrebbe in contrasto con la clausola  4,  punto  1,  dell\u0027accordo\nquadro allegato alla  direttiva  1999/70/CE,  e,  nell\u0027implicare  una\ndiscriminazione indiretta in ragione della  nazionalita\u0027  consistente\nnell\u0027esclusione  delle  lavoratrici  a  tempo  determinato  e   delle\nlavoratrici domestiche (essendo ambiti  lavorativi  occupati  da  una\npercentuale di lavoratrici straniere notevolmente piu\u0027 alta  rispetto\nalle lavoratrici di cittadinanza italiana), si porrebbe in  contrasto\ncon le direttive dell\u0027Unione europea nn. 2004/38, 2003/109,  2011/98,\n2021/1883; \n        per  violazione   dell\u0027art.   3   della   Costituzione,   per\nl\u0027irragionevolezza dell\u0027esclusione  dall\u0027esonero  contributivo  delle\nlavoratrici madri con due figli titolari di un rapporto di  lavoro  a\ntempo determinato o di un contratto di lavoro domestico \n        per violazione dell\u0027art. 31 della  Costituzione,  posto  che,\nuna  volta  che  l\u0027ordinamento  abbia  valutato  come  opportuno   un\ndeterminato intervento a sostegno della famiglia e della  maternita\u0027,\nnon puo\u0027 irragionevolmente escludere famiglie e madri che si  trovino\nnella medesima condizione personale e familiare oggetto di tutela. \n2. Le difese dell\u0027INPS. \n    L\u0027INPS si e\u0027 costituito in giudizio ed ha contestato  le  pretese\navversarie, eccependo in via preliminare il difetto di legittimazione\nattiva delle associazioni attrici e l\u0027inammissibilita\u0027 del ricorso. \n    Con riferimento ai paventati dubbi di costituzionalita\u0027, a parere\ndell\u0027INPS: \n        la norma oggetto di denuncia non crea alcuna disparita\u0027,  non\navendo peraltro ne\u0027 finalita\u0027 sociale ne\u0027 finalita\u0027 di incentivo alla\nmaternita\u0027 ne\u0027 finalita\u0027 d\u0027incentivo  alla  partecipazione  femminile\ngenerica al lavoro; \n        essendo l\u0027assenza di stabilita\u0027 la caratteristica  comune  al\nlavoro a tempo determinato e al lavoro domestico, dovrebbe  ritenersi\nche  il  legislatore  abbia  inteso  incentivare  la   partecipazione\nfemminile al lavoro, ma non genericamente a qualsiasi lavoro,  bensi\u0027\nal lavoro stabile; \n        la misura prevista dichiaratamente non e\u0027 eccezionale  ed  e\u0027\ncollegata alla maternita\u0027, in quanto evento tipicamente  femminile  e\nche,  tipicamente,  costituisce  una  delle   principali   cause   di\ndiscriminazione femminile sul lavoro; \n        la non eccezionalita\u0027 della misura e il collegamento  con  la\nmaternita\u0027 sono volti a consolidare  nelle  donne  e  nei  datori  di\nlavoro l\u0027affidamento sulla serieta\u0027 della previsione e sulla sua  non\ncaducita\u0027. \n3. Sull\u0027eccezione di difetto di legittimazione attiva. \n    Preliminarmente va disattesa l\u0027eccezione, sollevata dall\u0027INPS, in\nordine al difetto di legittimazione attiva delle associazioni  APN  -\nAvvocati Per Niente ONLUS e ASGI - Associazione degli Studi Giuridici\nsull\u0027immigrazione. \n    Ed invero, l\u0027art. 4, comma 3, 1egge n. 67/2006 prevede  che:  «le\nassociazioni e gli enti di cui al comma 1 sono  altresi\u0027  legittimati\nad agire, in relazione ai  comportamenti  discriminatoti  di  cui  ai\ncommi  2  e  3  dell\u0027art.  2,  quando   questi   assumano   carattere\ncollettivo». \n    Orbene, la controversia in  esame,  nella  parte  azionata  dalle\nassociazioni attrici, ha proprio ad  oggetto  una  fattispecie  volta\nall\u0027accertamento di una discriminazione collettiva nei  confronti  di\nsoggetti  non  direttamente  e   immediatamente   individuabili   (la\ngeneralita\u0027 delle lavoratrici straniere)  ed  e\u0027  stata  promossa  da\nassociazioni iscritte nell\u0027apposito elenco di cui all\u0027art. 5, decreto\nlegislativo n. 215/2003 (all. n.  11  al  ricorso),  tenuto  peraltro\nconto delle loro previsioni statutarie (all. nn. 12-13 al ricorso)  e\ndelle finalita\u0027 perseguite da esse. \n    Del    resto,    secondo    formai    consolidato    orientamento\ngiurisprudenziale   «nella   materia   della   tutela    contro    le\ndiscriminazioni collettive, la legittimazione ad agire in capo ad  un\nsonetto  collettivo  non  rappresenta  un\u0027eccezione  ma  una   regola\nfunzionale all\u0027esigenza di apprestare tutela, attraverso  un  rimedio\ndi natura inibitoria, ad una  serie  indeterminata  di  soggetti  per\ncontrastare il rischio di una lesione avente natura diffusiva  e  che\npercio\u0027 deve essere, per quanto possibile, prevenuta  o  circoscritta\nnella propria portata offensiva (voci fazione  prevista  dal  decreto\nlegislativo  n.  215  del  2003,  art.  5  per  la   repressione   di\ncomportamenti discriminatori  per  ragioni  di  razza  o  di  origine\netnica; quella di cui al decreto legislativo n.  9  luglio  2003,  n.\n216, art. 4 recante l\u0027attuazione della dir. 2000/78/CE per la parita\u0027\ndi trattamento in materia di occupazione e di condizioni  di  lavoro;\nfazione di  cui  all\u0027art.  4  per  la  repressione  di  comportamenti\ndiscriminatori in danno di persone con disabilita\u0027, di cui alla legge\n1° marzo 2006, n. 6, recante misure per la tutela  giudiziaria  delle\npersone con  disabilita\u0027  vittime  di  discriminazioni;  fazione  per\ncontrastare le discriminazioni per ragioni di  sesso  nell\u0027accesso  a\nbeni e servizi e loro fornitura, di cui  al  decreto  legislativo  11\naprile 2006, n. 198, art. 55-quinquies, recante il codice delle  pari\nopportunita\u0027 tra uomo e donna, a norma della legge 28 novembre  2005,\nn. 246, art. 6); e) costituirebbe percio\u0027 una  vistosa  eccezione  il\nmancato conferimento della legittimazione ad agire in capo ad un ente\nesponenziale in caso di discriminazione  collettiva  per  il  fattore\nnazionalita\u0027, non  giustificabile,  alla  luce  del  fatto  che  esso\nrisulta, come si e\u0027 visto, fattore discriminatorio parimenti  vietato\nin ogni campo della vita sociale (lavorativa ed extra-lavorativa)  ai\nsensi dell\u0027art. 43 TU immigrazione. 10. Anche la giurisprudenza della\nCGUE, ha gia\u0027 sostenuto (Corte di Giustizia CE,  Sez.  2,  10  luglio\n2008 - C-54/07) la rilevanza della  discriminazione  collettiva,  sia\npure alla luce della Direttiva 2000/43/CE  (che  attua  il  principio\ndella parita\u0027 di trattamento fra le persone  indipendentemente  dalla\nrazza  e  dall\u0027origine  etnica);  riconoscendo,  da  una  parte,  che\nl\u0027esistenza  di  una  discriminazione  diretta  «non  presuppone   un\ndenunciante identificabile che asserisca di essere stato  vittima  di\ntale discriminazione»  (e  pertanto  riconoscendo  che  essa  potesse\nessere fatta valere in giudizio alla luce del  diritto  nazionale  da\nuna associazione collettiva), ed  affermando,  dall\u0027altra,  che  allo\nscopo sia  sufficiente  considerare  la  potenzialita\u0027  lesiva  della\ncondotta denunciata) (Cass. n. 28745/2019). \n    L\u0027eccezione va comunque respinta. \n4. Sull\u0027eccezione di inammissibilita\u0027 del ricorso. \n    Neppure  sembra  cogliere  nel  segno  l\u0027eccezione  dell\u0027INPS  in\nrelazione all\u0027asserita inammissibilita\u0027  del  ricorso  in  quanto  la\ncontribuzione non rientrerebbe tra le materie per cui  e\u0027  azionabile\nil rimedio di cui all\u0027art. 28 decreto legislativo n. 150/2011. \n    Ed  invero,  l\u0027art.  44,   decreto   legislativo   n.   286/1998,\nespressamente  menzionato  dall\u0027art.  28,  decreto   legislativo   n.\n150/2011, attiene a qualsiasi comportamento discriminatorio  adottato\nda un privato o da una pubblica amministrazione. Inoltre,  l\u0027art.  3,\ndecreto legislativo n. 216/2003, anch\u0027esso  espressamente  menzionato\ndall\u0027art. 28, decreto legislativo n. 150/2011, prevede tra le aree di\npertinenza anche «occupazione e condizioni di lavoro»,  in  cui  puo\u0027\nfarsi rientrare una misura come quella di causa che, pur riconoscendo\nun esonero contributivo, incide sulla retribuzione netta percepita. \n    Tanto basta a respingere anche questa eccezione. \n5. La questione di legittimita\u0027 costituzionale. \n    Avuto  riguardo  alle  domande  attoree,  il  Tribunale   ritiene\nrilevante e non manifestamente infondata la  sollevata  questione  di\nlegittimita\u0027 costituzionale dell\u0027art. 1, commi 180 e  181,  legge  n.