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B.","altre_parti":"","testo_atto":"N. 63 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 dicembre 2024\n\r\nOrdinanza del 13 dicembre 2024 della Corte  d\u0027appello  di  Lecce  nel\nprocedimento penale a carico di R. B.. \n \nProcesso penale - Impugnazioni - Decisione sugli effetti  civili  nel\n  caso di estinzione del reato per  prescrizione  -  Previsione  che,\n  quando nei confronti dell\u0027imputato e\u0027 stata  pronunciata  condanna,\n  anche generica, alle  restituzioni  o  al  risarcimento  dei  danni\n  cagionati dal reato, a favore della parte  civile,  il  giudice  di\n  appello e la Corte di cassazione, nel dichiarare estinto  il  reato\n  per prescrizione, decidono sull\u0027impugnazione ai soli effetti  delle\n  disposizioni e dei capi della sentenza che concernono  gli  effetti\n  civili - Mancata previsione che, analogamente alla norma di cui  al\n  comma 1-bis dell\u0027art. 578 cod. proc. pen., se l\u0027impugnazione non e\u0027\n  inammissibile, il giudice di appello (o  la  Corte  di  cassazione)\n  rinviano per la prosecuzione  al  giudice  o  alla  sezione  civile\n  competente nello stesso grado, che decidono sulle questioni  civili\n  utilizzando  le  prove  acquisite  nel  processo  penale  e  quelle\n  eventualmente acquisite nel giudizio civile. \nIn via subordinata: Processo penale - Impugnazioni - Decisione  sugli\n  effetti civili nel caso di estinzione del reato per prescrizione  -\n  Previsione  che,  quando  nei  confronti  dell\u0027imputato  e\u0027   stata\n  pronunciata  condanna,  anche  generica,  alle  restituzioni  o  al\n  risarcimento dei danni cagionati dal reato, a  favore  della  parte\n  civile, il giudice  di  appello  e  la  Corte  di  cassazione,  nel\n  dichiarare   estinto   il   reato   per   prescrizione,    decidono\n  sull\u0027impugnazione ai soli effetti delle  disposizioni  e  dei  capi\n  della sentenza che concernono gli effetti civili -  Interpretazione\n  del diritto vivente  rappresentato  dalle  sentenze  delle  Sezioni\n  unite della Corte di cassazione n. 35490 del 2009 e  n.  36208  del\n  2024 nella parte in cui si afferma «nel giudizio di appello avverso\n  la sentenza di condanna dell\u0027imputato  anche  al  risarcimento  dei\n  danni, il giudice, intervenuta nelle more  l\u0027estinzione  del  reato\n  per prescrizione, non puo\u0027 limitarsi a prendere  atto  della  causa\n  estintiva, adottando le conseguenti statuizioni civili fondate  sui\n  criteri enunciati dalla sentenza della Corte costituzionale n.  182\n  del 2021, ma e\u0027 comunque tenuto, stante  la  presenza  della  parte\n  civile, a  valutare,  anche  a  fronte  di  prove  insufficienti  o\n  contraddittorie, la sussistenza dei presupposti  per  l\u0027assoluzione\n  nel merito». \n- Codice di procedura penale, art. 578, comma 1. \n\n\r\n(GU n. 16 del 16-04-2025)\n\r\n \n                      CORTE DI APPELLO DI LECCE \n                        Sezione unica penale \n \n    Composta dai sigg.: \n      dott. Francesco Ottaviano, Presidente; \n      dott. Giuseppe Biondi, Consigliere rel.; \n      dott. Luca Colitta, Consigliere. \n    Letti gli atti del procedimento penale  in  epigrafe  indicato  a\ncarico di: \n      B. R.    , nato a     il     , residente  in     al  difeso  di\nfiducia dall\u0027avv. Antonio Maria La Scala del Foro di Bari. \n \n                              Imputato \n \n    del delitto p. e p. dagli articoli 81 e 595, comma 1 e  3,  c.p.,\nper avere offeso, con piu\u0027 azioni esecutive di  un  medesimo  disegno\ncriminoso, la reputazione di    , titolare del «     »,  e  candidato\nSindaco di con riferimento al suo impegno politico,  pubblicando  sul\nsocial network «Facebook» le seguenti frasi: «   »,  «     Quando  lo\nmandi ai convegni spiegagli di chi sta parlando. O  non  e\u0027  compreso\nnella tariffa»; «Ma se quello e\u0027 ignorante convinto  che  i  voti  si\ncomprano...» \n    Accertato in      , fino al     \n    Parti civili costituite: \n           , in proprio e quale esercente la potesta\u0027 genitoriale sui\nminori        ,          ,       e          ,  eredi  dell\u0027originaria\nparte civile     , nato a     (    ) il      deceduto in data       ,\nrappresentati  e  difesi  dall\u0027avv.  Giuseppe  Palazzo  del  Foro  di\nBrindisi;   \n             in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata\ne difesa dall\u0027avv. Gianmichele Pavone del Foro di Brindisi \n \n                               Osserva \n \n1. Premessa e svolgimento del processo. \n    Con sentenza del Tribunale di Brindisi del  22  luglio  2019  B  \nR     veniva ritenuto responsabile del reato ascrittogli, esclusa  la\ncontinuazione, e veniva condannato alla  pena  di  euro  1.000,00  di\nmulta, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena  sospesa.  Il\nB     veniva,  altresi\u0027,  condannato  a  risarcire  il   danno   alle\ncostituite parti civili,  e   , in persona del legale  rappresentante\np.t., per la cui liquidazione si  rimettevano  le  parti  dinanzi  al\ngiudice civile, ponendo a carico dell\u0027imputato una  provvisionale  in\nfavore di ciascuna parte civile di  euro  1.000,00,  oltre  spese  di\ncostituzione. \n    Avverso  la  citata  sentenza  proponeva  tempestivo  appello  il\ndifensore dell\u0027imputato,  censurando  la  pronuncia  sulla  base  dei\nseguenti motivi: \n      1. Con l\u0027atto di appello si sostiene l\u0027insussistenza del  reato\ndi cui all\u0027art. 595, commi 1 e  3,  c.d.  per  difetto  dell\u0027elemento\noggettivo.  Il  primo  giudice   avrebbe   riconosciuto   la   penale\nresponsabilita\u0027 dell\u0027imputato con riferimento alle frasi diffamatorie\npubblicate sul social  network  facebook  in  data     ,  ritenendolo\nautore delle frasi pubblicate sul proprio profilo facebook e  rivolte\nal      nonche\u0027 alla     , di cui il       ne  era  il  titolare.  In\nparticolare,  sul  detto  profilo  facebook  veniva   riportata   una\nfotografia riproducente    in occasione di un evento pubblico  avente\nad oggetto la  vita  e  l\u0027impegno  polito  dell\u0027ex  Presidente  della\nRepubblica Sandro Pertini. In quel periodo era in corso  la  campagna\nelettorale per l\u0027elezione del Sindaco di         che  vedeva  il     \n fra i candidati, mentre il B     sosteneva  una  diversa  coalizione\npolitica. Nel commentare l\u0027intervento del   a tale  evento,  il  B   \nalludeva al fatto che  quest\u0027ultimo  aveva  confuso  l\u0027ex  Presidente\nPertini con il noto giurista Vittorio Bachelet e  da  cio\u0027  scaturiva\nuna discussione pubblica su facebook, nel corso della quale il B    ,\nrispondendo  a  tale,       scriveva  «appunto  quando  lo  mandi  ai\nconvegni spiegagli di chi si sta parlando. O non  e\u0027  compreso  nella\ntariffa?» E poi ancora: «ma se quello e\u0027 un ignorante convinto che  i\nvoti si comprano e basta che vuoi da me? Tu ti ci sei messa  insieme,\nmo\u0027 tienitelo!». Nel corso di questa  conversazione  veniva  altresi\u0027\nresa  pubblica  dal  B      un\u0027immagine,  frutto  di   manipolazione,\ndell\u0027insegna    operante nella commercializzazione di preziosi usati,\nsu cui era riportata la seguente dicitura «    acquistiamo  tutti»  .\nCio\u0027 detto si sostiene che non sarebbe stato  provato  che  le  frasi\nasseritamente   diffamatorie    avessero    raggiunto    un    numero\nindeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone.\nInvero, le frasi in questione, essendo  dei  meri  commenti  al  post\nprincipale, non sarebbero state visibili immediatamente  da  chiunque\navesse visto il post principale, ma sarebbero state visibili solo  da\nchi, incuriosito dal leggere i commenti, avesse cliccato sulla parola\n«commenta» posta sotto il post principale.  Inoltre,  il  giudice  di\nprime cure  avrebbe  erroneamente  attribuito  le  frasi  incriminate\nall\u0027imputato sulla base di mere  prove  documentali  consistenti  nel\ndeposito di semplici copie della  pagina  facebook  nonche\u0027  di  mere\nprove testimoniali, senza preoccuparsi  di  cristallizzare  la  prova\nregina  consistente  nell\u0027accertare  il  codice  ID  del  profilo   e\nl\u0027indirizzo IP di provenienza dei post diffamatori.  Solo  attraverso\nquesti accertamenti sarebbe stato possibile attribuire al di  la\u0027  di\nogni ragionevole dubbio  le  frasi  diffamatorie  (comprensive  anche\ndella foto manipolata)  all\u0027imputato.  Peraltro,  con  riguardo  alle\nprove testimoniali,  nessun  teste  avrebbe  affermato  di  essere  a\nconoscenza  che  le  frasi   diffamatorie   fossero   state   scritte\ndirettamente dal B   R.  I testi avevano solo riferito che  le  frasi\ndiffamatorie  provenivano  dall\u0027account  dell\u0027imputato,  senza  pero\u0027\nessere in grado di precisare di avere saputo  da  terzi  o  di  avere\nvisto che le stesse fossero  state  scritte  materialmente  dal  B   \nR   .  Si  conclude  chiedendo  in   via   principale   l\u0027assoluzione\ndell\u0027appellante dal reato ascrittogli perche\u0027 i fatti non sussistono,\nquantomeno ai sensi dell\u0027art. 530, comma  2,  c.p.p.,  in  quanto  la\nprova mancherebbe o sarebbe insufficiente; in  via  subordinata,  nel\ncaso  del  riconoscimento  della   penale   responsabilita\u0027,   previo\nriconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, si  chiede  di\napplicare il minimo della pena edittale. \n    Le udienze del 15 dicembre 2023 e del  19  aprile  2024,  assente\nl\u0027imputato, sono state  rinviate  in  attesa  della  pronuncia  delle\nSezioni Unite di cui si dira\u0027. \n    All\u0027odierna  udienza  del  13  dicembre  2024,  all\u0027esito   della\ndiscussione e della Camera di consiglio, e\u0027 stata emessa la  seguente\nordinanza, di cui si  e\u0027  data  lettura  alle  parti  presenti  o  da\nritenersi legalmente tali. \n2. In punto di rilevanza della questione. \n    2.1. L\u0027applicazione nel caso di specie dell\u0027art.  578,  comma  1,\nc.p.p., oggetto delle censure di incostituzionalita\u0027. \n    Va osservato che  il  reato  ascritto  al  B     e\u0027  estinto  per\nprescrizione a fare data dal 26 agosto 2023, non essendovi periodi di\nsospensione del termine prescrizionale ne\u0027 in primo  ne\u0027  in  secondo\ngrado, e cioe\u0027 in epoca successiva alla pronuncia della  sentenza  di\ncondanna in primo grado e in  data  antecedente  alla  prima  udienza\ntenutasi in appello in data 15 dicembre 2023. \n    Tuttavia, sono costituite  e  presenti  nel  giudizio  due  parti\ncivili. In primo grado, il B      , riconosciuto colpevole del  reato\nascrittogli, e\u0027 stato condannato a risarcire il danno  nei  confronti\ndelle parti private, da liquidarsi in separata sede, con condanna  al\nversamento di una provvisionale quantificata  in  euro  1.000,00  per\nciascuna delle parti civili. \n    Con l\u0027appello, come visto, si chiede l\u0027assoluzione  dell\u0027imputato\nanche ai sensi dell\u0027art. 530 cpv. c.p.p. Orbene, ai  sensi  dell\u0027art.\n574, comma 4, c.p.p. l\u0027impugnazione cosi\u0027  proposta  estende  i  suoi\neffetti alla pronuncia di condanna al risarcimento del danno  e  alla\nrifusione delle spese processuali. Pertanto, questa Corte e\u0027 chiamata\na fare applicazione nel caso di specie della norma  di  cui  all\u0027art.\n578, comma 1, c.p.p., a mente  della  quale,  «quando  nei  confronti\ndell\u0027imputato e\u0027 stata pronunciata  condanna,  anche  generica,  alle\nrestituzioni o al risarcimento  dei  danni  cagionati  dal  reato,  a\nfavore della parte civile, il  giudice  di  appello  e  la  Corte  di\ncassazione, nel dichiarare  il  reato  estinto  per  amnistia  o  per\nprescrizione,  decidono  sull\u0027impugnazione  ai  soli  effetti   delle\ndisposizioni e dei capi della sentenza che concernono  gli  interessi\ncivili»  (mentre,  ove  non  fossero  stati  proposti  motivi   sulla\nresponsabilita\u0027,  neppure  civile  -  ad  esempio  motivi  solo   sul\ntrattamento sanzionatorio, genericamente inteso -, questa  Corte  non\navrebbe dovuto pronunciarsi sulle  statuizioni  civili  ex  art.  578\nc.p.p., che sarebbero rimaste, quindi, automaticamente  ferme,  anche\nin  seguito  alla  declaratoria   di   estinzione   del   reato   per\nprescrizione,  in  mancanza   di   doglianze   sull\u0027affermazione   di\nresponsabilita\u0027: vedi sul punto Cassazione pen. sez. V,  13  novembre\n2023, n. 6380/24, fattispecie  di  ricorso  per  cassazione,  avverso\nsentenza di  conferma  della  condanna  in  appello  per  delitto  di\nbancarotta fraudolenta e di condanna al risarcimento del  danno,  con\nil quale si lamentava solo il mancato riconoscimento del beneficio di\ncui all\u0027art. 163 c.p., in cui  la  Cassazione,  ritenuto  fondato  il\nmotivo, si limitava  solo  ad  annullare  senza  rinvio  la  sentenza\nimpugnata per la sopravvenuta estinzione del reato per  prescrizione,\naffermando il principio di diritto di cui sopra). \n    2.2. L\u0027art. 578, comma 1, c.p.p. nell\u0027interpretazione della Corte\ncostituzionale. \n    Come e\u0027 noto, questa disposizione e\u0027 stata oggetto in passato  di\ndubbi di legittimita\u0027 costituzionale, posti proprio da  questa  Corte\ncon due ordinanze. La  questione  venne  dichiarata  infondata  dalla\nCorte costituzionale con la nota sentenza n. 182 del 2021. \n    Si invocava - per il tramite dei parametri interposti di cui agli\narticoli 11 e 117, comma 1, Cost. - il principio della presunzione di\ninnocenza operante  nell\u0027ambito  dell\u0027ordinamento  sia  convenzionale\n(art. 6, paragrafo 2, CEDU), sia europeo (art. 48  CDFUE,  unitamente\nagli articoli 3 e 4 della direttiva 2016/343/UE), il quale vieta  che\nla persona, accusata di avere commesso un reato e  sottoposta  ad  un\nprocedimento penale conclusosi con  proscioglimento  (in  rito  o  in\nmerito), possa poi essere trattata dalle pubbliche autorita\u0027 come  se\nfosse colpevole del reato precedentemente contestatole. \n    In  particolare,  tale  principio  veniva  posto  in  rilievo  in\nrelazione  alla  fattispecie  della  prescrizione  quale   causa   di\nestinzione del reato (art. 157, primo comma, c.p.),  istituto  questo\nla  cui  valenza  sostanziale  e\u0027  stata   confermata   dalla   Corte\ncostituzionale (sentenze n. 140 del 2021 e n. 278 del  2020).  Questa\nCorte dubitava della conformita\u0027 dell\u0027art. 578  c.p.p.  al  principio\ndella presunzione di innocenza, come declinato  dalla  giurisprudenza\nCEDU e come risultante dall\u0027ordinamento  dell\u0027Unione  europea,  nella\nmisura in cui si assumeva che, per decidere sull\u0027impugnazione ai soli\neffetti delle disposizioni e dei capi della sentenza  che  concernono\ngli effetti civili, si dovesse accertare, seppure incidenter  tantum,\nla responsabilita\u0027 penale dell\u0027imputato  per  il  reato  estinto  per\nprescrizione e in relazione al quale occorreva,  invece,  pronunciare\nuna sentenza di proscioglimento dall\u0027accusa. \n    La  Corte  costituzionale,  dopo  avere  ricostruito  il   quadro\nnormativa  europeo  (sia  del  diritto  della  CEDU  che  dell\u0027Unione\neuropea,  alla  luce  della  pertinente  giurisprudenza   delle   due\nrispettive Corti - quella di Strasburgo e quella del Lussemburgo  -),\npassando a verificare se il  giudice  dell\u0027appello  penale,  che,  in\napplicazione della disposizione censurata,  e\u0027  chiamato  a  decidere\nsull\u0027impugnazione  ai  soli  effetti  civili  dopo  avere  dichiarato\nl\u0027estinzione  del  reato,  debba  effettivamente  procedere  ad   una\nrivalutazione complessiva della responsabilita\u0027 penale dell\u0027imputato,\nnonostante l\u0027intervenuta estinzione del reato per prescrizione  e  il\nproscioglimento dall\u0027accusa penale,  ritenne  che,  nella  situazione\nprocessuale di cui alla disposizione censurata,  che  vede  il  reato\nessere  estinto  per  prescrizione  e  quindi  l\u0027imputato  prosciolto\ndall\u0027accusa, il giudice non era affatto  chiamato  a  formulare,  sia\npure «incidenter tantum», un giudizio di  colpevolezza  penale  quale\npresupposto della decisione, di conferma o di riforma, sui capi della\nsentenza impugnata che concernono gli interessi civili. \n    In particolare, argomento\u0027 la Corte, «anzitutto, un tale giudizio\nnon e\u0027 richiesto dal tenore  testuale  della  disposizione  censurata\n(art. 578 cod. proc. pen.) che, a differenza di quella immediatamente\nsuccessiva (art. 578-bis cod. proc. pen. ), non  prevede  il  «previo\naccertamento della responsabilita\u0027 dell\u0027imputato». Il  confronto  tra\nl\u0027art. 578 e l\u0027art. 578-bis cod proc. pen. e\u0027  rilevante  proprio  al\nfine di chiarire l\u0027ambito  della  cognizione  richiesta  dalla  norma\nsospettata di illegittimita\u0027 costituzionale. L\u0027art. 578-bis  concerne\nl\u0027ipotesi in cui la  «coda»  di  accertamento  richiesto  al  giudice\ndell\u0027impugnazione  penale,  in  seguito   alla   sopravvenuta   causa\nestintiva del reato (per prescrizione o amnistia),  che  travolge  la\ncondanna emessa nel grado precedente, concerne non gia\u0027 gli interessi\ncivili,  ma  la  sussistenza,  o  meno,   dei   presupposti   di   un\nprovvedimento avente natura punitiva secondo i canoni  interpretativi\ndella  giurisprudenza  di  Strasburgo.  