\n213/2023 per le ragioni che si espongono di seguito. \n5.1. Con riferimento alla rilevanza della questione  di  legittimita\u0027\ncostituzionale. \n    L\u0027art. 1, legge 30 dicembre 2023, n. 213, ai commi 180, 181 e 182\ndispone: \n      «180. Fermo restando quanto previsto al comma 15, per i periodi\ndi paga dal 1° gennaio 2024 al  31  dicembre  2026  alle  lavoratrici\nmadri di tre o piu\u0027 figli con rapporto di lavoro dipendente  a  tempo\nindeterminato, ad esclusione dei rapporti  di  lavoro  domestico,  e\u0027\nriconosciuto un esonero del 100 per cento della quota dei  contributi\nprevidenziali per l\u0027invalidita\u0027, la vecchiaia e i superstiti a carico\ndel lavoratore fino al mese di compimento del  diciottesimo  anno  di\neta\u0027 de/figlio piu\u0027 piccolo, nel limite massimo annuo di  3.000  euro\nriparametrato su base mensile. \n      181. L\u0027esonero di cui al comma  180  e\u0027  riconosciuto,  in  via\nsperimentale, per i periodi  di  paga  dal  1°  gennaio  2024  al  31\ndicembre 2024 anche alle lavoratrici madri di due figli con  rapporto\ndi  lavoro  dipendente  a  tempo  indeterminato,  ad  esclusione  dei\nrapporti di lavoro domestico, fino al mese del compimento del  decimo\nanno di eta\u0027 de/figlio piu\u0027 piccolo. \n      182. Per gli esoneri di cui ai commi  180  e  181  resta  ferma\nl\u0027aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche». \n    Con circolare n. 27 del 31 gennaio 2024 (all. n.  2  al  ricorso)\nl\u0027INPS ha. fornito chiarimenti e  adottato  istruzioni  operative  in\nrelazione alle citate disposizioni, confermando tra  l\u0027altro  che  le\nlavoratrici a tempo determinato  e  le  lavoratrici  domestiche  sono\nescluse dal beneficio. \n    Quanto alla situazione delle  lavoratrici  attrici,  e\u0027  pacifico\nche: \n      Maria Nicolai, assunta con contratto a tempo  determinato  alle\ndipendenze di Azione Solidale soc. coop. e madre di  tre  figli,  nel\n2024 ha  subito  mensilmente  una  trattenuta  del  9,19%  della  sua\nretribuzione  a  titolo  di  contributi  INPS  e,  al  contempo,  una\n«restituzione»  del  7%  a  titolo  di  «esonero   contributi   IVS»,\npercependo  mediamente  una  retribuzione  inferiore  di  euro  21,00\nrispetto a quella percepita, a parita\u0027 di ogni altra  condizione,  da\nuna lavoratrice a tempo indeterminato; \n      Caterina Cottatellucci,  Federica  Bernard  ed  Elena  Belotti,\ntutte assunte con contratto a tempo determinato alle  dipendenze  del\nMinistero  dell\u0027Istruzione  e  madri  di  due  figli,  hanno   subito\nmensilmente una trattenuta dell\u00278,8% su 118 della loro retribuzione a\ntitolo di contributi INPS-ex INPDAP e, al contempo, la «restituzione»\ndel 6% a titolo di «esonero contributi  IVS»,  percependo  cosi\u0027  una\nretribuzione inferiore del 2,8% (quindi  mediamente  euro  46,99  per\nciascuna) rispetto a  quella  percepita,  a  parita\u0027  di  ogni  altra\ncondizione, da una lavoratrice a tempo indeterminato. \n    Con il ricorso introduttivo del presente  procedimento  le  parti\nattrici, tra le altre cose, hanno chiesto al  Tribunale  di  ordinare\nall\u0027INPS: \n      a) di restituire a tutte le lavoratrici con rapporto di  lavoro\na tempo determinato e con rapporto di lavoro domestico che si trovino\nnelle condizioni soggettive di cui all\u0027art. 1, commi 180 e 181, legge\nn.  213/2023  gli  importi  trattenuti  per  contributi   IVS   sulle\nretribuzioni maturate da gennaio 2024; \n      b) di modificare la circolare n. 27 del 31 gennaio 2024 e  ogni\naltra circolare o messaggio pertinente, nella parte in cui  escludono\nl\u0027applicazione  dell\u0027esonero  contributivo  per  le  lavoratrici  con\nrapporto di lavoro a tempo  determinato  e  con  rapporto  di  lavoro\ndomestico, comunicando al pubblico sul proprio sito istituzionale e a\nmezzo apposita circolare che l\u0027esenzione  contributiva  deve  trovare\napplicazione  anche  per  le  lavoratrici  con  contratto   a   tempo\ndeterminato e con contratto di lavoro domestico che si trovino  nelle\ncondizioni soggettive previste dall\u0027art. 1, commi 180 e 181, legge n.\n213/2023. \n    Le domande cosi\u0027 formulate appaiono quindi  tese  a  impedire  il\nripetersi  de  futuro  di  discriminazioni  che  possano  coinvolgere\nqualsiasi  lavoratrice  madre  con  rapporto  di   lavoro   a   tempo\ndeterminato  o  con  rapporto  di  lavoro  domestico,  attraverso  la\nrimozione delle disposizioni contenute nella circolare INPS n. 27 del\n31 gennaio 2024, che sono sostanzialmente  riproduttive  della  norma\nlegislativa oggetto di censura. \n    Proprio in ragione di cio\u0027, il presente giudizio non puo\u0027  essere\ndefinito  indipendentemente  dalla  risoluzione  della  questione  di\nlegittimita\u0027 costituzionale, tenuto conto  che,  in  presenza  di  un\ncontrasto con norme del diritto dell\u0027Unione europea aventi  efficacia\ndiretta, non risulta percorribile la via della disapplicazione  della\nnorma interna. \n    Infatti, come chiarito nella sentenza della Corte  costituzionale\nn. 1512024, nell\u0027ambito  di  un  giudizio  ex  art.  28  del  decreto\nlegislativo n. 150 del 2011 in cui si discuta di norme legislative  e\nregolamentari in contrasto (anche) con norme del diritto  dell\u0027Unione\neuropea dotate di efficacia diretta: da un lato, il giudice ordinario\npuo\u0027 impartire un ordine di rimozione delle discriminazioni accertate\na tutela del bene della vita  delle  parti  attrici,  dando  piena  e\nimmediata attuazione al diritto dell\u0027Unione europea; dall\u0027altro lato,\npero\u0027, se il giudice  ordinario  intende  impedire  il  ripetersi  de\nfuturo  di  discriminazioni  identiche   o   analoghe   che   possano\ncoinvolgere qualsiasi altro soggetto  che  si  trovi  nelle  medesime\ncondizioni, deve sollevare questione di  legittimita\u0027  costituzionale\nsulle norme  legislative  ritenute  incompatibili  con  le  norme  di\ndiritto dell\u0027Unione europea aventi efficacia diretta. \n    In tal senso, la Corte costituzionale ha affermato  che,  laddove\nla norma regolamentare  sia  sostanzialmente  riproduttiva  di  norma\nlegislativa, ordinarne la rimozione, con effetti che  travalicano  il\ncaso che ha originato il giudizio  antidiscriminatorio,  implica  che\nsia sollevata questione di legittimita\u0027 costituzionale sulla  seconda\n(cfr. Corte costituzionale n. 1512024: «In  particolare,  nell\u0027ambito\ndel giudizio ex art. 28 del decreto legislativo n. 150 del  2011,  la\nprimaute\u0027 e\u0027 garantita dal giudice ordinario  innanzitutto  allorche\u0027\ne\u0027 chiamato ad accertare l\u0027esistenza  dell\u0027asserita  discriminazione.\nE\u0027 in questo momento del  giudizio  che  egli,  ove  accerti  che  la\ncondotta  per  cui  e\u0027  causa  trova  fondamento  in  atti  normativi\nincompatibili con normativa dell\u0027Unione europea a efficacia  diretta,\nda\u0027 immediata applicazione a  quest\u0027ultima  e  ordina  la  cessazione\ndella discriminazione. \n    Nel giudizio  dinanzi  al  Tribunale  di  Udine,  il  giudice  ha\nritenuto, per l\u0027appunto, che fosse discriminatoria e in contrasto con\nl\u0027art.  11  della  direttiva  2003/109/CE  l\u0027impossibilita\u0027   per   i\nricorrenti di avvalersi, per attestare l\u0027impossidenza di immobili, di\nuna dichiarazione sostitutiva ai sensi  del  decreto  del  Presidente\ndella Repubblica n. 445 del 2000. Conseguentemente, e  correttamente,\nnon ha applicato la normativa legislativa e regolamentare che prevede\ndetta impossibilita\u0027 e,  in  diretta  applicazione  della  richiamata\nnormativa europea, ha ordinato di valutare la domanda dei  ricorrenti\n- volta a ottenere il  contributo  per  l\u0027acquisto  dell\u0027alloggio  da\ndestinare a prima  casa  -  «come  se  la  documentazione  attestante\nl\u0027impossidenza di altri immobili fosse stata regolarmente prodotta in\nbase agli stessi criteri valevoli per i cittadini comunitari». E\u0027  in\nquesto momento del giudizio che il Tribunale di Udine,  adottando  il\npredetto ordine, ha a  pieno  garantito  i  principi  del  primato  e\ndell\u0027effetto diretto del diritto dell\u0027Unione europea. \n    L\u0027impartito ordine di  rimuovere  l\u0027art.  12,  comma  3-bis,  del\nregolamento regionale n. 0144 del 2016, che sostanzialmente riproduce\nl\u0027art. 29, comma 1-bis, della legge regionale  Friuli-Venezia  Giulia\nn. 1 del 2016, costituisce,  invece,  il  piano  di  rimozione  delle\ndiscriminazioni accertate che il Tribunale di Udine  ha  ritenuto  di\ndover  adottare.  Una  volta  attribuito  il  bene  della   vita   ai\nricorrenti, dando piena e immediata attuazione al diritto dell\u0027Unione\neuropea,  il  giudice  ha  inteso  poi  impedire  il   ripetersi   di\ndiscriminazioni identiche o  analoghe  che  possano  coinvolgere  non\ntanto i ricorrenti, ma qualsiasi altro soggetto che  si  trovi  nelle\nmedesime condizioni. \n    In quest\u0027ambito del giudizio non viene piu\u0027 in rilievo l\u0027esigenza\nche il diritto dell\u0027Unione europea dotato di efficacia diretta  trovi\nimmediata applicazione (Corte di giustizia, sentenza 22 giugno  2010,\nin cause C-188/10, Melki e C-189/10, Abdeli), perche\u0027  tale  esigenza\ne\u0027 stata, appunto, gia\u0027 pienamente soddisfatta. Qui viene  in  gioco,\ninvece, una logica interna all\u0027ordinamento  nazionale  che,  con  una\nforma rimediale peculiare e aggiuntiva,  e\u0027  funzionale  a  garantire\nun\u0027efficace rimozione, anche pro futuro,  della  discriminazione:  il\nche peraltro, quando sia stata rilevata  un\u0027incompatibilita\u0027  con  il\ndiritto dell\u0027Unione europea, fa dell\u0027art. 28 del decreto  legislativo\nn. 150  del  2011  uno  strumento  che  garantisce  anche  l\u0027uniforme\napplicazione di tale diritto e che contribuisce alla «costruzione  di\ntutele sempre piu\u0027 integrate» (sentenza n. 67 del 2022). \n    In   quest\u0027ottica,   laddove   la   norma    regolamentare    sia\nsostanzialmente  riproduttiva  di  norma  legislativa,  ordinarne  la\nrimozione  implica  che  sia  sollevata  questione  di   legittimita\u0027\ncostituzionale sulla seconda. La non applicazione per  contrasto  con\nil diritto dell\u0027Unione europea a efficacia diretta -  necessaria  per\nl\u0027attribuzione immediata  del  bene  della  vita  negato  sulla  base\ndell\u0027accertata discriminazione  -  non  rimuove,  infatti,  la  legge\ndall\u0027ordinamento con immediata efficacia  erga  omnes,  ma  impedisce\nsoltanto «che tale norma venga in rilievo per  la  definizione  della\ncontroversia innanzi al  giudice  nazionale»  (sentenza  n.  170  del\n1984). L\u0027ordine di rimozione della norma regolamentare - che proietta\ni suoi effetti, per espressa  scelta  del  legislatore  compiuta  con\nl\u0027art. 28 del decreto legislativo n. 150 del 2011, oltre il caso  che\nha originato il giudizio antidiscriminatorio - richiede, allora,  che\nsia dichiarata l\u0027illegittimita\u0027 costituzionale della legge, la quale,\nancorche\u0027  non  applicata  nel  caso  concreto,  e\u0027  ancora  vigente,\nefficace  e,  sia  pure  in  ipotesi  erroneamente,  suscettibile  di\napplicazione da parte della pubblica amministrazione o anche di altri\ngiudici che ne valutino diversamente la compatibilita\u0027 con il diritto\ndell\u0027Unione europea. \n    Sono, dunque, tanto l\u0027ordinato funzionamento  del  sistema  delle\nfonti  interne  -  e,  nello  specifico,  i  rapporti  tra  legge   e\nregolamento regionali  anche  in  relazione  al  diritto  dell\u0027Unione\neuropea  -  quanto  l\u0027esigenza  che  i  piani  di   rimozione   della\ndiscriminazione siano efficaci a richiedere che il giudice ordinario,\nse  correttamente  intenda  ordinare  la  rimozione  di   una   norma\nregolamentare al fine di evitare il riprodursi della  discriminazione\nde futuro, sollevi questione  di  legittimita\u0027  costituzionale  sulla\nnorma legislativa sostanzialmente riprodotta dall\u0027atto regolamentare,\nanche dopo che si sia accertata  l\u0027incompatibilita\u0027  di  dette  norme\ninterne con norme di diritto  dell\u0027Unione  europea  aventi  efficacia\ndiretta. \n    E lo stesso discorso non puo\u0027 che valere in una fattispecie, come\nquella di causa, afferente ad  una  circolare  di  un  ente  pubblico\nriproduttiva di norma legislativa  (in  contrasto  con  la  normativa\neuropea) e al comportamento dell\u0027ente che si  e\u0027  conformato  a  tale\nnorma. \n    Infatti, solo  una  pronuncia  di  illegittimita\u0027  costituzionale\nconsentirebbe di rimuovere la norma  dall\u0027ordinamento  con  immediata\nefficacia  erga  omnes  ed  evitare   cosi\u0027   il   riprodursi   della\ndiscriminazione de futuro (finalita\u0027, questa, evidentemente collegata\nalle pretese azionate nel presente giudizio). \n5.2. Con riferimento alla non manifesta infondatezza della  questione\ndi legittimita\u0027 costituzionale. \n    L\u0027art. 1, commi 180 e  181,  legge  n.  213/2023  pone  dubbi  di\nlegittimita\u0027 costituzionale in due parti: \n      1) nella parte in  cui  non  riconosce  l\u0027esonero  contributivo\nanche alle lavoratrici madri di tre o piu\u0027 figli (e, per i periodi di\npaga dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2024, anche alle  lavoratrici\nmadri di due  figli)  con  rapporto  di  lavoro  dipendente  a  tempo\ndeterminato; \n      2) nella parte in cui  esclude  l\u0027esonero  contributivo  per  i\nrapporti di  lavoro  domestico.  Il  Tribunale  non  ritiene  che  la\nquestione di legittimita\u0027 costituzionale sia manifestamente infondata\ncon riguardo ad entrambe le parti. \n    Deve allora procedersi ad un esame distinto delle due parti della\nnorma impugnata, si da evidenziare le disposizioni della Costituzione\nche si assumono violate. \n    5.2.1.  In  relazione  al  mancato  riconoscimento   dell\u0027esonero\ncontributivo alle lavoratrici madri a tempo determinato. \n    5.2.1.1. Violazione dell\u0027art. 3 della Costituzione \n    Con riferimento alla  parte  della  norma  impugnata  che  limita\nl\u0027esonero contributivo alle lavoratrici  con  rapporto  di  lavoro  a\ntempo indeterminato e non lo estende anche a quelle con  rapporto  di\nlavoro  a  tempo  determinato,  si  ritiene  che  il   parametro   di\nriferimento debba essere  individuato  anzitutto  nell\u0027art.  3  della\nCostituzione, per  l\u0027ingiustificata  e  irragionevole  disparita\u0027  di\ntrattamento. \n    Non sembra infatti potersi giustificare, alla stregua dell\u0027art. 3\ndella Costituzione, che le  lavoratrici  madri  a  tempo  determinato\nsiano trattate in modo deteriore rispetto alle  lavoratrici  madri  a\ntempo indeterminato, tenuto conto che si tratta di due categorie, sul\npiano contributivo, sostanzialmente omogenee. \n    Del resto, come rilevato in ricorso, il beneficio previsto  dalla\nnorma non ha alcuna incidenza sul regime legale di previdenza sociale\n(che  rimane  identico  per  le  due  tipologie  di   contratto   qui\nconsiderate),  ma  incide  esclusivamente  sulla  retribuzione  netta\npercepita, a parita\u0027 di ogni altra condizione, «sottraendo» alla sola\nlavoratrice a tempo determinato una quota della retribuzione  stessa,\nche viene invece lasciata  nella  retribuzione  della  lavoratrice  a\ntempo indeterminato. \n    Peraltro, il beneficio, diversamente da quello previsto dal comma\n15 del medesimo art. 1 («In via eccezionale, per i  periodi  di  paga\ndal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2024, per  i  rapporti  di  lavoro\ndipendente, con esclusione  dei  rapporti  di  lavoro  domestico,  e\u0027\nriconosciuto un esonero, senza  effetti  sul  rateo  di  tredicesima,\nsulla  quota  dei  contributi  previdenziali  per  l\u0027invalidita\u0027,  la\nvecchiaia  e  i  superstiti  a  carico  del  lavoratore  di  6  punti\npercentuali, a condizione che la retribuzione imponibile, parametrata\nsu base mensile per tredici mensilita\u0027, non ecceda l\u0027importo  mensile\ndi 2.692 euro, al netto del rateo di tredicesima, opera per qualsiasi\nretribuzione  (anche  una  retribuzione  elevata  gode  dello  sconto\ncontributivo, se pure solo fino al limite di 3.000,00 euro). \n     Inoltre, non puo\u0027 dirsi (come pure confermato dall\u0027INPS) che  la\nfinalita\u0027 della norma sia quella di incentivo all\u0027assunzione a  tempo\nindeterminato,  dacche\u0027  il  beneficio  e\u0027  riconosciuto  anche  alle\nlavoratrici a tempo indeterminato gia\u0027 assunte. \n    Ne\u0027 il carattere di stabilita\u0027 dei contratti di  lavoro  a  tempo\nindeterminato potrebbe valere ex se a giustificare la  previsione  in\nesame: al  contrario,  sembrerebbe  piu\u0027  ragionevole  attribuire  il\nbeneficio contributivo (con effetti diretti  di  natura  retributiva)\nalle lavoratrici precarie, che hanno  minori  certezze  lavorative  e\ndispongono  mediamente  di  retribuzioni  piu\u0027  basse  rispetto  alle\nlavoratrici a tempo indeterminato. \n    5.2.1.2. Violazione dell\u0027art. 31 della Costituzione \n    Neppure sembra manifestamente  infondata  la  deduzione  relativa\nalla paventata violazione dell\u0027art. 31 della Costituzione,  per  come\nprospettato dalla difesa attorea. \n    Ed  invero,  la  norma  impugnata  risulterebbe  garantire   alla\nmaternita\u0027 e alla famiglia numerosa di una donna,  con  contratto  di\nlavoro a tempo indeterminato  una  protezione  