Diversamente  dall\u0027art.  578,\ninfatti, l\u0027art. 578-bis presuppone, ai fini della  sua  applicazione,\nnon gia\u0027 che nel grado  precedente  sia  stata  pronunciata  condanna\nrisarcitoria o restitutoria in favore della parte civile, bensi\u0027  che\nsia stata ordinata la «confisca in casi particolari» di cui al  primo\ncomma dell\u0027art. 240-bis del codice penale o di altre disposizioni  di\nlegge o la confisca prevista dall\u0027art. 322-ter del codice penale.  In\nquesto caso, pur rilevata la causa estintiva del  reato,  essendo  il\ngiudice chiamato a valutare i presupposti della conferma, o meno,  di\nuna sanzione di carattere punitivo ai  sensi  dell\u0027art.  7  CEDU,  la\ndichiarazione di responsabilita\u0027 dell\u0027imputato  in  ordine  al  reato\nascrittogli non solo e\u0027 consentita, ma e\u0027 anzi doverosa, poiche\u0027  non\nsi puo\u0027 irrogare una pena senza il giudizio sulla sussistenza di  una\nresponsabilita\u0027 personale, sebbene sia sufficiente che tale  giudizio\nrisulti   nella   «sostanza   dell\u0027accertamento»   contenuto    nella\nmotivazione della sentenza, non essendo  necessario  che  assuma,  in\ndispositivo, la «forma della pronuncia» di condanna (sentenza  n.  49\ndel 2015; Corte EDU, sentenza     e altri contro Italia). Il  dettato\ndell\u0027art. 578-bis cod. proc. pen. risponde a tale esigenza, imponendo\nal giudice del gravame penale, chiamato  a  decidere  sulla  confisca\ndopo  aver  rilevato  la\u0027  causa  estintiva  del  reato,  il  «previo\naccertamento della responsabilita\u0027 dell\u0027imputato».  L\u0027art.  578  cod.\nproc.pen., invece, non contiene analoga  clausola,  sicche\u0027  l\u0027ambito\ndella cognizione da esso richiesta al  giudice  penale  ai  fini  del\nprovvedimento   sull\u0027azione   civile,   deve    essere    ricostruito\ndall\u0027interprete, il quale, nel condurre  l\u0027esegesi  convenzionalmente\norientata della norma, ha come parametro convenzionale di riferimento\nproprio l\u0027art. 6 CEDU, nella stabile  e  consolidata  interpretazione\ndatane dalla giurisprudenza di Strasburgo, nonche\u0027 l\u0027art. 48 CDFUE.» \n    Aggiunse, poi, il giudice delle leggi che «tale esegesi -  a  ben\nvedere - non trova ostacolo nella giurisprudenza di legittimita\u0027  che\nil giudice rimettente richiama a  fondamento  delle  sue  censure  di\nillegittimita\u0027 costituzionale con riferimento  sia  ai  rapporti  tra\nl\u0027immediata  declaratoria  delle   cause   di   non   punibilita\u0027   e\nl\u0027assoluzione per  insufficienza  o  contraddittorieta\u0027  della  prova\n(artt. 129 e 530, comma 2, cod. proc.  pen),  sia  all\u0027individuazione\ndel giudice competente  per  il  giudizio  di  rinvio  in  seguito  a\ncassazione delle statuizioni civili (art. 622 cod.  proc.  pen),  sia\nall\u0027impugnabilita\u0027 con revisione (art. 630, comma 1, lettera c,  cod.\nproc.pen) della sentenza del giudice di  appello  di  conferma  della\ncondanna risarcitoria in seguito a proscioglimento dell\u0027imputato  per\nprescrizione del reato. Da una parte il principio di  diritto  (Corte\ndi  cassazione,  sezioni  unite  penali,  sentenza  28  maggio  -  15\nsettembre 2009, n. 35490)  -  secondo  cui,  in  deroga  alla  regola\ngenerale,   il   proscioglimento   nel    merito,    in    caso    di\ncontraddittorieta\u0027 o insufficienza della prova, prevale rispetto alla\ndichiarazione immediata di una causa di non punibilita\u0027,  quando,  in\nsede di appello, sopravvenuta l\u0027estinzione del reato, il giudice  sia\nchiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio\nprobatorio ai fini delle statuizioni  civili  -  presuppone,  per  un\nverso, il  carattere  «pieno»  o  «integrale»  della  cognizione  del\ngiudice dell\u0027impugnazione penale  (il  quale  non  puo\u0027  limitarsi  a\nconfermare o riformare immotivatamente le statuizioni  civili  emesse\nin primo grado, ma deve esaminare compiutamente i motivi  di  gravame\nsottopostigli, avuto riguardo al compendio probatorio e  dandone  poi\nconto in motivazione); per altro verso, non presuppone (ne\u0027  implica)\nche il giudice, nel conoscere della domanda  civile,  debba  altresi\u0027\nformulare, esplicitamente o  meno,  un  giudizio  sulla  colpevolezza\ndell\u0027imputato  e  debba  effettuare  un  accertamento,  principale  o\nincidentale, sulla sua responsabilita\u0027 penale, ben potendo  contenere\nl\u0027apprezzamento richiestogli entro i  confini  della  responsabilita\u0027\ncivile (in seguito, ex plurimis, Corte di cassazione,  sezione  sesta\npenale, sentenza 20 marzo-8 aprile 2013,  n.  16155;  sezione  quarta\npenale, sentenze 21-28 novembre 2018, n. 53354 e  16  novembre  -  12\ndicembre 2018, n. 55519). Piu\u0027 in generale la  giurisprudenza  (Corte\ndi  cassazione,  sezioni  unite  penali,  sentenza  18  luglio  -  27\nsettembre 2013, n. 40109), pronunciandosi sul  vizio  di  motivazione\nche puo\u0027 inficiare la decisione emessa  dal  giudice  di  appello  ai\nsensi dell\u0027art. 578 cod. proc.pen , ha affermato che, in  conseguenza\ndel rilievo del predetto vizio (e della susseguente cassazione  della\nsentenza) il rinvio debba essere fatto sempre al giudice civile e non\nal giudice penale, in applicazione  dell\u0027art.  622  cod.  proc.pen  ,\nproprio in ragione, non gia\u0027  del  mancato  accertamento  incidentale\ndella responsabilita\u0027 penale dell\u0027imputato, ma dell\u0027omesso esame  dei\nmotivi di  gravame,  ove  la  condanna  risarcitoria  confermata  dal\ngiudice di appello  sia  fondata  sul  mero  presupposto  della  «non\nevidente estraneita\u0027» dell\u0027imputato ai fatti di reato  contestatigli.\nLa giurisprudenza successiva ha dato  continuita\u0027  a  tale  principio\n(Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 14 gennaio  -  9\nottobre 2014, n. 42039; sezione sesta penale, sentenze  21  gennaio-6\nfebbraio 2014, n. 5888 e 23 settembre-6 novembre 2015, n. 44685):  la\ncognizione del giudice dell \u0027impugnazione penale, ex  art.  578  cod.\nproc.pen., e\u0027 funzionale  alla  conferma  delle  statuizioni  civili,\nattraverso  il  completo  esame  dei  motivi  di  impugnazione  volto\nall\u0027accertamento dei requisiti costitutivi dell\u0027illecito civile posto\na fondamento  della  obbligazione  risarcitoria  o  restitutoria.  Il\ngiudice  penale  dell  \u0027impugnazione  e\u0027  chiamato  ad  accertare   i\npresupposti dell\u0027illecito civile e nient\u0027affatto  la  responsabilita\u0027\npenale dell\u0027imputato, ormai prosciolto per essere  il  reato  estinto\nper prescrizione. Ne\u0027  cio\u0027  e\u0027  revocato  in  dubbio  dall\u0027affermata\nammissibilita\u0027 della istanza di revisione  avverso  la  pronuncia  di\ncondanna al risarcimento del danno ex art. 578 cod. proc.pen., (Corte\ndi cassazione, sezioni  unite  penali,  sentenza  25  ottobre  2018-7\nfebbraio 2019, n.  6141).  L\u0027ammissibilita\u0027  di  questa  impugnazione\nstraordinaria   e\u0027   conseguenza   dell\u0027ibridazione   delle    regole\nprocessuali che rimangono quelle del rito  penale  anche  quando  nel\ngiudizio residua soltanto una  domanda  civilistica  in  ordine  alla\nquale  si  e\u0027  pronunciato  il  giudice  dell\u0027impugnazione  ai  sensi\ndell\u0027art. 578 cod. proc. pen., (in  generale,  sentenza  n.  176  del\n2019). Ma dall\u0027applicazione delle regole di rito non  puo\u0027  inferirsi\nche il giudice della revisione ex  art.  630  cod.  proc.  pen.,  non\ndiversamente dal giudice d\u0027appello o di cassazione ex art.  578  cod.\nproc.pen., debba pronunciarsi sulla responsabilita\u0027 penale di chi  e\u0027\nstato definitivamente prosciolto. La responsabilita\u0027,  oggetto  della\ncognizione del giudice, e\u0027 pur sempre quella da atto illecito ex art.\n2043 del codice civile.» \n    Escluso, a giudizio della  Corte,  ogni  ostacolo  sia  nel  dato\ntestuale della disposizione di  cui  all\u0027art.  578  c.p.p.,  sia  nel\ndiritto vivente risultante dalla giurisprudenza di  legittimita\u0027,  si\npoteva accedere  ad  un\u0027interpretazione  conforme  della  norma  agli\nindicati parametri interposti. \n    E l\u0027interpretazione conforme  di  cui  si  faceva  promotrice  la\nConsulta  era  questa:  «il  giudice  dell\u0027impugnazione  penale,  nel\ndecidere sulla domanda risarcitoria, non e\u0027 chiamato a verificare  se\nsi sia integrata la fattispecie penale tipica contemplata dalla norma\nincriminatrice, in cui si iscrive il fatto di reato di volta in volta\ncontestato;  egli  deve  invece  accertare  se   sia   integrata   la\nfattispecie civilistica dell\u0027illecito  aquiliano  (art.  2043  codice\ncivile). Con riguardo al  «fatto»  -  come  storicamente  considerato\nnell\u0027imputazione penale - il giudice dell\u0027impugnazione e\u0027 chiamato  a\nvalutarne gli  effetti  giuridici,  chiedendosi,  non  gia\u0027  se  esso\npresenti gli elementi costitutivi  della  condotta  criminosa  tipica\n(commissiva  od  omissiva)  contestata   all\u0027imputato   come   reato,\ncontestualmente dichiarato estinto per prescrizione, ma piuttosto  se\nquella condotta sia stata idonea  a  provocare  un  «danno  ingiusto»\nsecondo l\u0027art. 2043 codice civile,  e  cioe\u0027  se,  nei  suoi  effetti\nsfavorevoli al danneggiato, essa si sia tradotta nella lesione di una\nsituazione  giuridica  soggettiva  civilmente  sanzionabile  con   il\nrisarcimento del danno. Nel contesto di  questa  cognizione  rilevano\nsia l\u0027evento lesivo della situazione soggettiva di cui e\u0027 titolare la\npersona danneggiata, sia le conseguenze  risarcibili  della  lesione,\nche possono essere di natura sia patrimoniale che  non  patrimoniale.\nLa mancanza di  un  accertamento  incidentale  della  responsabilita\u0027\npenale in ordine al reato estinto per prescrizione  non  preclude  la\npossibilita\u0027 per il danneggiato di ottenere l\u0027accertamento giudiziale\ndel suo diritto al risarcimento del danno, anche non patrimoniale, la\ncui tutela deve essere  assicurata,  nella  valutazione  sistemica  e\nbilanciata dei valori di rilevanza costituzionale al pari di  quella,\nper l\u0027imputato, derivante dalla presunzione di  innocenza.  Il  danno\nnon  patrimoniale  ha  il  contenuto  chiarito,   da   tempo,   dalla\ngiurisprudenza (a partire  da  Corte  di  cassazione,  sezioni  unite\ncivili, sentenze 24 giugno-11 novembre 2008, n. 26972, n.  26793,  n.\n26794 e n. 26795)  e  quindi  sussiste  sia  nei  casi  espressamente\nprevisti dalla legge al di fuori delle  fattispecie  di  reato  (art.\n2059 codice civile), sia nei casi di  lesione  «non  bagatellare»  di\ninteressi della persona elevati a valori costituzionali, sia  infine,\nin tutte le ipotesi di derivazione del  pregiudizio  da  un  illecito\ncivile coincidente con una fattispecie penale (art.  185 cod.  pen.).\nIn   quest\u0027ultima   ipotesi   l\u0027illecito   civile,   pur   fondandosi\nsull\u0027elemento materiale e psicologico del reato, tuttavia risponde  a\ndiverse  finalita\u0027  e  richiama  un   distinto   regime   probatorio.\nL\u0027esigenza di rispetto della presunzione di  innocenza  dell\u0027imputato\nnon preclude al giudice penale dell\u0027impugnazione di  effettuare  tale\naccertamento onde liquidare anche il danno non  patrimoniale  di  cui\nall\u0027art.  185  cod.  pen.  La  natura  civilistica  dell\u0027accertamento\nrichiesto   dalla   disposizione   censurata   al   giudice    penale\ndell\u0027impugnazione, differenziato dall\u0027(ormai  precluso)  accertamento\ndella responsabilita\u0027  penale  quanto  alle  pretese  risarcitorie  e\nrestitutorie  della  parte  civile,  emerge  riguardo  sia  al  nesso\ncausale, sia all\u0027elemento soggettivo dell\u0027illecito.  Il  giudice,  in\nparticolare, non  accerta  la  causalita\u0027  penalistica  che  lega  la\ncondotta (azione od omissione) all\u0027evento in base alla  regola  dell\u0027\n«alto grado di probabilita\u0027 logica»  (Corte  di  cassazione,  sezioni\nunite penali, sentenza 10 luglio-11 settembre 2002,  n.  30328).  Per\nl\u0027illecito civile vale, invece, il criterio del «piu\u0027  probabile  che\nnon» o della  «probabilita\u0027  prevalente»  che  consente  di  ritenere\nadeguatamente  dimostrata  (e  dunque  processualmente  provata)  una\ndeterminata ipotesi fattuale se essa, avuto riguardo  ai  complessivi\nrisultati  delle  prove  dichiarative  e  documentali,  appare   piu\u0027\nprobabile  di  ogni  altra  ipotesi  e  in  particolare  dell\u0027ipotesi\ncontraria (in tal senso e\u0027 la giurisprudenza a partire  da  Corte  di\ncassazione, sezioni unite civili, sentenze 11 gennaio 2008,  n.  576,\nn. 581, n. 582 e n. 584). L\u0027autonomia dell\u0027accertamento dell\u0027illecito\ncivile non e\u0027 revocata in dubbio dalla circostanza che esso si svolga\ndinanzi al  giudice  penale  e  sia  condotto  applicando  le  regole\nprocessuali e probatorie del processo penale  (art.  573  cod.  proc.\npen). L\u0027applicazione dello statuto della  prova  penale  e\u0027  pieno  e\nconcerne  sia  i  mezzi  di  prova   (sara\u0027   cosi\u0027   ammissibile   e\nutilizzabile, ad esempio, la testimonianza della persona  offesa  che\nnel processo civile sarebbe interdetta dall\u0027art. 246 cod proc. civ.),\nsia le modalita\u0027 di assunzione  della  prova  (le  prove  costituende\nsaranno  cosi\u0027  assunte  per  cross  examination  ex  art.  499  cod.\nproc.pen. e non per interrogatorio diretto  del  giudice),  le  quali\nricalcheranno pedissequamente quelle da  osservare  nell\u0027accertamento\ndella responsabilita\u0027 penale: ove ne ricorrano i presupposti, dunque,\nil giudice dell\u0027appello  penale,  rilevata  l\u0027estinzione  del  reato,\npotra\u0027 - o talora dovra\u0027 (Corte di cassazione, sezioni unite  penali,\nsentenza 28 gennaio - 4 giugno  2021,  n.  22065)  -  procedere  alla\nrinnovazione  dell\u0027istruzione  dibattimentale  al  fine  di  decidere\nsull\u0027impugnazione ai soli effetti civili (art. 603, comma 3-bis, cod.\nproc.pen).» \n    Aggiunse ancora  la  Corte  che  «l\u0027approdo  dell\u0027interpretazione\nlogico-sistematica della norma processuale censurata assicura, quanto\nal cosiddetto secondo aspetto  della  presunzione  di  innocenza,  la\nconformita\u0027 alla richiamata giurisprudenza della Corte di Strasburgo,\nla quale, mentre da  un  lato  ha  ammonito  che,  «se  la  decisione\nnazionale sul risarcimento dovesse contenere  una  dichiarazione  che\nimputa  la  responsabilita\u0027  penale  alla   parte   convenuta,   cio\u0027\nsolleverebbe  una  questione  che  rientra  nell\u0027ambito  dell\u0027art.  6\n[paragrafo] 2  della  Convenzione»   (Corte  EDU,  sentenza  Pasquini\ncontro Repubblica di San Marino), dall \u0027altro lato ha anche avvertito\nche l\u0027applicazione del  diritto  alla  presunzione  di  innocenza  in\nfavore dell\u0027imputato non deve ridondare a  danno  del  diritto  della\nvittima  al  risarcimento  del  danno  (in  particolare,  Corte  EDU,\nsentenza  Ringvold  contro  Norvegia).  Una   volta   dichiarata   la\nsopravvenuta causa estintiva del reato, in applicazione dell\u0027art. 578\ncod. proc.pen., l\u0027imputato avra\u0027 diritto a che la sua responsabilita\u0027\npenale non sia piu\u0027 rimessa in discussione, ma la parte civile  avra\u0027\ndiritto al pieno accertamento dell\u0027obbligazione risarcitoria: Con  la\ndisposizione censurata il legislatore ha operato un bilanciamento tra\nle  esigenze  sottese  all\u0027operativita\u0027  del  principio  generale  di\naccessorieta\u0027 dell\u0027azione  civile  rispetto  all\u0027azione  penale  (che\nesclude la decisione sul capo civile nell\u0027ipotesi di proscioglimento)\ne le esigenze di tutela dell\u0027interesse  del  danneggiato,  costituito\nparte civile. \n    Quando il proscioglimento viene pronunciato in grado di appello o\ndi legittimita\u0027, in seguito ad una valida condanna emessa  nei  gradi\nprecedenti, la regola dell\u0027accessorieta\u0027 (che comporta il  sacrificio\ndell\u0027interesse della parte civile) subisce dei temperamenti,  poiche\u0027\nessa continua ad essere applicabile nelle ipotesi di assoluzione  nel\nmerito e di sopravvenienza di cause estintive del reato riconducibili\nalla volonta\u0027 delle parti (ad esempio remissione di querela), ma  non\ntrova  applicazione  allorche\u0027  la  dichiarazione  di   non   doversi\nprocedere dipenda dalla sopravvenienza di  una  causa  estintiva  del\nreato riconducibile a prescrizione  o  ad  amnistia,  nel  qual  caso\nprevale l\u0027interesse della  parte  civile  a  conservare  le  utilita\u0027\nottenute nel corso del processo, che  continua  dinanzi  allo  stesso\ngiudice  penale,  sebbene  sia  mutato  l\u0027ambito   della   cognizione\nrichiestagli, che va circoscritta alla responsabilita\u0027 civile.» \n    «In conclusione - chioso\u0027 il giudice delle  leggi  -  il  giudice\ndell\u0027impugnazione penale (giudice di appello o Corte di  cassazione),\nspogliatosi   della   cognizione   sulla    responsabilita\u0027    penale\ndell\u0027imputato in seguito alla declaratoria di  estinzione  del  reato\nper sopravvenuta prescrizione (o  per  sopravvenuta  amnistia),  deve\nprovvedere  -  in  applicazione  della   disposizione   censurata   -\nsull\u0027impugnazione ai soli effetti civili, confermando,  riformando  o\nannullando la condanna gia\u0027 emessa nel grado precedente,  sulla  base\ndi un accertamento che impinge unicamente sugli elementi  costitutivi\ndell\u0027illecito civile, senza  poter  riconoscere,  neppure  incidenter\ntantum, la responsabilita\u0027 dell\u0027imputato per il reato estinto.» \n    Cosi\u0027 interpretato, l\u0027art. 578  c.p.p.  non  violava  il  diritto\ndell\u0027imputato  alla   presunzione   di   innocenza   come   declinato\nnell\u0027ordinamento convenzionale dalla giurisprudenza della Corte EDU e\ncome riconosciuto nell\u0027ordinamento dell\u0027Unione europea. \n    2.3. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti  dell\u0027uomo\nsuccessiva alla sentenza della Corte costituzionale n. 182/2021. \n    Giova evidenziare che la pronuncia della Corte costituzionale  n.\n182 del 2021 e\u0027 stata oggetto di valutazione  da  parte  della  Corte\nEDU (vedi Corte EDU 18 novembre 2021,     c. Italia;  Corte  EDU,  15\nsettembre 2023,     c. Italia,  sebbene  i  casi  oggetto  delle  due\nsentenze  afferissero  all\u0027applicazione  della  fattispecie  di   cui\nall\u0027art. 576 c.p.p.), che ne ha apprezzato  l\u0027equilibrio  di  sistema\ntra il principio di accessorieta\u0027 dell\u0027azione civile e le esigenze di\ntutela dell\u0027interesse del  danneggiato,  costituitosi  parte  civile,\nevidenziandone la piena compatibilita\u0027 con la CEDU. \n    2.4. La riforma c.d. Cartabia. \n    L\u0027interpretazione,    convenzionalmente    e    eurounitariamente\nconsiderata, dell\u0027art. 578 c.p.p. proposta dalla Corte costituzionale\ne\u0027 stata senza dubbio tenuta presente dal legislatore  della  riforma\nc.d. Cartabia nell\u0027apportare le  necessarie  modifiche  in  punto  di\nrapporti tra azione civile e azione penale nell\u0027ambito  del  processo\npenale. \n    Invero, gia\u0027 con la legge n. 134/2021, nell\u0027introdurre  il  nuovo\nistituto dell\u0027improcedibilita\u0027 per superamento dei termini di  durata\nmassima del giudizio di impugnazione (art. 344-bis c.p.p.), operativo\nin relazione alle impugnazioni aventi ad oggetto reati  commessi  dal\n1° gennaio 2020 (art. 2, comma 3, legge n. 134/2021), il  legislatore\nsi e\u0027  preoccupato  di  disciplinare  la  fattispecie  relativa  alla\ndeclaratoria di  improcedibilita\u0027  inerente  un  processo  nel  quale\nrisulta costituita la parte civile, conclusosi in primo grado con  la\ncondanna dell\u0027imputato anche al  risarcimento  del  danno,  inserendo\nnell\u0027art. 578 c.p.p.  una  specifica  disposizione  (il  comma  1-bis\nintrodotto dall\u0027art. 2, comma 2, lettera b) della legge n. 134/2021). \n    Il comma 1-bis dell\u0027art. 578 c.p.p. in origine  cosi\u0027  prevedeva:\n«quando nei confronti dell\u0027imputato e\u0027  stata  pronunciata  condanna,\nanche  generica,  alle  restituzioni  o  al  risarcimento  dei  danni\ncagionati dal reato in favore  della  parte  civile,  il  giudice  di\nappello e  la  Corte  di  cassazione,  nel  dichiarare  improcedibile\nl\u0027azione penale per il superamento dei termini di cui ai commi 1 e  2\ndell\u0027art. 344-bis, rinviano per la  prosecuzione  al  giudice  civile\ncompetente per valore in grado di appello, che  decide  valutando  le\nprove acquisite nel processo penale». \n    Successivamente, in attuazione della delega  di  cui  all\u0027art.  1\ncomma 13 lettera d) della legge n. 134/2021, il legislatore  delegato\n(art. 33 del  decreto  legislativo  n.  150/2022)  e\u0027  intervenuto  a\nmodificare il comma 1-bis dell\u0027art. 578  c.p.p.,  ad  aggiungervi  il\ncomma 1-ter, e a modificare l\u0027art. 573 c.p.p., aggiungendovi il comma\n1-bis. \n    Nella sua attuale  formulazione  il  comma  1-bis  dell\u0027art.  578\nc.p.p. cosi\u0027 statuisce: quando nei confronti dell\u0027imputato  e\u0027  stata\npronunciata  condanna,  anche  generica,  alle  restituzioni   o   al\nrisarcimento dei danni cagionati dal  reato  in  favore  della  parte\ncivile, e in ogni caso di impugnazione della sentenza anche  per  gli\ninteressi civili, il giudice di appello e la Corte di cassazione,  se\nl\u0027impugnazione non e\u0027  inammissibile,  nel  dichiarare  improcedibile\nl\u0027azione penale per il superamento dei termini di cui ai commi 1 e  2\ndell\u0027art. 344-bis, rinviano per la prosecuzione  al  giudice  o  alla\nsezione civile competente nello  stesso  grado,  che  decidono  sulle\nquestioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e\nquelle eventualmente acquisite nel giudizio civile«. Il  comma  1-ter\nprevede che «nei  casi  di  cui  al  comma  1-bis,  gli  effetti  del\nsequestro conservativo disposto a garanzia delle obbligazioni  civili\nderivanti dal reato, permangono fino a che  la  sentenza  che  decide\nsulle questioni civili non e\u0027 piu\u0027 soggetta a  impugnazione».  L\u0027art.\n573, comma 1-bis,  c.p.p.  cosi\u0027  dispone:  «quando  la  sentenza  e\u0027\nimpugnata per i soli interessi civili, il giudice  di  appello  e  la\nCorte di cassazione, se l\u0027impugnazione non e\u0027 inammissibile, rinviano\nper la prosecuzione, rispettivamente al giudice o alla sezione civile\ncompetente, che decide sulle questioni civili  utilizzando  le  prove\nacquisite nel processo penale e quelle  eventualmente  acquisite  nel\ngiudizio civile». Come chiarito dalle Sezioni Unite (Cass. pen.  sez.\nun., 25 maggio 2023, n. 38841), quest\u0027ultima disposizione si  applica\nalle impugnazioni per i soli interessi civili proposte  relativamente\nai giudizi nei quali la costituzione di parte civile sia  intervenuta\nin epoca successiva al 30 dicembre 2022, quale  data  di  entrata  in\nvigore della predetta disposizione. \n    Si  legge  testualmente  nella  relazione  illustrativa  che   ha\naccompagnato l\u0027entrata in vigore del decreto legislativo n. 150/2022:\n«analoga  contraddizione  sistematica,  in  ragione   del   carattere\nprocessuale  e  impediente  della  pronuncia   di   improcedibilita\u0027,\nprodurrebbe una prosecuzione del giudizio  di  impugnazione  ai  soli\neffetti civili, considerata la natura accessoria  dell\u0027azione  civile\nnel processo penale. A tale ultimo riguardo,  peraltro,  soccorre  un\nulteriore dato sistematico, ricavabile  dalla  disposizione  gia\u0027  in\nvigore introdotta nel comma 1-bis  dell\u0027art.  578  c.p.p.,  ad  opera\ndella legge n. 134 del 2021, secondo cui, in caso di condanna per  la\nresponsabilita\u0027 civile, il giudice dell\u0027impugnazione, nel  dichiarare\nimprocedibile l\u0027azione  penale  ai  sensi  dell\u0027art.  344-bis  c.p.p,\nrinvia per la prosecuzione al giudice  civile.  Il  legislatore,  per\nquanto concerne i rapporti tra improcedibilita\u0027 e azione  civile,  ha\nquindi scelto di percorrere una «terza via»,  mediana  rispetto  alla\nsoluzione di lasciare al giudice penale il compito di decidere  sulla\ndomanda risarcitoria nonostante  l\u0027improcedibilita\u0027  e  a  quella  di\nimporre una riproposizione della domanda al giudice civile  di  primo\ngrado. La scelta punta a ridurre il  carico  di  lavoro  del  giudice\npenale nella fase delle impugnazioni, assicurando  il  diritto  della\nparte civile a una decisione sull\u0027azione risarcitoria  in  tempi  non\nirragionevoli. In coerenza con tale scelta  e  con  la  ratio  stessa\ndella legge n. 134/2021, pertanto, si propone di attuare la delega in\nordine ai rapporti tra improcedibilita\u0027 dell\u0027azione penale  e  azione\ncivile trasferendo la  decisione  al  giudice  civile.  L\u0027opzione  di\ntrasferire al giudice civile la decisione sull\u0027impugnazione, dopo  la\nformazione del  giudicato  sui  capi  penali,  sviluppa  il  percorso\nesegetico  seguito  dalla  giurisprudenza   costituzionale   relativa\nall\u0027art. 578, comma 1, c.p.p e, quindi, si basa sul presupposto  che,\nper  non  incorrere  in  violazioni  della  presunzione   d\u0027innocenza\ndell\u0027imputato, e\u0027 necessario restringere l\u0027oggetto di accertamento al\nsolo diritto del danneggiato  al  risarcimento  del  danno,  dopo  lo\nspartiacque del giudicato.  E\u0027  pertanto  ragionevole  attribuire  il\ncompito di decidere al giudice  civile,  in  una  situazione  in  cui\ndevono essere verificati gli estremi  della  responsabilita\u0027  civile,\nsenza poter  accertare  nemmeno  incidentalmente  la  responsabilita\u0027\npenale. Cio\u0027 accade gia\u0027, secondo la sentenza costituzionale  n.  182\ndel 2021, nelle ipotesi coperte dall\u0027art. 578, comma  1,  c.p.p  dove\n«il giudice penale, nel decidere sulla domanda risarcitoria,  non  e\u0027\nchiamato a verificare se  si  sia  integrata  la  fattispecie  penale\ntipica contemplata dalla norma incriminatrice», ma «se sia  integrata\nla fattispecie civilistica dell\u0027illecito aquiliano (art. 2043  codice\ncivile)», valutando quindi se la condotta contestata «si sia tradotta\nnella lesione  di  una  situazione  giuridica  soggettiva  civilmente\nsanzionabile  con  il  risarcimento  del  danno».  Secondo  la  Corte\ncostituzionale, «la mancanza di  un  accertamento  incidentale  della\nresponsabilita\u0027 penale in ordine al reato  estinto  per  prescrizione\nnon  preclude  la  possibilita\u0027  per  il  danneggiato   di   ottenere\nl\u0027accertamento giudiziale del suo diritto al risarcimento del  danno,\nanche non patrimoniale, la cui tutela deve essere  assicurata,  nella\nvalutazione  sistemica  e  bilanciata   dei   valori   di   rilevanza\ncostituzionale al pari di quella,  per  l\u0027imputato,  derivante  dalla\npresunzione di innocenza» (sent. n. 182/2021,  par.  14  m.).  Questa\nricostruzione e\u0027 stata portata alle logiche conseguenze  in  sede  di\nattuazione della direttiva di cui all\u0027art. 1, comma  13,  lettera  d)\ndella legge delega, nella parte  in  cui  impone  di  disciplinare  i\nrapporti tra l\u0027improcedibilita\u0027 dell\u0027azione penale e l\u0027azione civile.\nL\u0027art.  578,  comma  1-bis,  c.p.p.  e\u0027  stato  pertanto  modificato,\nincludendo il  riferimento  ad  «ogni  caso»  di  impugnazione  della\nsentenza «anche» per gli interessi civili (quindi anche  in  mancanza\ndi una pronuncia di condanna alle restituzioni o al risarcimento  dei\ndanni). La «prosecuzione» del processo  davanti  al  giudice  civile,\ndisposta dopo il necessario controllo del giudice penale sull\u0027assenza\ndi cause d\u0027inammissibilita\u0027 dell\u0027impugnazione, non determina  effetti\npregiudizievoli per la parte civile o per l\u0027imputato ne\u0027 dal punto di\nvista cognitivo, in quanto il giudice competente deve decidere  tutte\nle «questioni civili», con esclusione di quelle  penali  coperte  dal\ngiudicato (la decisione civile non  potrebbe  quindi  incidere  sulla\npresunzione d\u0027innocenza), ne\u0027  dal  punto  di  vista  probatorio,  in\nquanto restano utilizzabili le prove acquisite nel  processo  penale,\nin contraddittorio  con  l\u0027imputato,  oltre  a  quelle  eventualmente\nacquisite nel giudizio civile. Onde salvaguardare  anche  le  cautele\nreali che assistono la domanda civile in sede penale,  si  introduce,\ncon il nuovo comma 1-ter dell\u0027art. 578 c.p.p., una disposizione che -\nin deroga a quanto previsto dall\u0027art. 317, comma  4,  c.p.p.  (a  tal\nfine opportunamente interpolato) - prevede, nel caso di trasferimento\ndell\u0027azione  civile,  la  persistenza  degli  effetti  del  sequestro\nconservativo disposto a garanzia delle obbligazioni civili  derivanti\ndal reato fino a che la sentenza che decide  sulle  questioni  civili\nnon sia piu\u0027 soggetta a impugnazione. Inoltre, per attuare la seconda\nparte  della  direttiva  di   cui   alla   lettera   d),   e\u0027   stata\nconseguentemente disciplinata l\u0027ipotesi dell\u0027impugnazione per i  soli\ninteressi civili, introducendo nel nuovo comma  1-bis  dell\u0027art.  573\nc.p.p l\u0027innovativa regola  del  trasferimento  della  decisione  allo\ngiudice  civile,  dopo  la   verifica   imprescindibile   sulla   non\ninammissibilita\u0027 dell\u0027atto svolta dal giudice  penale.  Naturalmente,\noccorre attribuire il diritto d\u0027impugnare, in prima battuta, come  se\nsi trattasse di un\u0027impugnazione anche  agli  effetti  civili  (quindi\ncome se vi fosse anche l\u0027impugnazione agli effetti penali del p.m.  o\ndell\u0027imputato), situazione coperta dall\u0027art.  573,  comma  1,  c.p.p.\nL\u0027art. 573, comma  1-bis,  c.p.p  diventa  applicabile  dopo  che  il\ngiudice   penale   dell\u0027impugnazione   abbia   verificato   l\u0027assenza\nd\u0027impugnazione  anche  agli  effetti  penali.   Questa   scelta   del\nlegislatore delegato determina un  ulteriore  risparmio  di  risorse,\nnell\u0027ottica di implementare l\u0027efficienza giudiziaria nella fase delle\nimpugnazioni, e non  si  pone  in  conflitto  con  la  giurisprudenza\ncostituzionale, data la  limitazione  della  cognizione  del  giudice\ncivile alle  «questioni  civili».  Il  giudice  civile  non  potrebbe\npertanto  accertare  incidentalmente  il  tema  gia\u0027  definito  della\nresponsabilita\u0027 penale, neppure nel caso di  appello  proposto  dalla\nsola parte civile avverso la sentenza di  assoluzione  dell\u0027imputato,\ncon una soluzione normativa  che  evita  i  profili  d\u0027illegittimita\u0027\nravvisati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 176 del  2019,\nrispetto all\u0027eventualita\u0027 di  un  accertamento  dell\u0027illecito  penale\ncompiuto in sede civile. Con il rinvio dell\u0027appello o del ricorso  al\ngiudice  di  l\u0027oggetto  di  accertamento  non  cambierebbe,   ma   si\nrestringerebbe, dal momento che la domanda risarcitoria  da  illecito\ndi e\u0027 gia\u0027 implicita alla domanda  risarcitoria  da  illecito  penale\n(l\u0027illecito penale implica l\u0027illecito di). Non  vi  sarebbe  pertanto\nuna  modificazione  della  domanda  risarcitoria  nel  passaggio  dal\ngiudizio penale a quello di. Ragionevolmente,  l\u0027eventualita\u0027  dovra\u0027\nessere prevista dal danneggiato  dal  reato  sin  dal  momento  della\ncostituzione  di  parte  di,  atto  che  pertanto  dovra\u0027   contenere\nl\u0027esposizione delle ragioni che giustificano «la domanda agli effetti\ncivili», secondo l\u0027innovata formulazione dell\u0027art.  78,  lettera  d),\nc.p.p. In conseguenza della disciplina dettata  per  i  rapporti  fra\nimprocedibilita\u0027  dell\u0027azione  penale,  azione  di  e  confisca,   si\nintroducono due ulteriori misure al  fine  di  prevenire  l\u0027eventuale\nprodursi di cause di improcedibilita\u0027 e, nel caso in  cui  le  stesse\ndovessero comunque verificarsi, evitare il pregiudizio che un ritardo\nnella declaratoria di improcedibilita\u0027 potrebbe  produrre  all\u0027azione\ndella parte di e alle esigenze di pronta  attivazione  dell\u0027autorita\u0027\ngiudiziaria  compente  per  le  misure  di  prevenzione.»  (relazione\nillustrativa pubblica nella Gazzetta Ufficiale,  Serie  generale,  n.\n245 del 19 ottobre 2022, pag. 329 e ss.). \n    E\u0027 di tutta evidenza l\u0027importanza che ha avuto la sentenza  della\nCorte costituzionale  n.  182  del  2021  nelle  scelte  operate  dal\nlegislatore della riforma c.d. Cartabia, finalizzate ad attribuire al\ngiudice di il prosieguo del giudizio di impugnazione ogni  volta  che\npermangono esclusivamente in gioco interessi civili. \n    In buona sostanza, venuta meno la vicenda  penale  (vuoi  perche\u0027\ndichiarata improcedibile l\u0027azione penale ai sensi  dell\u0027art.  344-bis\nc.p.p., vuoi perche\u0027 l\u0027impugnazione risulta  proposta  solo  per  gli\ninteressi civili) il  legislatore  della  riforma  c.d.  Cartabia  ha\nprevisto che il giudizio  prosegue  solo  per  gli  interessi  civili\ndinanzi al giudice di, al fine, da un lato, di  sgravare  il  giudice\npenale dalla decisione sull\u0027impugnazione, alleggerendo, in tale modo,\ni  relativi  ruoli  di  udienza,  dall\u0027altra,  di  salvaguardare   la\npresunzione di innocenza dell\u0027imputato. \n    In questo contesto, di rinnovata  modulazione  dei  rapporti  tra\nazione penale  e  azione  di  nell\u0027ambito  del  processo  penale,  si\ninserisce la sentenza di  recente  pronunciata  dalle  Sezioni  Unite\n(vedi Cassazione pen. sez. un., 28.3.