diversa  (e  migliore)\nrispetto a quelle di una  donna  con  contratto  di  lavoro  a  tempo\ndeterminato. \n    L\u0027irragionevolezza   dell\u0027esclusione    dal    beneficio    delle\nlavoratrici madri a tempo determinato  finisce  quindi  per  incidere\nnegativamente  sul  piano  delle  tutele  della  maternita\u0027  e  della\nfamiglia, implicando cosi\u0027 anche la  violazione  dell\u0027art.  31  della\nCostituzione. \n    5.2.1.3. Violazione dell\u0027art. 117, comma  1,  della  Costituzione\nper contrasto  con  la  clausola  4,  punto  1,  dell\u0027accordo  quadro\nallegato alla direttiva 1999/70/CE \n    Oltre alla violazione degli articoli 3 e 31  della  Costituzione,\nsembra poi venire in rilievo anche la violazione dell\u0027art. 117, comma\n1,   della   Costituzione   in   relazione   ai   vincoli   derivanti\ndall\u0027ordinamento dell\u0027Unione europea. \n    Ed invero, la clausola 4, punto 1, dell\u0027accordo  quadro  allegato\nalla  direttiva  1999/70/CE  prevede  che  «Per  quanto  riguarda  le\ncondizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato  non  possono\nessere trattati in  modo  meno  favorevole  dei  lavoratori  a  tempo\nindeterminato comparabili per il solo fatto di avere un  contratto  o\nrapporto di lavoro a tempo determinato, a  meno  che  non  sussistano\nragioni oggettive». \n    Detta clausola, dunque, sancisce il divieto, per quanto  riguarda\nle  condizioni  di  impiego,  di  trattare  i  lavoratori   a   tempo\ndeterminato in modo meno favorevole rispetto ai  lavoratori  a  tempo\nindeterminato che si trovano in una situazione  comparabile,  per  il\nsolo fatto che essi lavorano a tempo  determinato,  a  meno  che  non\nsussistano ragioni oggettive. \n    Secondo la giurisprudenza della Corte  di  giustizia  dell\u0027Unione\neuropea, la direttiva 1999/70 e l\u0027accordo quadro trovano applicazione\nnei confronti  di  tutti  i  lavoratori  che  forniscono  prestazioni\nretribuite nell\u0027ambito di un rapporto di impiego a tempo  determinato\nche li vincola al loro datore di lavoro (cfr. CGUE ordinanza  del  22\nmarzo 2018, Centeno Melendez, C-315/17,  EU:C:2018:207,  punto  38  e\ngiurisprudenza ivi citata). \n    Per quanto riguarda la nozione  di  «condizioni  di  impiego»  ai\nsensi della citata clausola 4, punto 1,  dalla  giurisprudenza  della\nCorte di giustizia risulta che il criterio decisivo  per  determinare\nse una misura rientri in tale nozione e\u0027 proprio quello dell\u0027impiego,\nvale a dire il rapporto di lavoro sussistente tra un lavoratore e  il\nsuo datore di lavoro (cfr. CGUE sentenza del  5  giugno  2018,  Grupo\nNorte Facility, C-574/16, EU:C:2018:390, punto  41  e  giurisprudenza\nivi citata; sentenza del 20 giugno 2019, Ustariz Arostegui,  C-72/18,\nEU:C:2019:516, punto 25 e giurisprudenza ivi citata). \n    La CGUE ha pertanto ritenuto che rientrino in detta nozione,  tra\nl\u0027altro, le indennita\u0027 triennali per anzianita\u0027 di servizio  (v.,  in\ntal senso,  sentenza  del  22  dicembre  2010,  Gavieiro  Gavieiro  e\nIglesias Torres, C-444/09 e  C-456/09,  EU:C:2010:819,  punto  50,  e\nordinanza  del  18  marzo  2011,  Montoya   Medina,   C-273/10,   non\npubblicata, EU:C:2011:167, punto 32), le  indennita\u0027  sessennali  per\nformazione continua (v., in tal senso, ordinanza del 9 febbraio 2012,\nLorenzo Martinez, C-556/11, non pubblicata, EU:C:2012:67, punto  38),\nla  partecipazione  a  un  piano  di  valutazione   professionale   e\nl\u0027incentivo economico che ne consegue in caso di valutazione positiva\n(ordinanza  del  21  settembre  2016,  Alvarez  Santirso,   C-631/15,\nEU:C:2016:725, punto 36), nonche\u0027 la partecipazione  a  una  carriera\nprofessionale orizzontale che da\u0027 luogo a  un\u0027integrazione  salariale\n(ordinanza  del  22  marzo  2018,  Centeno  Melendez,  C-315/17,  non\npubblicata, EU:C:2018:207, punto 47). \n    Peraltro, «la clausola 4 dell\u0027accordo  quadro  dev\u0027essere  intesa\nnel senso che esprime un principio di diritto sociale comunitario che\nnon puo\u0027 essere intepretato in modo restrittivo (v.  citata  sentenza\nDel Cerro Alonso, punto 38). \n    Come  hanno  fatto  valere  sia  l\u0027Impact  sia  la   Commissione,\nun\u0027interpretazione  della  clausola   4   dell\u0027accordo   quadro   che\nescludesse categoricamente dalla nozione di \"condizioni  di  impiego\"\nai sensi  di  quest\u0027ultima  le  condizioni  finanziarie  come  quelle\nrelative alle retribuzioni ed alle pensioni equivarrebbe  a  ridurre,\nin spregio dell\u0027obiettivo assegnato alla suddetta clausola,  l\u0027ambito\ndella  protezione  accordata  ai  lavoratori  interessati  contro  le\ndiscriminazioni, introducendo una distinzione, fondata  sulla  natura\ndelle condizioni di impiego, che  i  termini  di  tale  clausola  non\nsuggeriscono affatto. \n    Del resto, come ha rilevato l\u0027avvocato generale al paragrafo  161\ndelle sue  conclusioni,  un\u0027interpretazione  siffatta  condurrebbe  a\nprivare di senso il riferimento, operato alla clausola  4,  punto  2,\ndell\u0027accordo quadro, al principio  del  pro  rata  temporis,  la  cui\napplicabilita\u0027 e\u0027 concepibile per definizione  solo  in  presenza  di\nprestazioni divisibili come quelle derivanti da condizioni di impiego\nfinanziarie,  connesse,  ad  esempio,  alle  retribuzioni   ed   alle\npensioni» (cfr. CGUE sentenza Impact 15 aprile 2008 C-268/06). \n    Inoltre,  si  deve  ricordare  che,  secondo  la   giurisprudenza\ncostante della Corte di giustizia dell\u0027Unione europea,  il  principio\ndi non discriminazione, di cui la clausola 4, punto  1,  dell\u0027accordo\nquadro costituisce un\u0027espressione specifica, richiede che  situazioni\nparagonabili non siano trattate in maniera diversa e  che  situazioni\ndiverse non siano  trattate  in  maniera  uguale,  a  meno  che  tale\ntrattamento non sia oggettivamente giustificato (cfr.  CGUE  sentenza\ndel 5 giugno 2018, Grupo  Norte  Facility,  C-574/16,  EU:C:2018:390,\npunto 46 e giurisprudenza ivi citata). \n    In tal senso, al fine  di  valutare  se  le  persone  interessate\nesercitino un lavoro identico o simile nel senso dell\u0027accordo quadro,\noccorre stabilire, conformemente alla clausola 3,  punto  2,  e  alla\nclausola 4, punto 1, dell\u0027accordo quadro,  se,  tenuto  conto  di  un\ninsieme di fattori, come la  natura  del  lavoro,  le  condizioni  di\nformazione e le condizioni di impiego, si  possa  ritenere  che  tali\npersone si trovino in una situazione comparabile (cfr. CGUE  sentenza\ndel 5 giugno 2018, Grupo  Norte  Facility,  C-574/16,  EU:C:2018:390,\npunto 48 e giurisprudenza ivi citata). \n    Tanto evidenziato, occorre rilevare che, nel caso di  specie,  le\nlavoratrici attrici e i soggetti  per  cui  le  associazioni  attrici\ninvocano tutela, in quanto titolari di rapporti contrattuali a  tempo\ndeterminato, rientrano certamente  nella  nozione  di  «lavoratore  a\ntempo determinato». \n    Allo stesso  modo,  non  pare  potersi  dubitare  del  fatto  che\nl\u0027esonero contributivo di cui ai commi 180 e 181  dell\u0027art.  1  della\nlegge n. 213/2023 sia riconosciuto proprio in ragione del rapporto di\nlavoro, cosicche\u0027 la  sua  previsione  deve  essere  considerata  una\n«condizione  di  impiego»,  ai  sensi  della  clausola  4,  punto  1,\ndell\u0027accordo quadro. \n    Del  resto,  come  condivisibilmente  evidenziato  dalla   difesa\nattorea, il beneficio previsto dalla norma non  ha  alcuna  incidenza\nsul regime legale di previdenza sociale (che rimane identico  per  le\ndue tipologie di contratto qui considerate), ma incide esclusivamente\nsulla  retribuzione  netta  percepita,  a  parita\u0027  di   ogni   altra\ncondizione, «sottraendo» alla sola lavoratrice  a  tempo  determinato\nuna quota della retribuzione stessa, che viene invece lasciata  nella\nretribuzione della lavoratrice a tempo indeterminato. \n    Lo sgravio contributivo e\u0027 poi connesso alla  sussistenza  di  un\nrapporto  di  lavoro  dipendente  (a  tempo   indeterminato)   e   la\nsussistenza di tale rapporto di impiego  costituisce  la  «condizione\noggettiva» per l\u0027accesso alla misura di miglior favore: in assenza di\nimpiego, lo sgravio non e\u0027 applicabile e,  in  costanza  di  impiego,\nrisulta parametrato (entro certi limiti) alla retribuzione  percepita\ndalle lavoratrici. \n    Sussistono dunque  i  caratteri  richiesti  dalla  giurisprudenza\neuropea al fine della qualificazione quale  «condizioni  di  impiego»\n(cfr. CGUE sentenza 20 giugno 2019, n. C-72/18, Arostegui). \n    Quanto  poi  alla  comparabilita\u0027  tra  lavoratrici  assunte  con\ncontratti di lavoro a tempo determinato  e  lavoratrici  assunte  con\ncontratti di lavoro a tempo indeterminato, la  stessa  non  puo\u0027  che\nessere  convalidata,  tenuto  conto  che  non  vi  sono  fattori   di\ndiversita\u0027 sul piano della  natura  del  lavoro  o  delle  condizioni\nimpiego, esistendo invece una differenza di trattamento in quanto  le\nlavoratrici a  tempo  determinato  non  beneficiano  dell\u0027esonero  di\ncausa. \n    Ne\u0027, tantomeno, si rinvengono ragioni oggettive, ai  sensi  della\nclausola 4, punto 1, dell\u0027accordo quadro,  che  giustifichino  questa\ndifferenza di trattamento. \n    Tali   elementi   potrebbero   risultare,   segnatamente,   dalla\nparticolare natura delle funzioni per l\u0027espletamento delle quali sono\nstati conclusi contratti a tempo determinato e dalle  caratteristiche\ninerenti alle medesime o, eventualmente,  dal  perseguimento  di  una\nlegittima finalita\u0027 di politica sociale di  uno  Stato  membro  (cfr.\nCGUE  sentenza  del  20  giugno  2019,  Ustariz  Arostegui,  C-72/18,\nEU:C:2019:516, punto 40 e giurisprudenza ivi citata). \n    Tuttavia,  nel  caso  in  esame,  si  scorge  esclusivamente   il\nriferimento alla  mera  natura  temporanea  della  prestazione  delle\nlavoratrici con contratto a tempo determinato. \n    E tale riferimento non e\u0027 conforme ai menzionati requisiti e  non\npuo\u0027 costituire di per se\u0027 una  ragione  oggettiva,  ai  sensi  della\nclausola 4, punto 1, dell\u0027accordo quadro: «Infatti, ammettere che  la\nmera natura temporanea di un rapporto di lavoro basti a  giustificare\nuna differenza di trattamento tra lavoratori a  tempo  determinato  e\nlavoratori a tempo indeterminato priverebbe del  loro  contenuto  gli\nscopi  della  direttiva  n.  1999/70   e   dell\u0027accordo   quadro   ed\nequivarrebbe  a  perpetuare  ,ma  situazione   svantaggiosa   per   i\nlavoratori a tempo determinato» (CGUE sentenza dell\u00278 settembre 2011,\nRosado Santana, C-177/10, EU:C:2011:557, punto  74  e  giurisprudenza\nivi citata; confermata successivamente  da  sentenza  del  20  giugno\n2019, Ustariz Arostegui, C-72/18, EU:C:2019:516). \n    E\u0027 allora evidente che l\u0027avere  riferito  l\u0027esonero  contributivo\nsolamente alla durata  del  rapporto  contrattuale  non  consente  di\nescludere da un\u0027identica applicazione di esso  quelle  lavoratrici  a\ntempo determinato il cui lavoro, secondo l\u0027ordinamento, abbia analoga\ntaratura. \n    L\u0027art. 1, commi 180 e 181, legge n. 213/2023, nella parte in  cui\nnon riconosce l\u0027esonero contributivo anche alle lavoratrici madri  di\ntre o piu\u0027 figli (e, per i periodi di paga dal 1° gennaio 2024 al  31\ndicembre 2024,  anche  alle  lavoratrici  madri  di  due  figli)  con\nrapporto di lavoro dipendente  a  tempo  determinato,  sembra  dunque\nporsi in contrasto con il principio di parita\u0027 di trattamento di  cui\nalla clausola 4, punto 1, dell\u0027accordo quadro allegato alla direttiva\n1999/70/CE, cosi\u0027 da comportare una violazione dell\u0027art.  117,  comma\n1, della Costituzione. \n    5.2.1.4. Violazione dell\u0027art. 117, comma  1,  della  Costituzione\nper  contrasto  con  il  principio  di  parita\u0027  di  trattamento  del\ncittadino  straniero  nelle  condizioni  di  lavoro  (discriminazione\nindiretta) \n    La violazione dell\u0027art. 117, comma 1, della  Costituzione  sembra\nravvisabile anche in relazione  ad  un  altro  parametro  di  matrice\neuropea. \n    Ed invero, l\u0027ordinamento europeo riconosce da tempo il  principio\ndi parita\u0027 di trattamento del cittadino straniero nelle condizioni di\nlavoro. \n    Cio\u0027 emerge: \n        dall\u0027art. 24 direttiva 2004/38/CE del  Parlamento  europeo  e\ndel Consiglio del 29 aprile 2004 per i cittadini dell\u0027Unione  europea\n(«1. Fatte salve le disposizioni  specifiche  espressamente  previste\ndal trattato e dal diritto derivato, ogni cittadino  dell\u0027Unione  che\nrisiede, in base alla presente direttiva, nel territorio dello  Stato\nmembro ospitante gode di pari trattamento rispetto  ai  cittadini  di\ntale Stato nel campo di applicazione del trattato»); \n        dall\u0027art.  11,  lettera  a),  direttiva  2003/109   /CE   del\nConsiglio del 25 novembre 2003 per i cittadini  di  paesi  terzi  che\nsiano soggiornanti di lungo periodo («1.  Il  soggiornante  di  lungo\nperiodo gode dello stesso trattamento  dei  cittadini  nazionali  per\nquanto  riguarda:   a)   l\u0027esercizio   di   un\u0027attivita\u0027   lavorativa\nsubordinata o autonoma, purche\u0027 questa non implichi  nemmeno  in  via\noccasionale  la  partecipazione  all\u0027esercizio  di  pubblici  poteri,\nnonche\u0027 le condizioni di assunzione e lavoro, ivi comprese quelle  di\nlicenziamento e di retribuzioni»); \n        dall\u0027art.  12,  lettera  a),  direttiva   2011   /98/UE   del\nParlamento europeo e  del  Consiglio  del  13  dicembre  2011  per  i\ntitolari di permesso unico lavoro («1. I lavoratori dei  paesi  terzi\ndi cui all\u0027art. 3, paragrafo 1, lettere b  e  c),  beneficiano  dello\nstesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro  in  cui\nsoggiornano per quanto concerne: a) le condizioni di lavoro, tra  cui\nla retribuzione e il licenziamento nonche\u0027 la salute e  la  sicurezza\nsul luogo di lavoro»); \n        dall\u0027art.  16,  lettera  a),   direttiva   2021/1883/UE   del\nParlamento europeo e del Consiglio del 20 ottobre 2021 per i titolari\ndi Carta blu UE («1. I titolari di Carta blu  UE  beneficiano  di  un\ntrattamento uguale a quello riservato ai cittadini dello Stato membro\nche ha rilasciato  la  Carta  blu  UE  per  quanto  concerne:  a)  le\ncondizioni di  impiego,  compresa  l\u0027eta\u0027  minima  di  ammissione  al\nlavoro, e le condizioni di lavoro,  tra  cui  la  retribuzione  e  il\nlicenziamento, l\u0027orario di lavoro,  le  ferie  e  i  giorni  festivi,\nnonche\u0027 le prescrizioni relative alla salute  e  alla  sicurezza  sul\nluogo di lavoro»). \n    Con particolare riferimento alla direttiva  2011/98/UE,  vale  la\npena ricordare quanto evidenziato dalla  Corte  costituzionale  nella\nrecente sentenza n. 54/2022: «Nel sistema delineato  dalla  direttiva\n2011/98/UE, il diritto alla parita\u0027  di  trattamento  rappresenta  la\nregola generale, cui gli Stati membri possono apportare deroghe  solo\nentro  limiti   rigorosi.   All\u0027interpretazione   restrittiva   delle\npossibili deroghe fa riscontro la necessita\u0027  che  gli  Stati  membri\nmanifestino  in  modo  inequivocabile   la   volonta\u0027   di   limitare\nl\u0027applicazione della  parita\u0027  di  trattamento  (Corte  di  giustizia\ndell\u0027Unione europea, sentenze 25 novembre 2020, nella causa C-302/19,\nIstituto nazionale della previdenza sociale, punto 27,  e  21  giugno\n2017, nella causa C449/16, Kerly Del Rosario  Martinez  Silva,  punto\n29). \n    L\u0027onere di dichiarazione espressa di eventuali deroghe, nel corso\ndell\u0027attivita\u0027  di  trasposizione,  emerge  dal  sistema   normativo,\nconsiderato nel suo insieme e nelle finalita\u0027 che lo  ispirano.  Esso\nsi correla non soltanto alla salvaguardia  dell\u0027effetto  utile  della\ndirettiva,  ma  anche  a  una  fruttuosa  e   trasparente   fase   di\nrecepimento, che lo stesso  legislatore:  dell\u0027Unione  europea  vuole\ncontraddistinta  dall\u0027impegno  degli  Stati  membri  a  una  costante\ninterlocuzione con la Commissione e alla «modifica delle loro  misure\ndi recepimento con uno o piu\u0027 documenti intesi a chiarire il rapporto\ntra gli elementi di una direttiva e  le  parti  corrispondenti  degli\nstrumenti  nazionali  di  recepimento»  (considerando  n.  32   della\ndirettiva 2011/98/UE). \n    La Corte di  giustizia  dell\u0027Unione  europea,  nella  piu\u0027  volte\nrichiamata sentenza  del  2  settembre  2021,  ha  ricordato  che  la\nRepubblica italiana non si e\u0027 avvalsa in alcun modo della facolta\u0027 di\nlimitare la parita\u0027 di trattamento (punto 64)». \n    Quanto alla vicenda oggetto del presente giudizio, e\u0027  indiscusso\nche l\u0027art. 1, commi 180 e 181, legge n.  213/2023  non  comporti  una\ndiscriminazione diretta fondata sulla nazionalita\u0027, dal  momento  che\nsi applica indistintamente alle lavoratrici di nazionalita\u0027  italiana\ne alle lavoratrici di nazionalita\u0027 straniera con  contratti  a  tempo\ndeterminato. \n    Cio\u0027 che invece occorre approfondire in questa sede e\u0027  se,  come\nsostenuto dalla difesa attorea, la