-27 settembre 2024, n. 36208,   \nc/     ), che costituisce la novita\u0027 che ha determinato la necessita\u0027\ndi ricorrere nuovamente alla Corte costituzionale. \n    2.5. La sentenza delle Sezioni Unite      (Cass.  pen.  sez.  un.\n28.3. - 27 settembre 2024, n. 36208). \n    Come e\u0027 noto, con ordinanza dell\u00278 giugno  2023,  la  IV  Sezione\nPenale della Cassazione rimetteva alle  Sezioni  Unite  la  questione\ninerente al sindacato  del  giudice  di  appello  e  alla  regola  di\ngiudizio applicabile a fronte  del  gravame  proposto  dall\u0027imputato,\ncondannato in primo grado anche al risarcimento del  danno,  che  non\nabbia  rinunciato  alla  prescrizione.  In  particolare,  la  Sezione\nrimettente riteneva che, per quanto  interpretativa  di  rigetto,  la\nsentenza n.  182  del  2021  della  Corte  costituzionale  costituiva\ntermine di riferimento non eludibile, poiche\u0027 la  soluzione  adottata\nappariva comporre in un ragionevole equilibrio i  diversi  valori  in\ngioco, ponendosi nella linea  di  tendenza  anche  normativa  di  una\nsempre piu\u0027 evidente distinzione  tra  azione  penale  e  azione  di,\nmentre la pronuncia delle Sezioni Unite      (Cass. pen. sez. un.  28\nmaggio 2009, n.  35490)  sarebbe  stata  espressione  di  un  diritto\nvivente per il quale la presunzione di innocenza non era  chiamata  a\nsvolgere, nell\u0027ambito dei rapporti tra azione penale e azione di,  il\nruolo di principio ordinatore, inscrivendosi in un contesto culturale\nche trasmetteva all\u0027azione di le regole del giudizio  penale  in  cui\nera stata ospitata. Intendendo  dissentire  dal  principio  enunciato\ndalle Sez. Un.    , il collegio rimetteva la questione  alle  Sezioni\nUnite,  chiamate  a  pronunciarsi  sul  seguente  quesito:  «se,  nel\ngiudizio  di  appello  promosso  avverso  la  sentenza  di   condanna\ndell\u0027imputato  anche  al  risarcimento   dei   danni,   il   giudice,\nintervenuta nelle more l\u0027estinzione del reato per prescrizione, possa\npronunciare  l\u0027assoluzione  nel  merito  anche  a  fronte  di   prove\ninsufficienti o contraddittorie, sulla base della regola di  giudizio\nprocessual-penalistica dell\u0027oltre  ogni  ragionevole  dubbio,  ovvero\ndebba far prevalere la  declaratoria  di  estinzione  del  reato  per\nprescrizione, pronunciandosi  sulle  statuizioni  civili  secondo  la\nregola processual-civilistica del piu\u0027 probabile che non». \n    Le Sezioni Unite  (vedi  Cassazione  pen.  sez.  un.  ,  28.3.-27\nsettembre 2024, n.  36208,         c/        ),  hanno  affermato  il\nseguente principio di diritto: «nel giudizio di  appello  avverso  la\nsentenza di condanna dell\u0027imputato anche al risarcimento  dei  danni,\nil  giudice,  intervenuta  nelle  more  l\u0027estinzione  del  reato  per\nprescrizione,  non  puo\u0027  limitarsi  a  prendere  atto  della   causa\nestintiva, adottando le conseguenti statuizioni  civili  fondate  sui\ncriteri enunciati dalla sentenza della Corte  costituzionale  n.  182\ndel 2021, ma e\u0027 comunque tenuto, stante la presenza della parte di, a\nvalutare, anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, la\nsussistenza dei presupposti per l\u0027assoluzione nel merito.» \n    Il ragionamento delle Sezioni Unite si e\u0027 sviluppato partendo  da\nquanto affermato dalle Sez.  Un.        .  Si  legge,  invero,  nella\nsentenza: «le Sezioni Unite, chiamate a dirimere il  contrasto  circa\nla prevalenza o meno del proscioglimento  nel  merito  rispetto  alla\ndichiarazione immediata di una causa di non punibilita\u0027 nel  caso  di\ncontraddittorieta\u0027 o insufficienza della  prova,  hanno  espresso  il\nprincipio per cui «all\u0027esito del  giudizio,  il  proscioglimento  nel\nmerito, in caso di contraddittorieta\u0027 o  insufficienza  della  prova,\nnon prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non\npunibilita\u0027, salvo che, in sede di appello,  sopravvenuta  una  causa\nestintiva del reato, il giudice  sia  chiamato  a  valutare,  per  la\npresenza della parte  di,  il  compendio  probatorio  ai  fini  delle\nstatuizioni  civili»  .  La  pronuncia,  muovendo  dal  criterio   di\nbilanciamento espresso dalla Corte costituzionale  (sentenze  n.  175\ndel 1971 e n. 275 del 1990, ordinanze nn. 300 e 362 del 1991) per cui\nl\u0027equilibrio  del  sistema  e\u0027  garantito  dalla   possibilita\u0027   per\nl\u0027imputato di rinunciare alle cause estintive del reato  (amnistia  o\nprescrizione), ha confermato la prevalenza dell\u0027obbligo di  immediata\ndeclaratoria delle cause di non punibilita\u0027,  dovendosi  privilegiare\nin linea di principio le esigenze di speditezza sottese  al  disposto\ndell\u0027art. 129 c.p.p. Le Sezioni Unite  hanno,  pero\u0027,  osservato  che\nl\u0027enunciato dell\u0027art. 578 cod proc. pen. dischiude, in presenza della\nparte di, al giudice di appello la porta  della  «cognizione  piena»;\ntale constatazione ha condotto ad affermare il principio,  favorevole\nall\u0027imputato, della prevalenza, in tal caso, del proscioglimento  nel\nmerito secondo la regola dettata dall\u0027art. 530, commi 1 e  2,  c.p.p.\nsulle  esigenze  di  speditezza  delle  quali   e\u0027   espressione   la\ndeclaratoria ai sensi dell\u0027art. 129 cod proc. pen.  La  pronuncia  ha\nmesso in luce che l\u0027orientamento della giurisprudenza costituzionale,\nche  aveva  indicato   nel   diritto   dell\u0027imputato   a   rinunciare\nall\u0027amnistia e alla prescrizione il punto  di  equilibrio  sul  quale\nriposa la legittimita\u0027 costituzionale dell\u0027art.  129,  comma  2,  cod\nproc. pen. , lasciava in ombra la regola per cui, in  presenza  della\nparte di, il giudice e\u0027  tenuto  a  valutare  nel  merito,  anche  al\nmaturare di una causa estintiva del reato,  il  compendio  probatorio\ngia\u0027 acquisito ai fini delle statuizioni civili. Cio\u0027 rende recessivo\nl\u0027obbligo per il giudice di appello di attenersi a canoni di economia\nprocessuale rispetto al dovere di «conoscere» il merito della  causa,\naprendo in tal modo il varco alla  tutela  dei  diritti  fondamentali\ndella persona imputata. L\u0027accertamento del  diritto  al  risarcimento\ndel   danno   da   reato   implica,   infatti,   nel   rispetto   del\ncontraddittorio, anche il diritto alla prova contraria,  garantito  a\nlivello costituzionale dall\u0027art. 111, terzo comma, Cost. e  dall\u0027art.\n495, comma 2, codice di procedura penalein conformita\u0027 all\u0027art. 6 § 3\nlettera d) CEDU. Divenendo recessiva  l\u0027esigenza  di  speditezza  del\nprocesso, pur in presenza della  causa  estintiva  e  in  assenza  di\nrinuncia dell\u0027imputato ad  avvalersi  della  stessa,  e\u0027  logico  che\nriemerga l\u0027imperativo di  assolvere  l\u0027imputato  non  solo  a  fronte\ndell\u0027evidenza dell\u0027innocenza, come  espressamente  previsto  dall\u0027art\n129, comma 2, c.p.p. , ma anche nel caso in cui, pur essendovi alcuni\nelementi probatori a  carico,  essi  siano  inidonei  a  fondare  una\ndichiarazione di responsabilita\u0027 penale secondo la regola di giudizio\ndi cui al secondo comma dell\u0027art. 530 del codice di rito. Lo sviluppo\nargomentativo  della  sentenza        e\u0027   integrato   dall\u0027ulteriore\nconstatazione che il parametro dell\u0027evidenza sancito  dall\u0027art.  129,\ncomma 2, c.p.p.  ,  e  con  esso  lo  sbarramento  a  ogni  ulteriore\nattivita\u0027  processuale,  non  altera  il   susseguirsi   delle   fasi\nprocessuali allorche\u0027 il fenomeno  estintivo  emerga,  piuttosto  che\nnella fase istruttoria,  in  quella  decisoria.  Prevedendo,  dunque,\nl\u0027art. 578 c.p.p. il  potere  di  cognizione  piena  del  giudice  di\nappello alla duplice condizione della presenza della parte di e della\nricorrenza   del   fenomeno   estintivo   della    prescrizione    (o\ndell\u0027amnistia), alle  medesime  condizioni  le  Sezioni  Unite  hanno\nammesso l\u0027esito assolutorio, anche ai sensi dell\u0027art. 530,  comma  2,\ncod,  proc.  pen.  ,  con  prevalenza  sulla  causa  estintiva«.   In\ndefinitiva, secondo le Sezioni Unite, «la disposizione dell\u0027art.  578\nc.p.p. prevede eccezionalmente, in presenza della  parte  di,  da  un\nlato, la cognizione piena sull\u0027accusa penale del giudice  di  appello\npur a fronte di prescrizione maturata; dall\u0027altro, il  permanere  del\npotere di cognizione del giudice di appello sugli interessi civili  a\nseguito di declaratoria di prescrizione. Nel primo caso, argomentando\ndal potere di cognizione piena del giudice  di  appello  in  presenza\ndella parte  di,  Sez.  Un. consente  l\u0027assoluzione  nel  merito  per\nmancanza  o  insufficienza  della  prova,  pur  essendo  maturata  la\nprescrizione; nel secondo caso, che  ha  formato  oggetto  dell\u0027esame\ndella Corte costituzionale nella sentenza n. 182 del 2021, si  tratta\ndella valutazione della  responsabilita\u0027  di  da  parte  del  giudice\ndell\u0027impugnazione penale a seguito di dichiarazione  di  prescrizione\ndel reato in appello«. \n    Dopo avere ripercorso gli argomenti della  sentenza  della  Corte\ncostituzionale n. 182 del 2021, le Sezioni Unite hanno  ritenuto  che\nnon vi fosse incompatibilita\u0027 tra le due pronunce (Sez. Un.         e\nCorte costituzionale n. 182/2021), partendo dal presupposto  che  «la\nsentenza interpretativa di rigetto del Giudice delle  leggi  pone  un\nvincolo negativo di interpretazione [...] nel senso che il giudice  a\nquo non  puo\u0027  attribuire  alla  disposizione  di  legge  la  portata\nesegetica ritenuta  non  corretta  dalla  Corte  costituzionale,  pur\nrestando  libero  di  optare  a  favore   di   differenti   soluzioni\nermeneutiche che, ancorche\u0027 non coincidenti con quelle della sentenza\ninterpretativa  di  rigetto,  non  collidano  con  norme  e  principi\ncostituzionali». \n    Pertanto, a parere delle  Sezioni  Unite,  «il  vincolo  negativo\nposto dalla sentenza n. 182 cit. implica che l\u0027art.  578  cod.  proc.\npen. non puo\u0027 essere interpretato nel senso che l\u0027accertamento  della\nresponsabilita\u0027 di da parte del giudice di appello  penale,  esaurita\nla vicenda penale con la  declaratoria  di  prescrizione  del  reato,\nequivalga  ad   affermazione,   sia   pur   incidenter   tantum,   di\nresponsabilita\u0027 penale. La ratio della pronuncia  della  Consulta  e\u0027\nquella di evitare che, attraverso l\u0027esame del fatto imposto dall\u0027art.\n578   cod.  proc.  pen.  ai  soli  fini   delle   statuizioni   sulla\nresponsabilita\u0027  civile,  si  giunga  ad  affermare   de   facto   la\nresponsabilita\u0027 penale, cosi\u0027 violando il principio di presunzione di\nnon colpevolezza. La situazione processuale oggetto  della  pronuncia\ndella Consulta riguarda il caso in cui «il giudice  dell\u0027impugnazione\n(giudice  di  appello  o  Corte  di  cassazione),  spogliatosi  della\ncognizione sulla responsabilita\u0027 penale dell\u0027imputato in seguito alla\ndeclaratoria  di  estinzione  del  reato  per  prescrizione  (o   per\nsopravvenuta amnistia),  deve  provvedere  -  in  applicazione  della\ndisposizione censurata - sull\u0027impugnazione agli effetti  civili».  Il\nprincipio espresso da Sez. U.         opera, invece, nel caso in  cui\nnon sia venuta  meno  per  il  giudice  dell\u0027impugnazione  penale  la\ncognizione  sulla  responsabilita\u0027  penale  dell\u0027imputato.  In  altre\nparole,  l\u0027esigenza  di  tutela  della  presunzione  d\u0027innocenza  nei\nrapporti tra proscioglimento in  rito  dell\u0027accusa  penale  e  potere\ncognitivo del giudice dell\u0027impugnazione sugli interessi civili non si\npone nell\u0027ambito applicativo del principio espresso da Sez. U.      ,\nconcernente la possibilita\u0027 per il  giudice  penale  di  privilegiare\nl\u0027assoluzione nel merito dell\u0027accusa  penale  sulla  declaratoria  di\nprescrizione, con parallela revoca delle statuizioni civili» . \n    Concludendo, secondo le Sezioni Unite, «il  principio  consacrato\nin Sez. U.     che assicura la  piu\u0027  ampia  tutela  del  diritto  di\ndifesa,  non  puo\u0027  ritenersi  in  contrasto  con  la  tutela   della\npresunzione di innocenza. L\u0027intervento della Consulta pone come punto\nfermo che alla pronuncia di estinzione del reato ai  sensi  dell\u0027art.\n578 cod. proc. pen.  non possa  accompagnarsi,  secondo  una  lettura\nconvenzionalmente orientata della disposizione,  l\u0027affermazione,  sia\npure incidentale, della responsabilita\u0027 penale dell\u0027autore del danno.\nLa tesi che fa derivare da tale  esegesi  il  ripudio  del  principio\nespresso da Sez. U.      finisce per imporre al giudice di appello la\nmera presa d\u0027atto della causa estintiva. Tale  ragionamento  incorre,\ntuttavia, nel  paradosso  di  negare,  in  virtu\u0027  del  principio  di\npresunta innocenza, la possibilita\u0027 per  il  giudice  di  valutare  i\npresupposti dell\u0027assoluzione nel merito, che rappresenta  l\u0027obiettivo\nprimario del diritto di difesa. Il Collegio ritiene che, invece,  per\nle ragioni di non incompatibilita\u0027 tra la pronuncia della Consulta  e\nquella  delle  Sezioni  Unite  in  precedenza  espresse,  il  vincolo\nnegativo derivante dall\u0027interprete dalla pronuncia costituzionale non\nincida sul principio affermato dalla sentenza      . Tanto  piu\u0027  che\nl\u0027imputato  potrebbe  avere  scelto  di  non  rinunciare  alla  causa\nestintiva confidando nel diritto vivente originatosi da tale sentenza\ne dalla consolidata giurisprudenza di legittimita\u0027 che  vi  ha  fatto\nseguito». \n    Le  Sezioni  Unite        ribadiscono,  dunque,  che  i  principi\nespressi dalle  Sezioni  Unite      costituiscono  «diritto  vivente»\n(vedi punto 4. del Considerato in  diritto».)  e  ne  ribadiscono  la\nperdurante validita\u0027 anche dopo la sentenza n.  182  del  2021  della\nConsulta, ritenendo le due pronunce del tutto compatibili  tra  loro.\nCio\u0027 fanno operando un netto distinguo tra i momenti  valutativi  del\ngiudice di appello nella fattispecie prevista dall\u0027art.  578  c.p.p.:\nin un primo momento,  infatti,  quello  in  cui  operano  i  principi\nespressi dalle Sezioni Unite   , il giudice di  appello  ha  cognitio\nplena penale, potendo giungere all\u0027assoluzione  dell\u0027imputato,  anche\nai sensi dell\u0027art. 530 cpv. c.p.p., facendo applicazione delle regole\ndi giudizio del  processo  penale;  in  un  secondo  momento,  quello\nsuccessivo alla  declaratoria  di  prescrizione  del  reato,  in  cui\nentrano, invece, in gioco i principi posti dalla sentenza del giudice\ndelle leggi n. 182/2021, il giudice di appello dismette i  panni  del\ngiudice penale per porsi «il cappello del giudice civile» e giudicare\ndelle residue questioni civili secondo le regole di giudizio  proprie\ndel giudizio civile.  In  questo  secondo  momento  del  giudizio  di\nimpugnazione, svolto secondo il disposto  dell\u0027art.  578  c.p.p.,  il\ngiudice di appello sarebbe legato al rispetto  del  vincolo  negativo\nposto dalla sentenza della Consulta, che implica  che  l\u0027accertamento\ndella responsabilita\u0027 civile,  esaurita  la  vicenda  penale  con  la\ndeclaratoria di  prescrizione  del  reato,  non  puo\u0027  equivalere  ad\naffermazione, sia pure incidenter tantum, di responsabilita\u0027 penale. \n    2.6. La rilevanza della questione di legittimita\u0027  costituzionale\nalla  luce  del  «diritto  vivente»  espresso  dalle  Sezioni   Unite\nCalpitano. \n    La soluzione esegetica percorsa dalle Sezioni  Unite  non  sembra\nconsiderare che i  due  momenti  che  integrerebbero  il  complessivo\ngiudizio previsto dall\u0027art. 578 c.p.p. non sono formalmente  distinti\ne svolti in due autonomi procedimenti, dinanzi a due diversi giudici,\nche si concludono anche con due distinti provvedimenti.  Il  giudizio\ndi appello, considerato nella fattispecie di cui all\u0027art. 578 c.p.p.,\ne\u0027 unico e si svolge dinanzi alla  stessa  Corte  (di  appello  o  di\ncassazione), che manifesta e argomenta la  sua  conclusiva  decisione\ncon un\u0027unica sentenza. \n    Secondo il «diritto vivente», ribadito dalle  Sezioni  Unite     \nnell\u0027unica sentenza, prevista a conclusione del giudizio  di  appello\ndi cui all\u0027art. 578 c.p.p., la Corte,  sulla  base  dell\u0027impugnazione\nproposta e nel  rispetto  del  principio  devolutivo,  deve  dapprima\ngiudicare  l\u0027imputato  in  ordine  alla  sua  responsabilita\u0027  penale\nsecondo le regole  proprie  del  giudizio  penale,  assolvendolo,  se\nricorrono anche i presupposti di cui  all\u0027art.  530  cpv.  c.p.p.,  e\ninvece dichiarando l\u0027estinzione del reato per prescrizione, ove  tali\npresupposti non  ricorrano;  quindi,  deve  occuparsi  delle  residue\nquestioni civili secondo  le  regole  proprie  del  giudizio  civile,\nteoricamente  senza  alcun  riferimento,  neppure  incidentale,  alla\ncolpevolezza   dell\u0027imputato.   