disposizione legislativa  comporti\nuna discriminazione indiretta fondata sulla nazionalita\u0027: ossia se la\ndisposizione, apparentemente neutra, possa porre in una situazione di\nparticolare svantaggio le persone di nazionalita\u0027 straniera  rispetto\nalle persone di nazionalita\u0027 italiana, a meno che detta  disposizione\nsia oggettivamente giustificata da una finalita\u0027 legittima e i  mezzi\nimpiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari. \n    Sul punto, nella sentenza 24 febbraio 2022,  causa  C-389/20,  la\nCorte di Giustizia dell\u0027Unione europea (Sezione Terza), decidendo  su\nun caso di discriminazione indiretta fondata sul sesso, ha  affermato\nche  l\u0027esistenza  del   particolare   svantaggio   per   le   persone\nasseritamente discriminate «potrebbe essere dimostrata, segnatamente,\nse fosse provato che  detta  disposizione,  detto  criterio  o  detta\nprassi colpiscono  negativamente  in  proporzione  significativamente\nmaggiore le  persone  di  un  determinato  sesso  rispetto  a  quelle\ndell\u0027altro sesso. Spetta al  giudice  nazionale  verificare  se  cio\u0027\navvenga nel procedimento  principale  (v.,  in  tal  senso,  sentenze\ndell\u00278 maggio 2019, Villar Laiz C-161/18, EU:C:2019:382, punto 38,  e\ndel 21 gennaio 2021, INSS, C-843/19, EU:C:2021:55, punto 25). \n    42. Nell\u0027ipotesi in cui il giudice  nazionale  disponga  di  dati\nstatistici, la Corte ha affermato che quest\u0027ultimo deve, da un  lato,\nprendere in considerazione l\u0027insieme dei lavoratori assoggettati alla\nnormativa nazionale da cui ha origine la disparita\u0027 di trattamento e,\ndall\u0027altro, comparare le proporzioni rispettive  dei  lavoratori  che\nsono e che non sono colpiti dall\u0027asserita disparita\u0027  di  trattamento\nnell\u0027ambito della mano d\u0027opera  femminile  rientrante  nel  campo  di\napplicazione di tale normativa e le medesime proporzioni  nell\u0027ambito\ndella mano  d\u0027opera  maschile  ivi  rientrante  [v.,  in  tal  senso,\nsentenze del 24 settembre 2020, YS (Pensioni aziendali del  personale\ndirigente), C-223/19, EU:C:2020:753, punto 52  e  giurisprudenza  ivi\ncitata, e del 21 gennaio 2021, INSS,  C-843/19,  EU:C:2021:55,  punto\n26]. \n    43. A tal proposito, spetta al giudice nazionale valutare in qual\nmisura i dati statistici prodotti dinanzi ad esso siano affidabili  e\nse possano essere  presi  in  considerazione,  vale  a  dire  se,  in\nparticolare,   non   riflettano   fenomeni   puramente   fortuiti   o\ncongiunturali e se siano sufficientemente significativi [sentenze del\n24 settembre 2020, YS (Pensioni aziendali del  personale  dirigente),\nC-223/19, EU:C:2020:753, punto 51 e giurisprudenza ivi citata, e  del\n21 gennaio 2021, INSS, C-843/19, EU:C·2021:55, punto  27]»  (si  veda\nsulla stessa linea CGUE  -  Prima  Sezione,  29  luglio  2024,  cause\nriunite C-184/22 e C-185/22, secondo cui:  «...  la  valutazione  dei\nfatti che consentono di presumere l\u0027esistenza di una  discriminazione\nindiretta e\u0027 una questione di competenza dell\u0027organo  giurisdizionale\nnazionale, secondo il diritto o  la  prassi  nazionale,  che  possono\nprevedere, in  particolare,  che  la  discriminazione  indiretta  sia\naccertata  con  qualsiasi  mezzo,  compresa   l\u0027evidenza   statistica\n(sentenza   del   3   ottobre   2019,   Schuch-Ghannadan,   C-274/18,\nEU:C:2019:828, punto 46 e giurisprudenza citata). \n    59. Per quanto riguarda i  dati  statistici,  occorre  ricordare,\nanzitutto, che spetta ai giudice nazionale valutare in  quale  misura\ntali dati prodotti dinanzi ad esso, che caratterizzano la  situazione\ndella mano d\u0027opera,  siano  validi  e  se  possano  essere  presi  in\nconsiderazione, vale  a  dire  se,  in  particolare,  non  riflettano\nfenomeni puramente  fortuiti  o  congiunturali  e  se,  in  generale,\nappaiano   significativi    (sentenza    del    3    ottobre    2019,\nSchuch-Ghannadan, C-274/18, EU:C:2019:828, punto 48 e  giurisprudenza\ncitata). \n    60. Poi, qualora ii giudice  nazionale  disponga  di  tali  dati,\nsecondo costante  giurisprudenza,  da  un  lato,  esso  e\u0027  tenuto  a\nprendere in considerazione l\u0027insieme dei lavoratori assoggettati alla\nnormativa nazionale da cui ha origine la disparita\u0027 di trattamento e,\ndall\u0027altro, il miglior metodo di comparazione consiste nel  comparare\nle proporzioni rispettive dei lavoratori che  sono  e  che  non  sono\ncolpiti dalla norma  in  questione  nell\u0027ambito  della  mano  d\u0027opera\nmaschile e le medesime proporzioni  nell\u0027ambito  della  mano  d\u0027opera\nfemminile   (sentenze   del   6   dicembre   2007,   Voß,   C-300/06,\nEU:C:2007:757, punto  41  e  giurisprudenza  citata,  nonche\u0027  del  3\nottobre 2019, Schuch-Ghannadan, C-274/18, EU:C:2019:828, punto  47  e\ngiurisprudenza citata) ... \n    64. In tale contesto, i dati  statistici  costituiscono  solo  un\nelemento tra gli altri al quale tale  giudice  puo\u0027  ricorrere  e  al\nquale la Corte fa riferimento, quando esistono, al fine di  accertare\nl\u0027esistenza   di   una    discriminazione    indiretta    nell\u0027ambito\ndell\u0027attuazione del principio della parita\u0027 di trattamento tra uomini\ne donne.  Pertanto,  secondo  costante  giurisprudenza  della  Corte,\nl\u0027esistenza  di  un  siffatto  particolare  svantaggio  puo\u0027   essere\ndimostrata, in  particolare,  se  fosse  provato  che  una  normativa\nnazionale colpisce negativamente  in  proporzione  significativamente\nmaggiore le  persone  di  un  determinato  sesso  rispetto  a  quelle\ndell\u0027altro sesso  (sentenza  del  5  maggio  2022,  BVAEB,  C-405/20,\nEU:C:2022:347, punto 49 e giurisprudenza citata)»). \n    In questo modo, la Corte di Giustizia ha  invitato  a  tenere  in\nconsiderazione i dati statistici (ove ritenuti affidabili) al fine di\nverificare se  la  proporzione  dei  lavoratori  di  sesso  femminile\ncolpiti dalla disparita\u0027 di trattamento derivante dalla  disposizione\nnazionale censurata sia significativamente  piu\u0027  elevata  di  quella\ndegli altri lavoratori di sesso maschile. \n    La Corte ha cosi\u0027  inteso  valorizzare  il  dato  statistico  per\naccertare se la categoria di lavoratori che  si  assume  discriminata\nsia proporzionalmente piu\u0027 colpita dalla  disparita\u0027  di  trattamento\nrispetto  all\u0027altra  categoria  di  lavoratori  che,  seppur   incisa\nanch\u0027essa dalla disposizione, ne subisce una ricaduta statisticamente\nmeno rilevante. \n    Orbene, facendo applicazione dei criteri indicati dalla Corte  di\nGiustizia dell\u0027Unione europea, si deve rilevare che le parti  attrici\nhanno fornito dati statistici che risultano  piuttosto  affidabili  e\nsufficientemente significativi, non apparendo incentrati su  fenomeni\npuramente fortuiti o congiunturali. \n    In particolare: \n        dal «Rapporto annuale 2024 - La situazione del paese» al cap.\n2           «I           cambiamenti           del            lavoro»\n(https://www.istat.it/produzione-editoriale/rapporto-annuale-2024-la-\nsituazione-del-paese-2/) risulta che i contratti a  termine  incidono\nmolto di piu\u0027 sulle donne (17,7% delle occupate sono a termine contro\nil 14,8% dei maschi); inoltre la recente dinamica  di  riduzione  dei\ncontratti a termine e\u0027 «concentrata nella  sola  componente  maschile\ndell\u0027occupazione, mentre in quella femminile si registra una  leggera\ncrescita che ha riportato l\u0027occupazione  a  termine  delle  donne  ai\nlivelli pre-pandemia» (cfr. pag. 72); \n        secondo il Dossier statistico immigrazione - IDOS 2023  (all.\nn. 9 al ricorso), nel 2022 la percentuale di stranieri con  contratto\na termine rispetto alla totalita\u0027 dei lavoratori  stranieri  era  del\n22,5%, contro  una  percentuale  nazionale  del  12,6%;  quest\u0027ultima\npercentuale  riguarda  sia  italiani  che  stranieri  ed  e\u0027   dunque\ninfluenzata anche dal 22,5% degli stranieri; \n        dal XIII Rapporto Gli Stranieri nel  mercato  del  lavoro  in\nItalia del 2023 pubblicato dal Ministero del lavoro e delle politiche\nsociali\n(https://www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita-immigtazione/focus/xiii-ra\npporto-mdl-stranieri-2023)  risulta  una  percentuale  nazionale   di\nrapporti a termine e stagionali superiore  a  quella  sopra  indicata\n(26,8%), ma una percentuale riferita ai cittadini extra  UE  del  36%\n(31,1% a termine e 4,9% stagionali) (cfr. pag. 76 e ss.);  in  questo\nquadro, i lavoratori extra UE sono sovrappresentati tra i  lavoratori\nstagionali (13,8% del totale) e a tempo determinato (14,7% del totale\ndei lavoratori a termine) laddove invece la percentuale di lavoratori\nextra UE rispetto al totale dei lavoratori e\u0027 del  10,8%  (cfr.  pag.\n76); \n        secondo il rapporto Eurostat pubblicato in data 8 marzo  2022\n(https://ec.europa.eu/eurostat/en/web/products-eurostat-news/-/edn-20\n220308-2), nel 2020 in Europa la quota piu\u0027  alta  di  lavoratrici  a\ntempo determinato si presentava tra le donne nate fuori dai territori\nextra-UE (21 %), rispetto  alle  donne  nate  in  uno  stato  europeo\ndiverso da quello in cui lavorano (14%) e le donne nate nello  stesso\nstato europeo in cui lavorano (13%) («The highest share of  temporary\nemployees was also among women born outside the  EU  (21%),  compared\nwith women born elsewhere in  the  EU  (14%)  and  native-born  women\n(13%)»); \n        il rapporto  Eurostat  pubblicato  in  data  26  maggio  2021\n(https://ec.europa.eu/eurostat/en/web/products-eurostat-news/-/ddn-20\n210526-1) reca un grafico (all. n. 10  al  ricorso)  che  fornisce  i\nseguenti dati sul lavoro femminile: il 20,6%  delle  donne  straniere\nextra-UE (Non-EU born  persons)  e\u0027  occupato  in  lavori  a  termine\n(temporary works), contro il 14% tra  le  donne  nate  in  uno  stato\neuropeo diverso da quello in cui lavorano (Persons born in another EU\nMember State) e il 12,8% delle donne nate nello stesso stato  europeo\nin cui lavorano (Native-born persons). \n    Sulla base di questi dati statistici,  si  puo\u0027  allora  desumere\nche, tra le lavoratrici a tempo  determinato,  la  percentuale  delle\nlavoratrici straniere e\u0027 maggiore  rispetto  alla  percentuale  delle\nlavoratrici italiane. \n    In  tal  senso,  la  proporzione  delle   lavoratrici   a   tempo\ndeterminato  straniere  colpite  dalla  disparita\u0027   di   trattamento\nderivante dall\u0027art. 1, commi 180 e 181,  legge  n.  213/2023  di  cui\ntrattasi si rivela piu\u0027 elevata di quella delle lavoratrici  a  tempo\ndeterminato italiane. \n    Ne consegue che la norma impugnata  pone  in  una  situazione  di\nparticolare svantaggio le lavoratrici a tempo  determinato  straniere\nrispetto alle lavoratrici a tempo determinato italiane. \n    Peraltro, non si rinvengono elementi tali da far ritenere che  la\ndisposizione in questione sia giustificata da  fattori  oggettivi  ed\nestranei a qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalita\u0027. \n    Al riguardo, la Corte  di  Giustizia  dell\u0027Unione  europea  nella\ncitata sentenza del 24 febbraio 2022, causa C-389/20, ha chiarito che\npuo\u0027 ravvisarsi una giustificazione se la disposizione «risponde a un\nobiettivo legittimo di politica sociale, e\u0027 idonea a conseguire detto\nobiettivo ed e\u0027 necessaria a tal fine, fermo restando che  essa  puo\u0027\nessere considerata idonea a garantire l\u0027obiettivo  invocato  solo  se\nrisponde realmente all\u0027intento di raggiungerlo e  se  e\u0027  attuata  in\nmaniera coerente e sistematica (v., in tal  senso,  sentenze  del  20\nottobre 2011, Brachner, C-123/10, EU:C:2011:675,  punti  70  e  71  e\ngiurisprudenza ivi citata, nonche\u0027 del 21 gennaio 2021,  INSS,  C-843\n/19, EU:C:2021:55, punti 31 e 32 e giurisprudenza ivi citata)». \n    Tuttavia, come gia\u0027 si e\u0027 rilevato relativamente alla  violazione\ndell\u0027art. 3 Cost., non sembra che vi siano effettive ragioni (nemmeno\ndi politica sociale) che sorreggano  l\u0027esclusione  delle  lavoratrici\nmadri a tempo determinato dall\u0027esonero contributivo in controversia. \n    Del resto, come  pure  precisato  dalla  giurisprudenza  europea,\nneppure  sarebbe  sufficiente  che  la  norma  risponda  a  obiettivi\nlegittimi di politica sociale, dovendo  pure  sussistere  l\u0027idoneita\u0027\ndella norma nazionale a realizzare tali obiettivi e, in  particolare,\nse venga  attuata  in  maniera  coerente  e  sistematica,  occorrendo\ndimostrare che la categoria di  lavoratori  che  essa  esclude  dalla\ntutela  si  distingue  in  modo  pertinente  da  altre  categorie  di\nlavoratori che non  ne  sono  escluse  (cfr.  CGUE  sentenza  del  24\nfebbraio 2022, causa C-389/20, par. 62). \n    Ancora,  nell\u0027ipotesi  in  cui  si  dovesse  constatare  che   la\ndisposizione nazionale risponde a  obiettivi  legittimi  di  politica\nsociale e che essa e\u0027 idonea a realizzare  tali  obiettivi,  dovrebbe\nverificarsi se tale disposizione non ecceda  quanto  necessario  alla\nrealizzazione di detti obiettivi (cfr. CGUE sentenza del 24  febbraio\n2022, causa C-389/20, par. 68). \n    Nel presente giudizio, pero\u0027, questi due ultimi profili non  sono\nindagabili, a fronte del riscontro negativo circa la  sussistenza  di\nobiettivi atti a giustificare la  discriminazione  indiretta  fondata\nsulla nazionalita\u0027 che la norma impugnata comporta. \n    Alla luce delle considerazioni fin qui svolte,  l\u0027art.  1,  commi\n180 e 181, legge n.  213/2023,  nella  parte  in  cui  non  riconosce\nl\u0027esonero contributivo alle lavoratrici madri  a  tempo  determinato,\nsembra porsi in contrasto con il principio di parita\u0027 di  trattamento\ndel cittadino straniero nelle condizioni  di  lavoro  (cristallizzato\nnelle   citate   direttive   2004/38/CE,   2003/109/CE,   2011/98/UE,\n2021/1883/UE), cosi\u0027 da  configurare  un\u0027altra  violazione  dell\u0027art.\n117, co. 1, Cost. \n    5.2.2.  In  relazione  al  mancato  riconoscimento   dell\u0027esonero\ncontributivo alle lavoratrici madri con rapporti di lavoro domestico. \n    5.2.2.1. Violazione dell\u0027art. 3 della Costituzione. \n    Con riferimento alla parte  della  norma  censurata  che  esclude\ndall\u0027esonero contributivo le lavoratrici madri con rapporti di lavoro\ndomestico,  sembra  ravvisarsi  una  violazione  dell\u0027art.  3   della\nCostituzione per motivi similari a quelli gia\u0027 rappresentati  per  la\nprima parte della norma impugnata. \n    Non pare infatti giustificabile, alla stregua dell\u0027art. 3  Cost.,\nche le lavoratrici madri  con  rapporti  di  lavoro  domestico  siano\ntrattate in modo deteriore rispetto  a  tutte  le  altre  lavoratrici\nmadri a tempo indeterminato. \n    Come  gia\u0027  si  e\u0027  detto,  il  beneficio  previsto  dalla  nonna\nimpugnata opera per qualsiasi retribuzione. \n    Parimenti, non sembra  potersi  ammettere  che  il  carattere  di\nstabilita\u0027 dei contratti di lavoro a tempo indeterminato  diversi  da\nquello domestico possa valere ex se a giustificare le  previsioni  in\nesame: al  contrario,  sembrerebbe  piu\u0027  ragionevole  attribuire  il\nbeneficio contributivo (con effetti diretti  di  natura  retributiva)\nalle lavoratrici domestiche, che  hanno  minori  certezze  lavorative\n(tenuto conto, tra le altre cose, del regime di recesso ad  nutum)  e\ndispongono  mediamente  di  retribuzioni  piu\u0027  basse  rispetto  alle\nlavoratrici a tempo indeterminato. \n    5.2.2.2. Violazione dell\u0027art. 31 della Costituzione. \n    Anche per quanto concerne la paventata  violazione  dell\u0027art.  31\nCost., possono riprendersi le considerazioni gia\u0027 svolte per la prima\nparte della norma impugnata. \n    Ed  invero,  l\u0027art.  1,  commi  180  e  181,  legge  n.  213/2023\nrisulterebbe garantire alla maternita\u0027 e alla  famiglia  numerosa  di\nuna  donna  con  contratto  di  lavoro  a  tempo  indeterminato   una\nprotezione diversa (e migliore) rispetto a quelle di  una  donna  con\ncontratto di lavoro domestico, senza che cio\u0027 trovi ragione sul piano\ndelle tutele della maternita\u0027 e della famiglia. \n    5.2.2.3. Violazione dell\u0027art. 117. co. 1, della Costituzione. \n    Infine, oltre alla violazione degli articoli 3 e 31  Cost.,  pare\nprospettabile anche una violazione dell\u0027art. 117,  co.  1,  Cost.  in\nrelazione ai vincoli derivanti dall\u0027ordinamento dell\u0027Unione europea. \n    Al riguardo, si deve ribadire quanto gia\u0027 detto  (nel  precedente\npar. 5.2.1.4.) in relazione al principio di  parita\u0027  di  trattamento\ndel  cittadino  straniero  nelle  condizioni  di  lavoro,  per   come\nriconosciuto dall\u0027ordinamento europeo  (cfr.  articoli  24  direttiva\n2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004,\n11, lettera a), direttiva 2003/109/CE del Consiglio del  25  novembre\n2003, 12, lettera a), direttiva 2011/98/UE del Parlamento  europeo  e\ndel Consiglio  del  13  dicembre  2011,  16,  lettera  a),  direttiva\n2021/1883/UE del Parlamento europeo e del Consiglio  del  20  ottobre\n2021). \n    Come gia\u0027 evidenziato in relazione alla prima parte  della  norma\nimpugnata, e\u0027 indiscusso che l\u0027art. 1, commi  180  e  181,  legge  n.