Tuttavia,   nel   momento   in   cui,\nriconoscendo che non vi sono i presupposti per assolvere  l\u0027imputato,\nanche ai sensi  dell\u0027art.  530  cpv.  c.p.p.,  la  Corte  di  Appello\ndichiara estinto il reato per prescrizione,  nella  sostanza  afferma\nche l\u0027imputato avrebbe dovuto essere riconosciuto colpevole al di la\u0027\ndi ogni ragionevole dubbio. Invero, nella  mancata  assoluzione  (che\nsarebbe possibile anche ai sensi dell\u0027art. 530 cpv. c.p.p.)  e  nella\ndeclaratoria  di   estinzione   del   reato   per   prescrizione   e\u0027\nnecessariamente contenuto un  giudizio  incidentale  di  colpevolezza\ndell\u0027imputato, che precede e che costituisce il presupposto  per  poi\ngiungere ad  occuparsi  delle  residue  questioni  civili.  In  buona\nsostanza, la conclusiva sentenza del giudizio di appello svoltosi  ai\nsensi dell\u0027art. 578 c.p.p., nel momento in cui dichiara  l\u0027estinzione\ndel  reato  per  prescrizione,  confermando  le  statuizioni  civili,\nseguendo il «diritto  vivente»,  finisce  con  il  contenere  in  se\u0027\nnecessariamente un  giudizio,  almeno  incidentale,  di  colpevolezza\ndell\u0027imputato. \n    Non a caso, infatti, le Sezioni Unite, facendo  applicazione  del\n«diritto vivente» espresso dalle Sezioni Unite      (e oggi  ribadito\ndalle  Sezioni  Unite        ),   avevano   ritenuto,   in   passato,\n«revisionabile»  la  sentenza  di  prescrizione,  confermativa  delle\nstatuizioni civili, emessa ai sensi dell\u0027art. 578  c.p.p.  Invero,  a\ndifferenza della mera sentenza dichiarativa  della  prescrizione  del\nreato in primo grado, che non puo\u0027 mai essere  ritenuta  sentenza  di\n«condanna», non comportando l\u0027attribuzione dello status di condannato\nnei riguardi dell\u0027imputato, la sentenza di appello  che,  dichiarando\nl\u0027estinzione del reato  per  prescrizione,  confermi  le  statuizioni\ncivili, viene ad essere equiparata, nella sostanza, ad  una  sentenza\ndi  «condanna».  Le   Sezioni   Unite,   infatti,   hanno   affermato\nl\u0027ammissibilita\u0027, sia agli effetti penali che civili, della revisione\nrichiesta ai sensi dell\u0027art. 630, comma 1, lettera c), c.p.p.,  della\nsentenza del giudice di appello che,  prosciogliendo  l\u0027imputato  per\nl\u0027estinzione del reato dovuta a prescrizione o amnistia, e  decidendo\nsull\u0027impugnazione ai soli  effetti  delle  disposizioni  e  dei  capi\nconcernenti gli interessi civili, abbia  confermato  la  condanna  al\nrisarcimento dei danni nei confronti della parte civile  (Cass.  pen.\nsez. un. 25  ottobre  2018,  n.  6141/19).  Invero,  si  legge  nella\nsentenza, nel caso previsto dall\u0027art. 578 c.p.p.,  come  nell\u0027analogo\ncaso  di  cui  all\u0027art.  578-bis  c.p.p.,  l\u0027imputato   va   ritenuto\n«condannato» sebbene ai soli  fini  delle  statuizioni  civili  o  di\nconfisca, e, dunque, la relativa sentenza potra\u0027  essere  oggetto  di\nrevisione; ma questi casi sono radicalmente diversi da quelli in  cui\nalla sentenza di prescrizione non si accompagna la statuizione civile\no quella di confisca, perche\u0027 in questi casi  l\u0027imputato  non  potra\u0027\nessere ritenuto un «condannato». «Non  puo\u0027  quindi  dubitarsi  -  si\nlegge nella citata sentenza delle Sezioni Unite n. 6141/19 -  che  la\nstatuizione di condanna agli effetti  civili,  pronunciata  ai  sensi\ndell\u0027art. 578, di per se\u0027 suscettibile - se ingiusta -   di  arrecare\npregiudizio all\u0027interessato con  riguardo  alla  sfera  patrimoniale,\ncontenga necessariamente, anche  se  incidentalmente,  una  implicita\nquanto  ineludibile  affermazione  di  responsabilita\u0027   tout   court\noperata, a cognizione piena, in relazione  al  fatto-reato  causativo\ndel  danno,   certamente   suscettibile   di   arrecare   pregiudizio\nall\u0027interessato anche con  riguardo  alla  sfera  dei  diritti  della\npersonalita\u0027. La contestualita\u0027 delle  pronunzie  di  estinzione  del\nreato e di condanna alle statuizioni civili  evidenzia,  infatti,  la\nsussistenza di un inscindibile  collegamento  tra  l\u0027affermazione  di\nresponsabilita\u0027  agli  effetti  civili   e   la   mancata   pronunzia\nliberatoria, anche nel merito, agli effetti penali, che e\u0027 senz\u0027altro\nidonea a produrre un apprezzabile pregiudizio  al  diritto  all\u0027onore\ndell\u0027imputato, con superamento -  in concreto  -   della  presunzione\ncostituzionale di non colpevolezza». \n    La  Corte  costituzionale,  con  la  sentenza  interpretativa  di\nrigetto n. 182 del 2021, aveva  ritenuto  di  superare  il  problema,\naffermando che  il  principio  di  diritto  sostenuto  dalle  Sezioni\nUnite       presupponeva,  per  un  verso,  il  carattere  «pieno»  o\n«integrale» della cognizione del giudice dell\u0027impugnazione penale (il\nquale non poteva limitarsi a confermare o  riformare  immotivatamente\nle statuizioni civili emesse in  primo  grado,  ma  doveva  esaminare\ncompiutamente i motivi di gravame sottopostigli,  avuto  riguardo  al\ncompendio probatorio e dandone conto poi in motivazione),  per  altro\nverso, non presupponeva (ne\u0027 implicava) che il giudice, nel conoscere\ndella domanda civile, dovesse altresi\u0027  formulare,  esplicitamente  o\nmeno,  un  giudizio  sulla  colpevolezza  dell\u0027imputato   e   dovesse\neffettuare un  accertamento,  principale  o  incidentale,  sulla  sua\nresponsabilita\u0027  penale,  ben   potendo   contenere   l\u0027apprezzamento\nrichiestogli entro i confini della responsabilita\u0027 civile.  Cio\u0027  non\npoteva ritenersi revocato  in  dubbio  dall\u0027affermata  ammissibilita\u0027\ndell\u0027istanza  di  revisione  avverso  la  pronuncia  di  condanna  al\nrisarcimento del danno ex art. 578 c.p.p., giacche\u0027  l\u0027ammissibilita\u0027\ndi questa  impugnazione  straordinaria  si  faceva  discendere,  come\nconseguenza, dall\u0027ibridazione delle regole processuali che  rimangono\nquelle del rito penale, anche quando nel giudizio residua soltanto la\ndomanda civilistica in ordine alla quale si e\u0027 pronunciato il giudice\ndell\u0027impugnazione ai sensi dell\u0027art. 578 c.p.p. \n    In definitiva, secondo  la  Corte  costituzionale,  a  differenza\ndell\u0027art. 578-bis c.p.p., che  richiedeva,  testualmente,  il  previo\naccertamento della responsabilita\u0027 dell\u0027imputato, l\u0027art.  578  c.p.p.\nnon conteneva analoga clausola, sicche\u0027  l\u0027ambito  di  cognizione  da\nesso  richiesta  al  giudice  penale  ai   fini   del   provvedimento\nsull\u0027azione civile doveva  essere  ricostruito  dall\u0027interprete,  nel\nrispetto dell\u0027art. 6 CEDUe  dell\u0027art.  48  CDFUE,  come  interpretati\ndalle  rispettive  Corti.  «Con  l\u0027art.  578  c.p.p.  (affermava   la\nConsulta) il  legislatore  aveva  operato  un  bilanciamento  tra  le\nesigenze  sottese  all\u0027operativita\u0027   del   principio   generale   di\naccessorieta\u0027 dell\u0027azione  civile  rispetto  all\u0027azione  penale  (che\nesclude la decisione sul capo civile nell\u0027ipotesi di proscioglimento)\ne le esigenze di tutela dell\u0027interesse  del  danneggiato,  costituito\nparte civile. Quando il proscioglimento viene pronunciato in grado di\nappello, o di legittimita\u0027, in seguito ad una valida condanna  emessa\nnei gradi precedenti, la regola dell\u0027accessorieta\u0027 (che  comporta  il\nsacrificio   dell\u0027interesse   della   parte   civile)   subisce   dei\ntemperamenti, poiche\u0027  essa  continua  ad  essere  applicabile  nelle\nipotesi di assoluzione  nel  merito  e  di  sopravvenienza  di  cause\nestintive del reato  riconducibili  alla  volonta\u0027  delle  parti  (ad\nesempio remissione di querela), ma non trova  applicazione  allorche\u0027\nla   dichiarazione   di   non   doversi   procedere   dipenda   dalla\nsopravvenienza di una  causa  estintiva  del  reato  riconducibile  a\nprescrizione o amnistia, nel quale  caso  prevale  l\u0027interesse  della\nparte  civile  a  conservare  le  utilita\u0027  ottenute  nel  corso  del\nprocesso, che continua innanzi allo stesso  giudice  penale,  sebbene\nsia mutato l\u0027ambito di cognizione richiestagli, che  va  circoscritta\nalla responsabilita\u0027 civile». Questo passo della sentenza n. 182  del\n2021 non sembra  consentire  con  riguardo  all\u0027art.  578  c.p.p.  il\nduplice giudizio previsto dal «diritto vivente», cosi\u0027 come  ritenuto\ndalle Sez. Un. _ Ma sembrerebbe rappresentare  semplicemente  che  le\nesigenze di  tutela  della  parte  civile  soccombono  a  fronte  del\nproscioglimento nel  merito  in  appello  (in  un  giudizio  in  cui,\nevidentemente, non e\u0027 maturata  la  causa  estintiva  del  reato  per\nprescrizione o amnistia), ovvero di sopravvenienza di cause estintive\ndel reato  riconducibili  alla  volonta\u0027  delle  parti  (ad  esempio,\nremissione di querela), ipotesi distinte da quella  di  cui  all\u0027art.\n578  c.p.p.,  dove,  cosi\u0027  testualmente  la  Consulta,  «il  giudice\ndell\u0027impugnazione penale (giudice di appello o Corte di  tassazione),\nspogliatosi   della   cognizione   sulla    responsabilita\u0027    penale\ndell\u0027imputato in seguito alla declaratoria di  estinzione  del  reato\nper sopravvenuta prescrizione (o  per  sopravvenuta  amnistia),  deve\nprovvedere  -  in  applicazione  della   disposizione   censurata   -\nsull\u0027impugnazione ai soli effetti civili, confermando,  riformando  o\nannullando la condanna gia\u0027 emessa nel grado precedente,  sulla  base\ndi un accertamento che impinge unicamente sugli elementi  costitutivi\ndell\u0027illecito civile, senza potere  riconoscere,  neppure  incidenter\ntantum, la responsabilita\u0027 dell\u0027imputato per il reato estinto». \n    In  buona  sostanza,  nell\u0027interpretazione  convenzionalmente   e\neurounitariamente conforme offerta dalla Consulta della  disposizione\ndi  cui  all\u0027art.  578,  comma  1,  c.p.p.  il  giudice  di  appello,\nconstatata  l\u0027estinzione  del  reato  per  prescrizione  o   amnistia\n(constatazione che non dovrebbe essere preceduta da  alcuna  verifica\nin ordine alla responsabilita\u0027 penale dell\u0027imputato),  deve  compiere\nun unico giudizio, avente il carattere pieno ed  integrale,  rispetto\nall\u0027impugnazione  proposta,  ma  avente  ad  oggetto  non   piu\u0027   la\nresponsabilita\u0027  penale  dell\u0027imputato,  bensi\u0027  la   responsabilita\u0027\ncivile, secondo le regole proprie del giudizio civile. \n    La Cassazione, pero\u0027, nel suo piu\u0027 alto Consesso, ha ribadito  il\n«diritto vivente» espresso dalle Sezioni Unite    , che, come  visto,\nritengono che, nella fattispecie  di  cui  all\u0027art.  578  c.p.p.,  il\ngiudice  dell\u0027impugnazione,  che  giudica  con  cognitio  piena  come\ngiudice penale, deve accertare se l\u0027imputato possa essere assolto dal\nreato ascrittogli, eventualmente ai sensi dell\u0027art. 530 cpv.  c.p.p.,\ne,  quindi,  ove  cio\u0027  non  ritenga,   e,   dunque,   ove   ritenga,\nimplicitamente o incidentalmente, che l\u0027imputato  sarebbe  colpevole,\nal di la\u0027 di ogni ragionevole  dubbio,  deve  dichiarare  estinto  il\nreato per prescrizione e occuparsi, secondo  le  regole  proprie  del\ngiudizio civile, delle residue questioni civili Cosi\u0027 facendo, pero\u0027,\nnel momento in cui il giudice dell\u0027impugnazione  passa  ad  occuparsi\ndelle residue questioni civili, non puo\u0027 evitare di  incorrere  nella\nviolazione dell\u0027art. 6, comma 2, CEDU e negli agli  articoli  3  e  4\ndella direttiva 2016/UE/343 e art. 48 della CDFUE, avendo dovuto,  in\nprecedenza, escludere la  possibilita\u0027  di  assolvere  l\u0027imputato  e,\nquindi, avendo dichiarato l\u0027estinzione del reato per prescrizione sul\npresupposto della sua colpevolezza. \n    Cosi\u0027  ricostruito  il  sistema,  deve  osservarsi  che,  benche\u0027\nestinto il reato contestato al B     per  prescrizione,  la  presenza\ndella parte civile, in uno con i motivi di appello, tutti  incentrati\nsull\u0027assenza  di  penale  responsabilita\u0027  in  capo   all\u0027appellante,\nobbligherebbero  questa  Corte,  sulla  base  del  «diritto  vivente»\nriaffermato dalle Sezioni Unite    , ad una preliminare rivalutazione\npiena della responsabilita\u0027 «penale» del B    in ordine  allo  stesso\nfatto-reato  contestatogli,  peraltro,  sulla   base   del   medesimo\nmateriale probatorio avuto a disposizione dal giudice di prime  cure,\nsia pure ai fini, eventualmente, ove non  sussistenti  i  presupposti\nper la sua assoluzione, anche ai sensi dell\u0027art. 530 cpv. c.p.p.,  di\nconfermare o meno le statuizioni civili disposte dal primo giudice. \n    E\u0027 rilevante, pertanto, la questione della  conformita\u0027  di  tale\nsistema e, in particolare, dell\u0027art. 578, comma  1,  c.p.p.,  che  di\nesso  e\u0027  la  trasfusione   normativa,   relativamente   al   diritto\nfondamentale al  rispetto  della  presunzione  di  innocenza  di  cui\nall\u0027art. 6 comma 2 CEDU, cosi\u0027 come  declinato  dalla  giurisprudenza\ndella  Corte  europea  dei  diritti  dell\u0027uomo,  da  intendersi  come\nparametro interposto dell\u0027art. 117, comma 1, Cost. \n    Peraltro, la questione assume  rilevanza  anche  in  ordine  alla\nconformita\u0027 del sistema sopra delineato  e,  quindi,  dell\u0027art.  578,\ncomma 1, c.p.p., rispetto  al  diritto  dell\u0027Unione  europea,  e,  in\nspecie, in relazione agli articoli 3 e 4 della direttiva  2016/UE/343\ne art. 48 CDFUE, anche in questo caso letti come parametri interposti\ndegli articoli 11 e 117 Cost. \n    Infine, la questione appare rilevante anche rispetto ai parametri\ninterni costituzionali di cui agli articoli 3 e 27, comma  2,  Cost.,\nin relazione alla  diversa  disciplina  predisposta  dal  legislatore\ndella riforma c.d. Cartabia con il comma 1-bis  dell\u0027art.  578 c.p.p.\nriguardo all\u0027analoga  fattispecie  dell\u0027improcedibilita\u0027  dell\u0027azione\npenale ai sensi dell\u0027art. 344-bis c.p.p. \n3. In punto di non manifesta infondatezza della questione. \n    3.1.  Rispetto  all\u0027art.  6,  comma  2,  CEDU   quale   parametro\ninterposto dell\u0027art. 117, comma 1, Cost. \n    Vanno richiamati i principi gia\u0027 positivamente  apprezzati  dalla\nCorte costituzionale con la sentenza n. 182 del 2021. \n    Come e\u0027 noto, l\u0027art. 6, comma 2, CEDU  tutela  il  «diritto  alla\npresunzione di innocenza fino a prova  contraria».  Considerata  come\nuna garanzia procedurale nel  contesto  di  un  processo  penale,  la\npresunzione di innocenza  impone  requisiti  relativi,  tra  l\u0027altro,\nall\u0027onere della prova, alle presunzioni legali di fatto e di diritto,\nal   privilegio   contro   l\u0027autoincriminazione,   alla   pubblicita\u0027\npreprocessuale e alle espressioni premature,  da  parte  della  Corte\nprocessuale o di altri funzionari pubblici, della colpevolezza di  un\nimputato (Corte EDU, grande camera, 12 luglio 2013,  Allen  c.  Regno\nUnito, § 93; Corte EDU, grande  camera,  11  giugno  2024,  Nealon  e\nHallam c. Regno Unito, § 101). \n    Tuttavia, in linea con la necessita\u0027 di assicurare che il diritto\ngarantito dall\u0027art. 6, comma 2, CEDU  sia  pratico  e  effettivo,  la\npresunzione di innocenza ha anche un  altro  aspetto.  Il  suo  scopo\ngenerale, in questo secondo  aspetto,  e\u0027  quello  di  proteggere  le\npersone che sono state assolte da un\u0027accusa penale, o  nei  confronti\ndelle quali e\u0027 stato interrotto un procedimento  penale,  dall\u0027essere\ntrattate dai pubblici ufficiali e dalle autorita\u0027 come se fossero  di\nfatto colpevoli del reato contestato (cfr. Corte CEDU, grande camera,\n12 luglio 2013, Allen c. Regno Unito, § 94; Corte EDU, grande camera,\n28 giugno 2018, c. Italia, § 314; Corte EDU, grande camera, 11 giugno\n2024, Nealon e Hallam c. Regno Unito, §§ 102 e 108). \n    Come espressamente indicato nell\u0027articolo stesso, l\u0027art. 6, comma\n2, CEDU si applica quando una persona e\u0027 accusata  di  un  reato.  La\nCorte europea dei diritti umani ha ripetutamente sottolineato che  si\ntratta di un concetto autonomo, che deve essere interpretato  secondo\ni tre criteri  stabiliti  dalla  sua  giurisprudenza,  i  noti  Engel\ncriteria (Corte EDU, 8 giugno 1976, Engel e altri  c.  Paesi  Bassi).\nPer valutare qualsiasi denuncia ai sensi dell\u0027art. 6, comma 2,  CEDU,\nche  insorga  nell\u0027ambito  di   un   procedimento   giudiziario,   e\u0027\ninnanzitutto  necessario  accertare  se  il  procedimento  contestato\ncomporti la  determinazione  di  un\u0027accusa  penale,  ai  sensi  della\ngiurisprudenza della Corte (Corte EDU, grande camera, 12 luglio 2013,\nAllen c. Regno Unito, § 95). \n    Tuttavia, nei  casi  che  riguardano  il  secondo  aspetto  della\nprotezione offerta dall\u0027art. 6, comma 2, CEDU, che si verifica quando\nil procedimento penale e\u0027 terminato, e\u0027 chiaro che l\u0027applicazione  di\ntale criterio e\u0027  inappropriata.  