\n213/2023 non  comporti  una  discriminazione  diretta  fondata  sulla\nnazionalita\u0027,  dal  momento  che  si  applica  indistintamente   alle\nlavoratrici  di  nazionalita\u0027  italiana   e   alle   lavoratrici   di\nnazionalita\u0027 straniera con rapporti di lavoro domestico. \n    Occorre  pero\u0027  verificare  se  la  norma  possa  porre  in   una\nsituazione di  particolare  svantaggio  le  persone  di  nazionalita\u0027\nstraniera   rispetto   alle   persone   di   nazionalita\u0027    italiana\n(discriminazione  indiretta),  a  meno  che  detta  disposizione  sia\noggettivamente giustificata da una  finalita\u0027  legittima  e  i  mezzi\nimpiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari. \n    Orbene, facendo applicazione dei criteri indicati dalla Corte  di\nGiustizia dell\u0027Unione europea nella sentenza 24 febbraio 2022,  causa\nC-389/20, si deve rilevare che le parti attrici  hanno  fornito  dati\nstatistici che  risultano  piuttosto  affidabili  e  sufficientemente\nsignificativi,  non  apparendo  incentrati  su   fenomeni   puramente\nfortuiti o congiunturali. \n    In particolare: \n        dal XIII Rapporto Gli Stranieri nel  mercato  del  lavoro  in\nItalia del 2023 pubblicato dal Ministero del lavoro e delle politiche\nsociali\n(https://www.layoro.gov.it/temi-e-priorita-immigrazione/focus/xiii-ra\npporto-mdl-stranieri-2023), i cui dati derivano dagli  archivi  delle\ncomunicazioni obbligatorie e dei versamenti  contributivi  effettuati\ndai datori di lavoro, risulta che «Nel 2022 poco piu\u0027 della meta\u0027 dei\nlavoratori  domestici  e\u0027  costituita  da  extracomunitari:   se   ne\nosservano 449.636 su un totale di 894.299 (50,28%). Tale  percentuale\ne\u0027 in aumento  rispetto  a  quelle  del  2020  e  del  2021,  in  cui\nrispettivamente si riscontra il 48,69% e  il  50,03%  dei  lavoratori\nextracomunitari sul totale. In questa  categoria  di  lavoratori  nel\n2022 si conforma, come gia\u0027 visto nel biennio  precedente,  la  netta\nprevalenza delle donne (86,4%)» (cfr. pag. 79); \n        secondo        il        rapporto         DOMINA         2022\n(https://www.osservatoriolavorodomestico.it/rapporto-annuale-lavoro-d\nomestico-2022),  nell\u0027anno   2021,   tra   i   lavoratori   domestici\ncontribuenti all\u0027INPS, le donne straniere  rappresentavano  il  57,5%\n(le altre percentuali erano cosi\u0027 distribuite: donne italiane  27,4%;\nuomini stranieri 12,4%; uomini italiani 2,6%); \n        secondo il rapporto IDOS «Le migrazioni femminili in  Italia»\n(https://www.integrazionemigranti.gov.it/AnteprimaPDF.aspx?id\u003d3730),\nnel 2021,  l\u002787%  delle  lavoratrici  straniere  erano  occupate  nel\nsettore dei servizi e, di  queste,  il  50%  era  occupato  nei  soli\nsettori del lavoro domestico, di cura e di pulizia  (cfr.  grafico  a\npag. 9). \n    Sulla base di questi dati statistici,  si  puo\u0027  allora  desumere\nche, tra le lavoratrici domestiche, la percentuale delle  lavoratrici\nstraniere e\u0027 considerevolmente  maggiore  rispetto  alla  percentuale\ndelle lavoratrici italiane  (secondo  il  rapporto  DOMINA  2022,  le\nlavoratrici  domestiche  straniere  contribuenti  all\u0027INPS  nel  2021\nerano, addirittura, piu\u0027 del doppio di quelle italiane). \n    In  tal  senso,  la  proporzione  delle  lavoratrici   domestiche\nstraniere colpite dalla disparita\u0027 di trattamento derivante dall\u0027art.\n1, commi 180 e 181, legge n.  213/2023  di  cui  trattasi  si  rivela\nsignificativamente  piu\u0027  elevata   di   quella   delle   lavoratrici\ndomestiche italiane. \n    Ne consegue che la norma impugnata  pone  in  una  situazione  di\nparticolare svantaggio le lavoratrici domestiche  straniere  rispetto\nalle lavoratrici domestiche italiane. \n    Peraltro, non si rinvengono elementi tali da far ritenere che  la\ndisposizione in questione sia giustificata da  fattori  oggettivi  ed\nestranei a qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalita\u0027. \n    Infatti, come gia\u0027 si e\u0027 rilevato in  relazione  alla  violazione\ndell\u0027art. 3 Cost., non sembra che vi siano effettive ragioni (nemmeno\ndi politica sociale) che sorreggano  l\u0027esclusione  delle  lavoratrici\nmadri con rapporti di lavoro domestico dall\u0027esonero  contributivo  in\ncontroversia. \n    Il riscontro negativo  della  sussistenza  di  obiettivi  atti  a\ngiustificare la discriminazione indiretta fondata sulla  nazionalita\u0027\nche la norma impugnata esonera il Tribunale dalle ulteriori verifiche\n(sull\u0027idoneita\u0027  e  la  necessita\u0027  circa  il   conseguimento   degli\nobiettivi di politica sociale) menzionate dalla CGUE nella richiamata\nsentenza 24 febbraio 2022, causa C-389/20. \n    Alla luce delle considerazioni fin qui svolte,  l\u0027art.  1,  commi\n180 e 181, legge n. 213/2023, nella parte in  cui  esclude  l\u0027esonero\ncontributivo per i rapporti di  lavoro  domestico,  sembra  porsi  in\ncontrasto con il principio di parita\u0027 di  trattamento  del  cittadino\nstraniero nelle condizioni di  lavoro  (cristallizzato  nelle  citate\ndirettive 2004/38/CE, 2003/109/CE, 2011/98/UE,  2021/1883/UE),  cosi\u0027\nda configurare una violazione dell\u0027art. 117, co. 1, Cost.  \n\n \n                               P.Q.M. \n \n    Visti gli articoli 134 della Costituzione e  23  della  legge  n.\n87/1953, dichiara  rilevante  e  non  manifestamente  infondata,  per\nviolazione degli articoli 3, 31 e 117, comma 1,  della  Costituzione,\nla questione di legittimita\u0027 costituzionale dell\u0027art. 1, commi 180  e\n181, della legge  n.  213/2023  nella  parte  in  cui  non  riconosce\nl\u0027esonero contributivo anche alle lavoratrici madri  di  tre  o  piu\u0027\nfigli (e, per i periodi di paga dal 1° gennaio 2024  al  31  dicembre\n2024, anche alle lavoratrici madri di  due  figli)  con  rapporto  di\nlavoro dipendente a tempo determinato e nella parte  in  cui  esclude\nl\u0027esonero contributivo per i rapporti di lavoro domestico; \n    Dispone  l\u0027immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte\ncostituzionale; \n    Sospende il presente giudizio; \n    Ordina che, a cura della cancelleria, la presente  ordinanza  sia\nnotificata alle parti in  causa,  al  Presidente  del  Consiglio  dei\nministri e ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. \n        Milano, 23 ottobre 2024 \n \n                                                  Il giudice: Caroleo","elencoNorme":[{"id":"62192","ordinanza_anno":"","ordinanza_numero":"","ordinanza_numero_parte":"","cod_tipo_legge":"l","denominaz_legge":"legge","data_legge":"30/12/2023","data_nir":"2023-12-30","numero_legge":"213","descrizionenesso":"","legge_articolo":"1","specificaz_art":"","comma":"180","specificaz_comma":"","descrizione_attributo":"","descrizione_cat_rn":"","id_qualificazione":"","descrizione_qualificazione":"","link_norma_attiva":"http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:2023-12-30;213~art1"},{"id":"62193","ordinanza_anno":"","ordinanza_numero":"","ordinanza_numero_parte":"","cod_tipo_legge":"l","denominaz_legge":"legge","data_legge":"30/12/2023","data_nir":"2023-12-30","numero_legge":"213","descrizionenesso":"","legge_articolo":"1","specificaz_art":"","comma":"181","specificaz_comma":"","descrizione_attributo":"","descrizione_cat_rn":"","id_qualificazione":"","descrizione_qualificazione":"","link_norma_attiva":"http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:2023-12-30;213~art1"}],"elencoParametri":[{"id":"78647","ordinanza_numero_parte":"","tipo_lex_cost":"c","descriz_costit":"Costituzione","numero_legge":"","data_legge":"","articolo":"3","specificaz_art":"","comma":"","specificaz_comma":"","descrizionenesso":"","link_norma_attiva":"","unique_identifier":""},{"id":"78648","ordinanza_numero_parte":"","tipo_lex_cost":"c","descriz_costit":"Costituzione","numero_legge":"","data_legge":"","articolo":"31","specificaz_art":"","comma":"","specificaz_comma":"","descrizionenesso":"","link_norma_attiva":"","unique_identifier":""},{"id":"78649","ordinanza_numero_parte":"","tipo_lex_cost":"c","descriz_costit":"Costituzione","numero_legge":"","data_legge":"","articolo":"117","specificaz_art":"","comma":"1","specificaz_comma":"","descrizionenesso":"","link_norma_attiva":"","unique_identifier":""},{"id":"78684","ordinanza_numero_parte":"","tipo_lex_cost":"000001","descriz_costit":"direttiva 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