In  questi  casi,  il  procedimento\npenale si e\u0027 necessariamente concluso e, a  meno  che  il  successivo\nprocedimento giudiziario non dia luogo a una nuova imputazione penale\nai sensi della Convenzione, se l\u0027art. 6 comma 2  CEDU  e\u0027  impiegato,\ndeve esserlo per motivi diversi (Corte EDU, grande camera, 12  luglio\n2013, Allen c. Regno Unito, § 96). \n    Sotto  questo  profilo,  la  Corte  EDU  e\u0027  stata   chiamata   a\nconsiderare l\u0027applicazione dell\u0027art. 6, comma 2, CEDU alle  decisioni\ngiudiziarie  prese  a  seguito  della  conclusione  del  procedimento\npenale,  a  titolo  di  interruzione  o   dopo   un\u0027assoluzione,   in\nprocedimenti  riguardanti,  tra   l\u0027altro,   l\u0027imposizione   di   una\nresponsabilita\u0027 civile per  il  pagamento  di  un  risarcimento  alla\nvittima (vedi Corte EDU 11 febbraio 2003, Ringvold c. Norvegia; Corte\nEDU 15 maggio 2008, Orr c. Norvegia; Corte EDU 19 aprile 2011,  Erkol\nc. Turchia; Corte EDU 12 aprile 2012, Lagardere  c.  Francia).  Nella\ngia\u0027 citata causa Allen c. Regno Unito, la Corte EDU ha formulato  il\nprincipio della presunzione di innocenza  nel  contesto  del  secondo\naspetto dell\u0027art. 6, comma 2, CEDU sostanzialmente affermando che  la\npresunzione di innocenza significa  che,  in  presenza  di  un\u0027accusa\npenale e di un procedimento penale conclusosi con un\u0027assoluzione,  la\npersona che e\u0027 stata oggetto del  procedimento  penale  e\u0027  innocente\nagli occhi della legge e deve essere trattata in  modo  coerente  con\ntale innocenza. In tale senso, pertanto, la presunzione di  innocenza\npermarra\u0027 anche dopo la conclusione del procedimento penale, al  fine\ndi garantire che, per quanto riguarda qualsiasi accusa  non  provata,\nl\u0027innocenza  della  persona  in  questione  sia  rispettata.   Questa\npreoccupazione prioritaria e\u0027 alla base dell\u0027approccio della Corte in\nmerito all\u0027applicabilita\u0027 dell\u0027art. 6, comma 2, CEDU in questi  casi.\nOgniqualvolta la questione dell\u0027applicabilita\u0027 dell\u0027art. 6, comma  2,\nCEDU  si  pone  nel  contesto  di  un  procedimento  successivo,   il\nrichiedente deve dimostrare l\u0027esistenza  di  un  legame,  come  sopra\nindicato, tra il  procedimento  penale  concluso  e  il  procedimento\nsuccessivo. Tale legame e\u0027 probabile che sussista, ad esempio, quando\nil  procedimento   successivo   richiede   l\u0027esame   dell\u0027esito   del\nprocedimento penale precedente e, in particolare, quando  obbliga  il\ngiudice ad analizzare la sentenza penale; a procedere a un esame o  a\nuna  valutazione  delle  prove  contenute  nel  fascicolo  penale;  a\nvalutare la partecipazione del ricorrente ad alcuni  o  a  tutti  gli\neventi  che  hanno  portato  all\u0027accusa  penale;  a   commentare   le\nindicazioni esistenti sulla possibile colpevolezza del richiedente. \n    Cio\u0027 posto, la Corte europea dei diritti umani e\u0027 stata  chiamata\nad occuparsi di  un  caso  (Pasquini  c.  San  Marino,  n.  23349/17,\nsentenza della III Sezione della Corte EDU del 20 ottobre  2020)  del\ntutto sovrapponibile a quello in esame  in  questo  procedimento.  Si\ntrattava di un caso in cui il ricorrente, condannato in primo  grado,\nnon solo penalmente ma anche a risarcire il danno nei confronti della\ncostituita parte civile, in sede  di  appello  si  vedeva  dichiarare\nestinto il reato per prescrizione,  con  conferma  delle  statuizioni\ncivili, sulla base dell\u0027art.  196-bis  del  c.p.p.  sanmarinese,  che\ncosi\u0027 recita: «quando l\u0027imputato e\u0027 stato condannato a reintegrare le\ncose o a risarcire alla parte civile i danni causati da  un  reato  -\nanche se il danno e\u0027 ancora da quantificare - il giudice di  appello,\nche dichiara il reato prescritto,  decide  sulle  eccezioni  relative\nagli obblighi derivanti dal reato, ai\u0027 sensi dell\u0027art. 140 del c.d.».\nIl  ricorrente  adiva  la  Corte  dei  diritti  umani  lamentando  la\nviolazione dell\u0027art. 6, comma 2, CEDU. \n    Ebbene la Corte europea, ribadendo i consolidati  principi  sopra\nriportati, riteneva innanzitutto applicabile nel caso  di  specie  il\ndisposto dell\u0027art. 6, comma 2, CEDU. Invero, il  procedimento  penale\nsi era concluso in appello con l\u0027interruzione  del  procedimento  per\nprescrizione.   In   conseguenza   dell\u0027art.   196-bis   del   c.p.p.\nsanmarinese, lo stesso giudice dell\u0027appello penale che si pronunciava\nsull\u0027imputazione  penale  era  anche   competente   a   decidere   il\nrisarcimento dovuto alla vittima.  Tuttavia,  la  determinazione  del\nrisarcimento alla vittima era una  fase  successiva  all\u0027interruzione\ndel procedimento penale. In  quella  fase,  il  giudice  dell\u0027appello\npenale era tenuto ad analizzare i precedenti accertamenti penali e ad\navviare una revisione o una valutazione  delle  prove  contenute  nel\nfascicolo penale. Egli doveva anche valutare  la  partecipazione  del\nricorrente ad alcuni  o  a  tutti  gli  eventi  che  avevano  portato\nall\u0027accusa  penale  e  commentare  le  indicazioni  esistenti   sulla\npossibile colpevolezza del richiedente. Dunque, esisteva un nesso tra\nle due determinazioni (vedi § 38 della sentenza Corte EDU 20  ottobre\n2020, Pasquini c. San Marino). \n    I giudici di Strasburgo ribadivano che il secondo  aspetto  della\ntutela della presunzione  di  innocenza  entra  in  gioco  quando  il\nprocedimento penale si conclude  con  un  risultato  diverso  da  una\ncondanna,  sicche\u0027  senza  una  tutela  che  garantisca  il  rispetto\ndell\u0027assoluzione o della decisione di interruzione in qualsiasi altro\nprocedimento, le garanzie del processo equo di cui all\u0027art. 6,  comma\n2, CEDU rischiano di diventare teoriche o illusorie. Cio\u0027 che  e\u0027  in\ngioco, una volta  terminato  il  procedimento  penale,  e\u0027  anche  la\nreputazione della persona e il modo in cui essa viene  percepita  dal\npubblico. In una certa misura, la  protezione  offerta  dall\u0027art.  6,\ncomma 2, CEDU a questo  riguardo  puo\u0027  sovrapporsi  alla  protezione\nofferta dall\u0027art. 8 CEDU (vedi ancora Corte EDU,  grande  camera,  28\ngiugno  2018,       e  altri  c.  Italia,  §  314).  Con  riguardo  a\ndichiarazioni successive alla cessazione del procedimento penale  non\ncon sentenza di assoluzione, ma comunque  senza  che  l\u0027imputato  sia\nstato precedentemente dimostrato colpevole secondo la legge,  risulta\nviolata la presunzione di innocenza se una decisione giudiziaria  che\nlo riguarda riflette un\u0027opinione di colpevolezza. In questi casi,  il\nlinguaggio utilizzato dal giudice sara\u0027  di  fondamentale  importanza\nper valutare la compatibilita\u0027 della decisione e la  sua  motivazione\nall\u0027art. 6, comma 2, CEDU. Nei  casi  di  richieste  di  risarcimento\ncivile presentate dalle vittime, indipendentemente dal fatto  che  il\nprocedimento si sia concluso con l\u0027interruzione o con  l\u0027assoluzione,\nla Corte sottolineava che, sebbene  l\u0027esonero  dalla  responsabilita\u0027\npenale debba  essere  rispettato  nel  procedimento  di  risarcimento\ncivile, non dovrebbe precludere l\u0027accertamento della  responsabilita\u0027\ncivile per il pagamento del risarcimento derivante dagli stessi fatti\nsulla base di un onere probatorio  meno  rigoroso.  Tuttavia,  se  la\ndecisione  nazionale   sul   risarcimento   dovesse   contenere   una\ndichiarazione di responsabilita\u0027 penale della parte  convenuta,  cio\u0027\nsolleverebbe una questione rientrante nell\u0027ambito dell\u0027art. 6,  comma\n2, CEDU. In particolare, la Corte  riteneva  che  la  presunzione  di\ninnocenza fosse violata in situazione  in  cui  i  Tribunali  avevano\nritenuto «chiaramente probabile» che il ricorrente avesse commesso un\nreato o avevano espressamente indicato che le prove disponibili erano\nsufficienti per stabilire che era stato commesso un reato (vedi §§ da\n49 a 53 della citata sentenza Pasquini c. San Marino). \n    Facendo  applicazione  dei  su  riportati  principi,   la   Corte\nesaminava il caso, notando che: 1) la causa civile era stata trattata\nnell\u0027ambito del procedimento penale; 2) la determinazione del giudice\ndell\u0027appello penale che riguardava proprio gli stessi fatti  imputati\nal ricorrente nel corso del procedimento penale era stata  effettuata\nsenza alcuna distinzione circa la  qualificazione  giuridica;  3)  il\ngiudice dell\u0027appello penale si era dovuto basare sulle  stesse  prove\nesistenti nel fascicolo penale e non  erano  state  presentate  nuove\nprove; 4) il giudice dell\u0027appello penale,  pur  facendo  una  propria\nvalutazione di tali fatti, aveva confermato la constatazione di fatto\ndel giudice penale di prima istanza e aveva  proceduto  a  confermare\nl\u0027ordine  di  risarcimento  del  danno  senza  intraprendere   alcuna\nconsiderazione rilevante per  quanto  riguarda  l\u0027ammontare  di  tale\ndanno, basandosi pertanto interamente sulla sentenza di primo  grado;\n5) il giudice dell\u0027appello penale aveva basato la sua decisione sulla\nconstatazione che la parte civile aveva subito un  danno  dagli  atti\nposti  in  essere  dal  ricorrente,  che  corrispondevano  al   reato\nimputatogli e, quindi, il giudice dell\u0027appello penale aveva stabilito\nin modo inequivocabile che le azioni del  ricorrente  corrispondevano\nagli atti criminali di cui era stato accusato, andando ancora  oltre,\ndichiarando esplicitamente che il ricorrente aveva commesso tali atti\ncon dolo (cfr. §§ da 59 a 62). \n    E\u0027 vero che il ricorrente era gia\u0027 stato dichiarato colpevole  in\nprima istanza. Tuttavia, aggiungevano i  giudici  di  Strasburgo,  la\ngiurisprudenza della Corte non distingueva  tra  i  casi  in  cui  le\naccuse venivano sospese  perche\u0027  cadute  in  prescrizione  prima  di\nqualsiasi accertamento penale e quelli che venivano  sospese  per  lo\nstesso motivo dopo una prima constatazione di colpevolezza. Pertanto,\naffermava la Corte, le constatazioni di prima istanza, che  non  sono\ndefinitive, non possono condizionare le determinazioni  successive  e\nla Corte ribadiva che si dovrebbe esercitare una maggiore cautela nel\nformulare il ragionamento in una sentenza civile dopo  l\u0027interruzione\ndel procedimento penale (§ 63). \n    In conclusione, siccome le parole usate dal giudice  dell\u0027appello\npenale nel  decidere  in  materia  di  risarcimento  erano  tali  che\nrappresentavano il comportamento del  ricorrente  come  riconducibile\nagli atti criminali che gli erano stati imputati, rispetto  ai  quali\nnon vi era  alcun  dubbio  sull\u0027esistenza  del  dolo,  queste  parole\nequivalevano ad una dichiarazione inequivocabile  che  il  ricorrente\navesse commesso un reato, e cio\u0027 non era coerente con  la  cessazione\ndelle relative imputazioni a causa  della  scadenza  del  termine  di\nprescrizione. Conseguenzialmente la Corte riscontrava  la  violazione\ndell\u0027art. 6, comma 2, CEDU (§ 64). \n    I principi espressi nella sentenza Corte EDU,  20  ottobre  2020,\nPasquini c. San Marino, costituiscono «diritto consolidato»  (secondo\nquanto ritenuto da Corte costituzionale n.  49/2015;  d\u0027altra  parte,\ncome sottolinea la Corte europea dei diritti umani, «le sue  sentenze\nhanno tutte lo stesso valore giuridico. Il loro carattere  vincolante\ne la loro autorita\u0027 interpretativa non possono pertanto dipendere dal\ncollegio giudicante che le ha pronunciate»: vedi  Corte  EDU,  grande\ncamera, 28 giugno  2018,        c.  Italia,  §  252),  ricollegandosi\ninvero ad una consolidata e datata giurisprudenza europea (oltre alle\nsentenze sopra citate  si  veda  anche  Corte  EDU,  4  giugno  2013,\nTeodor c. Romania, e, con riguardo alla natura pregiudizievole per il\ndiritto alla presunzione di innocenza di un decreto di  archiviazione\nper prescrizione del reato, che presentava l\u0027indagato come colpevole,\nsi veda Corte EDU, 29 gennaio 2019, Stirmanov  c.  Russia,  e  ancora\nCorte EDU, 3  ottobre  2019,  Fleischner  c.  Germania;  di  recente,\nancora,  si  richiama  la  sentenza  Corte  EDU,  10  ottobre   2024,\nMachalicky c. Repubblica Ceca, sempre in un caso di sentenza  con  la\nquale veniva dichiarata la prescrizione del reato, in cui ). \n    La fattispecie appena descritta, oggetto della  sentenza       c.\nSan Marino, peraltro, si attaglia perfettamente  al  caso  in  esame,\npoiche\u0027  l\u0027art.  578  c.p.p.,  per  come  interpretato  dal  «diritto\nvivente» da ultimo  ribadito  dalle  Sezioni  Unite        ,  risulta\nformulato in termini del tutto simmetrici all\u0027art. 196-bis del c.p.p.\ndi San Marino. \n    Non  e\u0027  possibile,  pertanto,  procedere  ad  un\u0027interpretazione\nconvenzionalmente conforme dell\u0027art. 578 c.p.p., cosi\u0027 come  peraltro\nformulata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 182 del 2021,\nammettendo che il giudice di  appello,  constatata  l\u0027estinzione  del\nreato per prescrizione e l\u0027impossibilita\u0027 di assolvere l\u0027imputato  ai\nsensi dell\u0027art. 129, comma 2, c.p.p., limitandosi  a  descrivere  uno\nstato di sospetto, che non violerebbe di per se\u0027 l\u0027art. 6,  comma  2,\nCEDU (vedi Corte EDU 26 marzo 1996, Leutscher c. Paesi Bassi),  possa\nvalutare le  residue  questioni  civili  facendo  applicazione  delle\nregole di giudizio del giudizio civile, senza neppure incidentalmente\npronunciarsi  sulla  responsabilita\u0027  penale  dell\u0027imputato.  Secondo\nl\u0027interpretazione della Cassazione, e cioe\u0027 del «diritto vivente», il\ngiudice di appello, prima di dichiarare l\u0027estinzione  del  reato  per\nprescrizione,  deve  compiere  un   esaustivo   apprezzamento   della\nresponsabilita\u0027 dell\u0027imputato, alla luce dell\u0027impugnazione  proposta,\neventualmente anche assolvendolo ai sensi dell\u0027art. 530 cpv.  c.p.p.,\nsicche\u0027, ove a tale ultima conclusione non giunga, con il  dichiarare\nestinto il reato per prescrizione, deve affermarne implicitamente  la\ncolpevolezza, poiche\u0027 nella sostanza  la  sentenza  emessa  ai  sensi\ndell\u0027art. 578 c.p.p. e\u0027 una sentenza di condanna  suscettibile  anche\ndi revisione. \n    Sotto questo profilo, il tentativo  delle  Sezioni  Unite      di\nrendere compatibili i principi affermati dalle Sezioni Unite      con\nl\u0027interpretazione, convenzionalmente  e  eurounitariamente  conforme,\npatrocinata dal giudice delle leggi con la sentenza n.  182/2021  non\nsembra cogliere nel segno per le ragioni gia\u0027 ampiamente esposte. \n    A fronte del «diritto vivente», ribadito dalle Sezioni Unite     \n, non essendo possibile  interpretare  in  maniera  convenzionalmente\nconforme l\u0027art. 578 c.p.p., secondo quanto stabilito a partire  dalle\nc.d.  sentenze  gemelle  nn.  348  e  349  del   2007   della   Corte\ncostituzionale,  e\u0027  necessario  sollevare  nuovamente  incidente  di\ncostituzionalita\u0027 della predetta norma per contrasto con gli articoli\n6, comma 2, CEDU e 117, comma 1, Cost. nella parte in cui  stabilisce\nche  il  giudice  dell\u0027appello  penale,  che  dichiara  estinto   per\nprescrizione il reato per cui e\u0027 intervenuta in primo grado condanna,\ne\u0027  tenuto  a   decidere   sull\u0027impugnazione   agli   effetti   delle\ndisposizioni dei capi della sentenza  che  concernono  gli  interessi\ncivili. \n    Spetta, infatti, alla Corte costituzionale intervenire, a  fronte\ndel  «diritto  vivente»,  nell\u0027impossibilita\u0027  di  un\u0027interpretazione\nconvenzionalmente  conforme  della  norma  di  diritto   interno   in\ncontrasto con la CEDU, che  procedera\u0027  al  necessario  bilanciamento\ndegli interessi e dei diritti fondamentali in gioco. \n    3.2. Rispetto al diritto dell\u0027Unione europea e segnatamente  agli\narticoli 3 e 4 della direttiva 2016/UE/343 e all\u0027art. 48 della  Carta\ndei diritti fondamentali dell\u0027U.E., quali parametri interposti  degli\narticoli 11 e 117, comma 1, Cost. \n    Volendo esaminare  la  questione  anche  sul  piano  del  diritto\ndell\u0027U.E., anche in questo caso vanno richiamati i  riferimenti  gia\u0027\npositivamente apprezzati dalla Corte costituzionale con  la  sentenza\nn. 182 del 2021. \n    In particolare, deve osservarsi che l\u0027Unione europea  ha  emanato\nda tempo, ai sensi dell\u0027art. 82 § 2 lettera b)  TFUE,  una  specifica\ndirettiva sul rafforzamento di alcuni aspetti  della  presunzione  di\ninnocenza (la direttiva del Parlamento e  del  Consiglio  2016/UE/343\ndel 9 marzo 2016, entrata in vigore il 1° aprile 2016, con obbligo di\nrecepimento fino al 1° aprile 2018; la direttiva  e\u0027  stata  recepita\nnel nostro ordinamento con decreto legislativo n. 188/2021). \n    Nel dettaglio, l\u0027art. 3, rubricato  «Presunzione  di  innocenza»,\nstabilisce che gli  Stati  Membri  assicurano  che  agli  indagati  e\nimputati sia riconosciuta la presunzione di innocenza fino  a  quando\nnon ne sia stata legalmente  provata  la  colpevolezza.  All\u0027art.  4,\nrubricato «Riferimenti in pubblico alla colpevolezza», si afferma che\ngli Stati Membri adottano le misure  necessarie  per  garantire  che,\nfino a quando la colpevolezza di un indagato o imputato non sia stata\nlegalmente  provata,  le  dichiarazioni   pubbliche   rilasciate   da\nautorita\u0027 pubbliche e le  decisioni  giudiziarie  diverse  da  quelle\nsulla colpevolezza non presentino la  persona  come  colpevole.  Cio\u0027\nlascia  impregiudicati  gli  atti  della  pubblica  accusa  volti   a\ndimostrare la colpevolezza dell\u0027indagato o imputato  e  le  decisioni\npreliminari di natura procedurale adottate da autorita\u0027 giudiziarie o\nda altre autorita\u0027 competenti e fondate sul sospetto o su  indizi  di\nreita\u0027. Il Considerando 11 chiarisce che la direttiva si  applica  ai\nprocedimenti penali nell\u0027accezione  data  dall\u0027interpretazione  della\nCorte di Giustizia UE, fatta salva la giurisprudenza della Corte EDU.\nIl Considerando 16 della direttiva chiarisce che  la  presunzione  di\ninnocenza sarebbe violata se dichiarazioni  pubbliche  rilasciate  da\nautorita\u0027 pubbliche o decisioni giudiziarie diverse da  quelle  sulla\ncolpevolezza presentassero l\u0027indagato o imputato come colpevole  fino\na quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente  provata.  Tali\ndichiarazioni o decisioni  giudiziarie  non  dovrebbero  rispecchiare\nl\u0027idea  che  una  persona  sia  colpevole.  Cio\u0027  dovrebbe   lasciare\nimpregiudicati gli atti della pubblica accusa che mirano a dimostrare\nla colpevolezza dell\u0027indagato o imputato, come l\u0027imputazione, nonche\u0027\nle decisioni giudiziarie in conseguenza delle quali decorrono effetti\ndi una pena sospesa, purche\u0027 siano rispettati i diritti della difesa.\nDovrebbero, altresi\u0027, restare impregiudicate le decisioni preliminari\ndi natura procedurale, adottate da autorita\u0027 giudiziarie o  da  altre\nautorita\u0027 competenti e fondate sul sospetto o su  indizi  di  reita\u0027,\nquali le decisioni riguardanti la  custodia  cautelare,  purche\u0027  non\npresentino l\u0027indagato o imputato come colpevole.  Prima  di  prendere\nuna  decisione  preliminare  di   natura   procedurale,   l\u0027autorita\u0027\ncompetente potrebbe prima dover verificare che vi  siano  sufficienti\nprove a carico dell\u0027indagato  o  imputato  tali  da  giustificare  la\ndecisione e la decisione potrebbe contenere  un  riferimento  a  tali\nelementi.  Il  Considerando  17  della  direttiva  precisa  che   per\n«dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorita\u0027 pubbliche»  dovrebbe\nintendersi  qualsiasi  dichiarazione   riconducibile   a   un   reato\nproveniente da un\u0027autorita\u0027 coinvolta nel procedimento penale che  ha\nad oggetto tale reato, quali le autorita\u0027 giudiziarie, di  polizia  e\naltre autorita\u0027 preposte all\u0027applicazione della legge, o da  un\u0027altra\nautorita\u0027 pubblica, quali ministri e altri funzionari pubblici, fermo\nrestando che cio\u0027  lascia  impregiudicato  il  diritto  nazionale  in\nmateria di immunita\u0027. Ai sensi dell\u0027art. 13 della  direttiva  nessuna\ndisposizione  della  stessa  puo\u0027  essere  interpretata  in  modo  da\nlimitare o derogare ai diritti e alle garanzie procedurali  garantiti\ndalla carta  dei  diritti  fondamentali  UE,  dalla  CEDU,  da  altre\npertinenti disposizioni di diritto internazionale o  dal  diritto  di\nqualsiasi Stato membro che assicurino un livello di  protezione  piu\u0027\nelevato. \n    Come ha definitivamente chiarito la Corte di Giustizia  UE  (vedi\nCorte di Giustizia UE, I Sez., 13 giugno 2019, causa C-646/17,      ,\npunti da 29 a 37), le direttive emanate ai sensi dell\u0027art. 82,  §  2,\ncomma  1,  TFUE,  si  applicano  a  qualunque  procedimento   penale,\nindipendentemente  dal  fatto  che  abbia  o  meno   una   dimensione\ntransnazionale, nel senso di avere ad oggetto materie  penali  aventi\ndimensione  transnazionale.  Di  conseguenza,  devono  essere  tenute\npresenti in qualsiasi procedimento penale. Cio\u0027 comporta, come logico\ncorollario, l\u0027applicazione della Carta dei diritti  fondamentali  UE,\nai sensi dell\u0027art. 51, § 1, della medesima,  che  stabilisce  che  le\ndisposizioni   della   Carta   si   applicano   agli   Stati   Membri\nesclusivamente  nell\u0027attuazione  del  diritto  dell\u0027U.E.  (Corte   di\nGiustizia UE, 26.2.2013, causa  C-617/10,  Akerberg  Fransson,  punto\n17). Pertanto, nell\u0027attuazione del  diritto  dell\u0027U.E.  non  si  puo\u0027\nprescindere  dall\u0027art.  48  della  CDFUE,  e,  siccome  la  Carta  e\u0027\nequiparata ai Trattati (art. 6, § 1, TUE) e ne ha  lo  stesso  valore\ngiuridico, ne consegue che trattasi di diritto primario dell\u0027UE. \n    Dunque, tutti i principi espressi dalla Corte  EDU  con  riguardo\nalla presunzione di innocenza sancita dall\u0027art.  6,  comma  2,  CEDU,\npossono ritenersi pienamente viventi ed operanti anche in  ambito  UE\nattraverso la citata direttiva e l\u0027art. 48 della CDFUE (tenuto  conto\nche il  diritto  alla  presunzione  di  innocenza  in  esso  sancito,\nconformemente all\u0027art. 52, paragrafo 3, della CDFUE, ha significato e\nportata identici allo stesso diritto garantito dalla  CEDU),  con  la\nconseguente  possibilita\u0027  di  disapplicare  le  norme  interne   che\ndovessero porsi  in  contrasto  con  le  norme  UE  aventi  efficacia\ndiretta. \n    Peraltro,  trattandosi  di  questione   che   coinvolge   diritti\nfondamentali che godono tutela sia in ambito  UE  che  interno  (vedi\nart.  27  Cost.),  la  relativa  questione  puo\u0027  essere   sottoposta\nall\u0027attenzione anche  della  Corte  costituzionale,  ai  sensi  degli\narticoli  11  e  117,  comma  1,  Cost.,  come  chiarito   da   Corte\ncostituzionale sentenze nn. 269/2017, 20/2019, 63/2019 e, da  ultimo,\n181/2024. \n    Secondo la Corte di Giustizia UE (vedi Corte di Giustizia UE,  II\nSez., 5 settembre  2019,  causa  C-377/18,  Ah  e  altri),  ai  sensi\ndel\u0027art. 4, § 1, prima frase, della direttiva 2016/UE/343, gli  Stati\nmembri sono tenuti ad adottare le  misure  necessarie  per  garantire\nche, segnatamente, le decisioni giudiziarie diverse da  quelle  sulla\ncolpevolezza non presentino un indagato o un imputato come  colpevole\nfino a quando la sua colpevolezza non sia stata  legalmente  provata.\nSecondo il Considerando 16 tali dichiarazioni o decisioni giudiziarie\nnon dovrebbero rispecchiare l\u0027idea che  una  persona  sia  colpevole.\nNonostante l\u0027art. 4, § 1, della citata  direttiva  lasci  agli  Stati\nmembri un margine di discrezionalita\u0027  per  l\u0027adozione  delle  misure\nnecessarie ai sensi di detta disposizione, resta il fatto  che,  come\nsi evince dal Considerando 48 di tale direttiva, il livello di tutela\nprevisto dagli Stati membri non dovrebbe mai  essere  inferiore  alle\nnorme della Carta o della CEDU, segnatamente quelle sulla presunzione\ndi innocenza. A tale riguardo, sottolinea la  Corte  del  Lussemburgo\n(vedi punto 41), occorre rilevare che la presunzione di innocenza  e\u0027\nsancita dall\u0027art. 48  della  CDFUE,  il  quale,  come  risulta  dalle\nspiegazioni relative a quest\u0027ultima, corrisponde all\u0027art. 6, commi  2\ne 3, CEDU. Ne consegue che, conformemente all\u0027art.  52,  §  3,  della\nCarta, ai fini  dell\u0027interpretazione  dell\u0027art.  48  di  quest\u0027ultima\noccorre prendere in considerazione l\u0027art. 6, commi 2 e 3, CEDU, quale\nsoglia di protezione  minima.  Sicche\u0027,  in  assenza  di  indicazioni\nprecise nella direttiva 2016/UE/343 e nella  giurisprudenza  relativa\nall\u0027art. 48 della CDFUE su come debba stabilirsi se una  persona  sia\npresentata o meno come colpevole in  una  decisione  giudiziaria,  ai\nfini  dell\u0027interpretazione  dell\u0027art.  4,  §   1,   della   direttiva\n2016/UE/343 occorre ispirarsi alla giurisprudenza della Corte europea\ndei diritti dell\u0027uomo relativa all\u0027art. 6, comma 2, CEDU  (punto  42:\nnel caso di specie la Corte di Giustizia UE, proprio  rifacendosi  ad\nun precedente della Corte EDU, riteneva che l\u0027art. 4 della  direttiva\ndovesse essere interpretato nel  senso  che  non  ostasse  a  che  un\naccordo nel quale l\u0027imputato riconosce  la  propria  colpevolezza  in\ncambio di una riduzione di pena, e che deve essere  approvato  da  un\ngiudice nazionale, menzioni espressamente quali  coautori  del  reato\nnon soltanto tale imputato ma anche  altre  persone  imputate  in  un\nprocedimento separato, che procede ordinariamente, a  condizione,  da\nun lato, che tale menzione sia necessaria per la qualificazione della\nresponsabilita\u0027 giuridica dell\u0027imputato che  ha  concluso  l\u0027accordo,\ndall\u0027altro, che il medesimo  accordo  indichi  chiaramente  che  tali\naltre persone sono imputate in un procedimento penale distinto e  che\nla loro colpevolezza non e\u0027  stata  legalmente  accertata;  in  altra\nsentenza - Corte di Giustizia UE, I Sez., 19  settembre  2018,  causa\nC-310/18 PPU, Milev -, la Corte ha affermato che l\u0027art. 4, § 1, della\ndirettiva 2016/UE/343 deve essere letto alla  luce  del  Considerando\n16, secondo il quale il rispetto della presunzione di  innocenza  non\npregiudica  le  decisioni  riguardanti,  ad  esempio,   la   custodia\ncautelare,  purche\u0027  non  presentino  l\u0027indagato  o   imputato   come\ncolpevole. Ai sensi dello stesso Considerando, prima di prendere  una\ndecisione preliminare di natura procedurale,  l\u0027autorita\u0027  competente\npotrebbe anzitutto dovere verificare che vi siano sufficienti prove a\ncarico dell\u0027indagato o imputato tali da giustificare la  decisione  e\nquest\u0027ultima potrebbe contenere un riferimento a  tali  elementi.  Da\nquanto precede risulta che, nell\u0027ambito dei procedimenti  penali,  la\ndirettiva in questione e, in particolare, i suoi articoli 3 e 4, § 1,\nnon  ostano  all\u0027adozione  di   decisioni   preliminari   di   natura\nprocedurale, come una decisione di mantenere una misura  di  custodia\ncautelare adottata da un\u0027autorita\u0027 giudiziaria, fondate sul  sospetto\no su indizi di reita\u0027,  purche\u0027  tali  decisioni  non  presentino  la\npersona detenuta come colpevole). \n    Alla luce di cio\u0027, si dubita  della  conformita\u0027  al  diritto  UE\ndell\u0027art. 578 c.p.p., come interpretato  dal  «diritto  vivente»,  da\nultimo ribadito dalla sentenza delle Sezioni Unite     . \n    Anche in questo caso, eventuali bilanciamenti con altri interessi\no diritti tutelati dall\u0027ordinamento U.E. (con riguardo,  ad  esempio,\nalla parte civile «vittima» del reato, come si  evince  dall\u0027art.  16\ndella direttiva 2012/UE/29), spettano alla Corte costituzionale. \n    Al riguardo, vanno richiamate le argomentazioni con le  quali  la\nCorte costituzionale, nella sentenza n. 12  del  2016,  relativamente\nalle questioni sollevate in ordine alla  legittimita\u0027  costituzionale\ndell\u0027art. 538 c.p.p. nella parte  in  cui  non  consente  al  giudice\npenale di condannare l\u0027imputato al risarcimento del danno  in  favore\ndella parte civile in caso di proscioglimento  per  qualsiasi  causa,\ncompreso il vizio totale di mente, ha superato i profili  riguardanti\nl\u0027asserita violazione anche del diritto dell\u0027U.E. \n    Invero,  si  legge  testualmente  nella  sentenza:  «non   giova,\naltresi\u0027, alle tesi del giudice a quo il richiamo alla  direttiva  25\nottobre 2012, n. 2012/29/UE del Parlamento europeo e  del  Consiglio,\nche istituisce norme minime  in  materia  di  diritti,  assistenza  e\nprotezione delle vittime di reato: richiamo  destinato,  peraltro,  a\nfungere da mero argomento di  supporto  delle  altre  doglianze,  non\navendo  il  rimettente  evocato  i   parametri   costituzionali   che\nimporrebbero - in ipotesi - l\u0027adeguamento  dell\u0027ordinamento  italiano\nalle istanze sovranazionali richiamate (ossia gli articoli 11 e  117,\nprimo comma,  Cost.).  Al  riguardo,  e\u0027  sufficiente  osservare  che\nl\u0027obbligo degli Stati membri - sancito  dall\u0027art.  16,  paragrafo  1,\ndella citata direttiva - di garantire alla  vittima  «il  diritto  di\nottenere una decisione in merito al risarcimento da parte dell\u0027autore\ndel reato nell\u0027ambito del procedimento penale  entro  un  ragionevole\nlasso di tempo», risulta espressamente  subordinato  alla  condizione\nche «il diritto  nazionale  [non]  preveda  che  tale  decisione  sia\nadottata nell\u0027ambito di un altro procedimento giudiziario». Il che e\u0027\nproprio  quanto  si   verifica,   secondo   l\u0027ordinamento   italiano,\nnell\u0027ipotesi in esame». \n    Conclusivamente, va anche rilevato che, contrariamente  a  quanto\nsostenuto dalle Sezioni Unite        (vedi punto 8 del Considerato in\ndiritto), la  protezione  giuridica  offerta  al  diritto  di  difesa\ndell\u0027imputato dall\u0027interpretazione  dell\u0027art.  578,  comma  1, c.p.p.\nresa dal «diritto vivente» rappresentato dalle  Sezioni  Unite       \nnon appare per nulla maggiore di quella  offerta  dalla  CEDU  e  dal\ndiritto dell\u0027Unione europea,  atteso  che  espone  l\u0027imputato  ad  un\nimproprio giudizio di colpevolezza tutte le  volte  in  cui,  per  la\nmaturata estinzione del reato per prescrizione, di tale aspetto della\nvicenda giudiziaria il giudice di appello non dovrebbe piu\u0027  curarsi.\nInvero, si ribadisce, pur a fronte della  maturata  prescrizione,  le\nSezioni Unite      obbligano il giudice dell\u0027impugnazione, sulla base\ndel  principio  devolutivo,  ad  una  preliminare   ed   approfondita\nvalutazione degli aspetti penali della  vicenda,  che  puo\u0027  condurre\nall\u0027assoluzione  dell\u0027imputato,   ma   anche   alla   sua   implicita\naffermazione di colpevolezza.  La  «medaglia»,  dunque,  deve  essere\nosservata  da  entrambe  le  facce   e   non   limitarsi   a   quella\napparentemente piu\u0027 favorevole. \n    3.3. Rispetto agli artt. 3 e 27, comma 2, Cost. \n    L\u0027intervento  correttivo  della  Corte  costituzionale   potrebbe\ntradursi nella declaratoria  di  incostituzionalita\u0027  dell\u0027art.  578,\ncomma 1, c.p.p. per come interpretato dal «diritto vivente», cosi\u0027 da\nattribuire   cogenza   ai   principi   affermati    nella    sentenza\ninterpretativa di rigetto n. 182/2021 (ed  e\u0027  l\u0027ipotesi  subordinata\nche si prospetta alla Corte). \n    Tuttavia, una simile soluzione rischierebbe di non  tenere  conto\ndell\u0027evoluzione legislativa che c\u0027e\u0027  stata  in  conseguenza  proprio\ndella sentenza n. 182  del  2021  e  della  diversa  architettura  di\nsistema scaturita dalla riforma c.d. Cartabia circa  i  rapporti  tra\nazione penale e azione civile nell\u0027ambito del  processo  penale,  che\nvale la pena di riassumere brevemente. \n      Invero,  si   e\u0027   visto   che,   con   riguardo   all\u0027istituto\ndell\u0027improcedibilita\u0027 di cui all\u0027art. 344-bis c.p.p., il  legislatore\nha ritenuto di  percorrere  una  strada  diversa  da  quella  di  cui\nall\u0027art.  578,  comma  1,  c.p.p.  Infatti,  quando   nei   confronti\ndell\u0027imputato e\u0027 stata pronunciata  condanna,  anche  generica,  alla\nrestituzione o al risarcimento del  danno,  cagionato  dal  reato,  a\nfavore della parte civile, con la declaratoria di improcedibilita\u0027 il\ngiudice  di  appello  (o  la   Corte   di   cassazione),   verificata\nl\u0027ammissibilita\u0027 dell\u0027impugnazione, deve rinviare per la prosecuzione\ndel giudizio al giudice o alla Sezione civile competente nello stesso\ngrado, che decidono  sulle  questioni  civili  utilizzando  le  prove\nacquisite nel processo penale e quelle  eventualmente  acquisite  nel\ngiudizio civile (art. 578, comma 1-bis, c.p.p.). A fondamento di tale\nopzione  normativa   sono   state   poste   certamente   ragioni   di\nalleggerimento del carico di lavoro delle Corti penali, ma anche,  se\nnon soprattutto, la necessita\u0027 di sviluppare  il  percorso  esegetico\nseguito dalla giurisprudenza costituzionale  relativa  all\u0027art.  578,\ncomma 1, c.p.p., che si basa sul presupposto che, per  non  incorrere\nin  violazioni  della  presunzione  d\u0027innocenza   dell\u0027imputato,   e\u0027\nnecessario restringere l\u0027oggetto di accertamento al solo diritto  del\ndanneggiato al  risarcimento  del  danno,  dopo  lo  spartiacque  del\ngiudicato. E\u0027 stato, pertanto,  ritenuto  ragionevole  attribuire  il\ncompito di decidere al giudice  civile,  in  una  situazione  in  cui\ndevono essere verificati gli estremi  della  responsabilita\u0027  civile,\nsenza poter  accertare  nemmeno  incidentalmente  la  responsabilita\u0027\npenale. \n    E\u0027 certamente vero che l\u0027istituto dell\u0027improcedibilita\u0027 opera sul\npiano processuale (vedi Cassazione pen. sez. V, 5 novembre  2021,  n.\n334/22,  anche  se,  sottolinea   la   Cassazione,   «l\u0027inquadramento\n\"processuale\" della norma di cui all\u0027art. 344-bis c.p.p. non  esclude\nche l\u0027istituto abbia anche ripercussioni sostanziali, anche  connesse\nall\u0027indubbia novita\u0027 dell\u0027istituto che di  fatto  rileva  in  plurimi\nambiti,  ma  esse  rilevano   quale   mero   effetto   consequenziale\nall\u0027improcedibilita\u0027 dell\u0027azione alla scadenza  del  termine  fissato\ndal  legislatore  per  la  durata  \"ragionevole\"  del   giudizio   di\nimpugnazione»:  vedi  punto  4.1.3.  del  Considerato  in   diritto),\nestinguendo l\u0027azione penale, mentre quello della  prescrizione  opera\nsul piano sostanziale, estinguendo il reato. Tuttavia,  ai  fini  che\nqui interessa, e cioe\u0027 ai fini  della  tutela  della  presunzione  di\ninnocenza come tutelata in ambito costituzionale (art. 27,  comma  2,\nCost.) ed europeo (CEDU e diritto dell\u0027UE), in  entrambi  i  casi  le\npronunce determinano una  interruzione  del  giudizio  penale,  senza\nessere  giunti  all\u0027accertamento  definitivo  della   responsabilita\u0027\npenale dell\u0027imputato. In tutti e due  i  casi  sorge  un\u0027esigenza  di\ntutela del diritto dell\u0027imputato alla presunzione di innocenza,  come\ndetto, tutelata in ambito interno ed  europeo,  sicche\u0027,  appare  del\ntutto  irragionevole  una  disparita\u0027  di  trattamento  tra  le   due\nfattispecie (l\u0027una - l\u0027improcedibilita\u0027 -  applicabile  in  relazione\nalle impugnazioni aventi ad oggetto reati commessi dopo il 1° gennaio\n2020  -  l\u0027altra  -  la  prescrizione  -  operante  in  ordine   alle\nimpugnazioni aventi ad oggetto reati commessi  fino  al  31  dicembre\n2019). \n    D\u0027altra parte, come la prescrizione, anche l\u0027improcedibilita\u0027  di\ncui all\u0027art. 344-bis c.p.p. e\u0027 rinunciabile  da  parte  dell\u0027imputato\n(art.  344-bis,  comma  7,  c.p.p.).  Pertanto,  in  relazione   alla\nfattispecie di cui all\u0027art. 578, comma 1-bis, c.p.p., come non esiste\nun diritto dell\u0027imputato, che non  ha  chiesto  la  prosecuzione  del\nprocesso, ma che ha impugnato  la  sentenza  di  condanna,  anche  al\nrisarcimento del danno, a fini penali, ad una cognizione piena  della\nsua responsabilita\u0027 penale, cosi\u0027 non si giustifica, sulla  base  del\n«diritto vivente» ribadito da Sezioni Unite       ,  che  l\u0027imputato,\nche non ha rinunciato alla  prescrizione,  ma  che  ha  impugnato  la\nsentenza di condanna, anche al risarcimento del danno, a fini penali,\ndebba godere della possibilita\u0027 di una valutazione  piena  della  sua\nresponsabilita\u0027 penale da parte del giudice di appello, semplicemente\nper la presenza della costituita parte civile. A tale fine,  infatti,\ne\u0027 sufficiente ad  assicurare  il  diritto  di  difesa  dell\u0027imputato\n(nonche\u0027 il suo diritto alla presunzione di innocenza) la  previsione\ndi cui all\u0027art. 129, comma 2, c.p.p., che gli assicura, in  qualsiasi\nstato e grado del processo, l\u0027assoluzione  in  presenza  di  evidenza\ndella prova di innocenza. Il diritto, invece, ad un esame pieno della\nsua responsabilita\u0027 penale, imposto dal «diritto vivente»,  non  solo\nappare  del  tutto   irragionevole   e   ingiustificato,   a   fronte\ndell\u0027analogo  istituto  di  cui  all\u0027art.  344-bis  c.p.p.  e   della\nprevisione di cui al comma 1-bis  dell\u0027art.  578  c.p.p.,  ma  appare\nforiero di potenziali conseguenze pregiudizievoli  sotto  il  profilo\ndella tutela del diritto  alla  presunzione  di  innocenza,  poiche\u0027,\nnell\u0027ipotesi in cui il giudice di appello ritenga che non  sussistano\ni presupposti per assolvere l\u0027imputato ai sensi  dell\u0027art.  530  cpv.\nc.p.p., e, quindi, dichiari l\u0027estinzione del reato per  prescrizione,\nimplicitamente ed  incidentalmente  ne  afferma  la  colpevolezza  in\nrelazione  al  fatto-reato  ascrittogli,  subito  dopo  passando   ad\nesaminare, in riferimento  al  medesimo  fatto-reato,  produttivo  di\ndanno, la sua responsabilita\u0027 civile, cosi\u0027 da correre  concretamente\nil rischio della  violazione  della  presunzione  di  innocenza  come\ntutelata dall\u0027art.  6,  comma  2,  CEDU  e  dal  diritto  dell\u0027Unione\neuropea. \n    Quanto al necessario  bilanciamento  dei  contrapposti  interessi\n(tutela  della  presunzione  di  innocenza/ragionevole   durata   del\ngiudizio in punto di responsabilita\u0027  civile),  deve  osservarsi  che\nl\u0027opzione seguita dal legislatore con l\u0027inserimento del  comma  1-bis\ndell\u0027art. 578 c.p.p. costituisce, sotto questo profilo, un esempio di\nequilibrato bilanciamento, che certamente puo\u0027, ed anzi deve,  essere\ntenuto presente in questa sede al fine di adeguare il disposto di cui\nall\u0027art. 578, comma 1, c.p.p. agli invocati parametri costituzionali,\nconvenzionali ed eurounitari. Invero, innanzitutto,  come  la  stessa\nCorte costituzionale ha ricordato,  la  norma  di  cui  all\u0027art.  578\nc.p.p. rappresenta un\u0027eccezione nel rapporto che  regola  l\u0027esercizio\ndell\u0027azione civile nel processo penale (vedi Corte costituzionale  n.\n176/2019), che  non  viene  pregiudicato  nell\u0027ipotesi  in  cui  alla\npronuncia di non doversi procedere per estinzione del reato da  parte\ndel giudice di appello non dovesse fare  seguito  la  conferma  delle\nstatuizioni civili da parte dello stesso giudice di  appello  penale.\nLa costituzione di parte civile nel  processo  penale  interrompe  il\ndecorso della prescrizione del diritto al risarcimento del danno  con\neffetti permanenti fino al passaggio in giudicato della sentenza  che\ndichiara l\u0027estinzione  del  reato  per  prescrizione,  cominciando  a\ndecorrere nuovamente da tale data (Cass. civ.  sez.  III,  20  giugno\n1978, n. 3036). Peraltro, la  sentenza  dichiarativa  dell\u0027estinzione\ndel reato (come del resto la pronuncia ex art.  344-bis  c.p.p.)  non\navrebbe alcun effetto nell\u0027eventuale giudizio civile di  risarcimento\ndel danno. Quanto al diritto della parte civile di ottenere in  tempi\nragionevoli il risarcimento del danno patito per effetto  del  reato,\ndiritto costituzionalmente tutelato ai sensi dell\u0027art. 111, comma  2,\nCost, deve osservarsi che lo  stesso  sarebbe  certamente  assicurato\ndalla prosecuzione del  giudizio  dinanzi  al  giudice  civile,  che,\nquindi, come osservato dalla Cassazione (vedi  Cassazione  pen.  sez.\nun., 25 maggio 2023, n. 38841) a proposito dell\u0027analoga  disposizione\ndi cui all\u0027art. 573, comma 1-bis, c.p.p., non dovrebbe essere neppure\nriassunto  dinanzi  al  giudice  civile  competente  per  grado,   ma\nsemplicemente  proseguirebbe,   assicurando,   peraltro,   la   piena\nutilizzabilita\u0027 delle prove acquisite nel processo penale (oltre  che\ndi quelle  eventualmente  acquisite  nel  giudizio  civile).  D\u0027altra\nparte, il diritto alla ragionevole durata del giudizio a fini  civili\ndovrebbe, in ogni caso, cedere il passo di fronte  ad  altri  diritti\ncostituzionalmente e convenzionalmente tutelati, quali il diritto  di\ndifesa dell\u0027imputato e, come nel caso di specie,  il  suo  diritto  a\nvedersi presumere innocente fino  all\u0027accertamento  definitivo  della\nsua colpevolezza. \n    Sul punto, si richiamano le argomentazioni con le quali la  Corte\ncostituzionale, nella sentenza n. 12  del  2016,  relativamente  alle\nquestioni  sollevate  in  ordine  alla  legittimita\u0027   costituzionale\ndell\u0027art. 538 c.p.p. nella parte  in  cui  non  consente  al  giudice\npenale di condannare l\u0027imputato al risarcimento del danno  in  favore\ndella parte civile in caso di proscioglimento  per  qualsiasi  causa,\ncompreso il vizio totale di mente, ha superato i profili  riguardanti\nl\u0027asserita  violazione  del  principio  di  ragionevole  durata   del\nprocesso (art. 111, secondo comma, secondo periodo, Cost.), ovvero il\nrichiamo all\u0027art. 6 CEDU nella parte in cui tutela  anche  i  diritti\ncivili. \n    Invero, si legge  testualmente  nella  sentenza:  «con  riguardo,\ninfine, all\u0027asserita violazione del principio di  ragionevole  durata\ndel processo (art.  111,  secondo  comma,  secondo  periodo,  Cost.),\nquesta Corte ha ripetutamente affermato che - alla luce dello  stesso\nrichiamo al connotato di «ragionevolezza», che compare nella  formula\ncostituzionale  -  possono  arrecare  un  vulnus  a  quel   principio\nsolamente le norme «che comportino  una  dilatazione  dei  tempi  del\nprocesso non  sorrette  da  alcuna  logica  esigenza»  (ex  plurimis,\nsentenze n. 23 del 2015 n. 63 e n. 56 del 2009,  n.  148  del  2005).\nTale ipotesi non e\u0027 ravvisabile nel caso considerato. La  preclusione\ndella decisione sulle questioni civili, nel caso  di  proscioglimento\ndell\u0027imputato per qualsiasi causa - compreso il vizio totale di mente\n-  se  pure  procrastina  la  pronuncia  definitiva   sulla   domanda\nrisarcitoria  del  danneggiato,  costringendolo  ad   instaurare   un\nautonomo giudizio civile,  trova  pero\u0027  giustificazione,  come  gia\u0027\nrimarcato, nel carattere accessorio e subordinato dell\u0027azione  civile\nproposta nell\u0027ambito del processo penale rispetto alle  finalita\u0027  di\nquest\u0027ultimo, e segnatamente nel  preminente  interesse  pubblico  (e\ndello stesso imputato) alla sollecita definizione del processo penale\nche  non  si  concluda  con  un  accertamento   di   responsabilita\u0027,\nriportando nella sede naturale le  istanze  di  natura  civile  fatte\nvalere nei suoi confronti. Cio\u0027, in linea, una volta ancora,  con  il\nfavore per la separazione dei giudizi  cui  e\u0027  ispirato  il  vigente\nsistema  processuale.  [...]  Parimenti  non  probanti  appaiono,  da\nultimo, i riferimenti alla giurisprudenza  della  Corte  europea  dei\ndiritti dell\u0027uomo operati dalla parte privata: anche in questo  caso,\ncon semplice funzione rafforzativa delle denunciate violazioni  degli\narticoli 24 e 111 Cost., non figurando tra i  parametri  dell\u0027odierno\nscrutinio quello piu\u0027  direttamente  conferente  (l\u0027art.  117,  primo\ncomma, Cost.). La  Corte Strasburgo  e\u0027,  in  effetti,  costante  nel\nriconoscere che,  nella  misura  in  cui  la  legislazione  nazionale\naccordi alla vittima del reato la  possibilita\u0027  di  intervenire  nel\nprocesso  penale  per  difendere  i  propri  interessi   tramite   la\ncostituzione di parte civile, tale diritto va considerato un «diritto\ncivile» agli effetti dell\u0027art. 6, paragrafo 1, della Convenzione  per\nla salvaguardia dei diritti dell\u0027uomo e delle  liberta\u0027  fondamentali\n(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa\nesecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, con conseguente spettanza,\nalla vittima stessa, delle garanzie in  tema  di  equo  processo  ivi\nstabilite, compresa quella relativa alla ragionevole  durata  (Grande\nCamera, sentenza 12 febbraio 2004, Perez  contro  Francia;  in  senso\nconforme, tra le altre,  sezione  terza,  sentenza  25  giugno  2013,\nAssociazione delle persone vittime del sistema s.c. Rompetrol s.a.  e\ns.c. Geomin s.a. e altri contro Romania; Grande Camera,  sentenza  20\nmarzo 2009, Gorou contro Grecia). In questa logica, la Corte  europea\nsi  e\u0027,  peraltro,  specificamente  occupata,  in   piu\u0027   occasioni,\ndell\u0027ipotesi del mancato esame della domanda della parte  civile  per\nessersi il procedimento penale chiuso con provvedimento diverso dalla\ncondanna dell\u0027imputato, in applicazione di una regola condivisa - sia\npure con diverse varianti  e  gradazioni  -  da  plurimi  ordinamenti\nnazionali. Tale regime non e\u0027 stato affatto ritenuto, in  se\u0027  e  per\nse\u0027,  contrastante  con  le  garanzie  convenzionali.  La  violazione\ndell\u0027art. 6 della CEDU, in particolare sotto il profilo  del  diritto\ndi accesso ad  un  tribunale,  e\u0027  stata  ravvisata  dai  giudici  di\nStrasburgo solo in due ipotesi. In primo luogo, quando la vittima del\nreato non fruisca di altri rimedi accessibili  ed  efficaci  per  far\nvalere le sue  pretese  (sezione  terza,  sentenza  25  giugno  2013,\nAssociazione delle persone vittime del sistema s.c. Rompetrol s.a.  e\ns.c. Geomin s.a. e altri contro Romania; sezione  prima,  sentenza  4\nottobre 2007,  Forum  Maritime  s.a.  contro  Romania):  rimedi  che,\nnell\u0027ordinamento italiano, sono invece offerti dalla possibilita\u0027  di\nrivolgersi al giudice civile. In  secondo  luogo,  la  violazione  e\u0027\nstata riscontrata allorche\u0027 il concreto funzionamento del  meccanismo\nfrustri indebitamente le legittime aspettative del danneggiato,  come\nnel  caso  in  cui  la  prescrizione  della  responsabilita\u0027   penale\ndell\u0027autore del reato, impeditiva dell\u0027esame  della  domanda  civile,\nsia imputabile a ingiustificati ritardi delle  autorita\u0027  giudiziarie\nnella conduzione del procedimento penale (Grande Camera,  sentenza  2\nottobre 2008, Atanasova contro Bulgaria; sezione  prima,  sentenza  3\naprile 2003, Anagnostopoulos contro Grecia): malfunzionamento che non\ndipende,  peraltro,  dalla  norma  e  che  comunque  non   viene   in\nconsiderazione nell\u0027ipotesi qui in esame.» (Corte cost. n. 12/2016). \n    D\u0027altronde, come chiarito ancora di recente dalla  Corte  europea\ndei diritti dell\u0027uomo (Corte EDU, grande camera, 24  settembre  2024,\nFabbri e altri c. San  Marino),  il  fatto  che  la  chiusura  di  un\nprocedimento penale impedisca la pronuncia di una decisione  relativa\na  domande  civili  nell\u0027ambito  di  tale  procedimento  penale   non\ncostituisce, in linea di principio, una  violazione  del  diritto  di\naccesso ad un Tribunale se la cessazione di tale procedimento  penale\nsi basa su motivi  giuridici  non  applicati  in  modo  arbitrario  o\nirragionevole e se il ricorrente disponeva  ab  initio  di  un  altro\nmezzo di ricorso atto a consentirgli di ottenere una decisione  sulle\nsue pretese di carattere civile. Anche sotto il profilo del  rispetto\ndi un termine ragionevole per  la  trattazione  della  causa  civile,\nspetta agli Stati membri organizzare i propri sistemi  giudiziari  in\nmodo tale da che i propri Tribunali possano garantire a  ciascuno  il\ndiritto di  ottenere  una  decisione  definitiva  sulle  controversie\nrelative ai propri diritti e obblighi civili in tempi ragionevoli,  e\nla ragionevolezza della durata del procedimento deve essere  valutata\nin funzione delle circostanze del caso, verificando  la  complessita\u0027\ndel caso, il comportamento del ricorrente e  quello  delle  Autorita\u0027\ncompetenti, nonche\u0027 la posta in gioco degli interessati. \n    Nel caso di specie, premesso che le parti civili  disponevano  ab\ninitio della possibilita\u0027 di esercitare autonomamente l\u0027azione civile\ndinanzi  ai  giudici  civili,  in  ogni  caso  la  prospettiva  della\nprosecuzione del giudizio di appello in sede civile, in seguito  alla\ndeclaratoria di estinzione del reato per prescrizione,  assicura  non\nsolo il pieno accesso alla tutela giudiziaria, ma anche una  risposta\ndi giustizia in tempi ragionevoli. \n    Infine, la prospettata assimilazione della fattispecie di cui  al\ncomma 1 dell\u0027art. 578 c.p.p., rispetto a quella di cui al comma 1-bis\ndel medesimo articolo, non frustrerebbe le aspettative  dell\u0027imputato\n(ovvero della stessa parte civile) a che il giudizio di appello,  con\nriferimento alle residue  questioni  civili,  si  svolga  nel  merito\ndinanzi al giudice dell\u0027appello penale, giacche\u0027  l\u0027eventualita\u0027  che\nil  giudizio  si  svolga  ad  un  certo  punto  dinanzi  al   giudice\ndell\u0027appello civile e\u0027 prospettiva gia\u0027 esistente, tenuto  conto  del\ndisposto dell\u0027art. 622 c.p.p., come interpretato dalla giurisprudenza\ndi legittimita\u0027 (vedi Cassazione pen. sez. un., 18  luglio  2013,  n.\n40109, imp.       , e Cassazione pen. sez. un., 28 gennaio  2021,  n.\n22065, imp.     ). \n    Sotto quest\u0027ultimo profilo, del resto, l\u0027originaria  introduzione\ndel comma 1-bis  dell\u0027art.  578  c.p.p.,  ad  opera  della  legge  n.\n134/2021  -  a  differenza  dell\u0027introduzione  da  parte  del decreto\nlegislativo n. 150/2022 del comma 1-bis nell\u0027art. 573 c.p.p., che  e\u0027\nstata collegata anche alla modifica apportata  dal  medesimo  decreto\nall\u0027art. 78, comma 1 lettera d), c.p.p. (vedi  Cassazione  pen.  sez.\nun., 25 maggio 2023, n. 38841), cosi\u0027 da ancorarne  l\u0027operativita\u0027  a\nquei  processi  nei  quali  la  costituzione  di  parte   civile   e\u0027\nintervenuta  successivamente  all\u0027entrata  in  vigore   del   decreto\nlegislativo n. 150/2022  -,  e\u0027  avvenuta  autonomamente,  a  seguito\ndell\u0027introduzione  dell\u0027istituto  di  cui  all\u0027art.  344-bis   c.p.p.\nPertanto, la sua efficacia non risulta ricollegabile  al  momento  in\ncui e\u0027 avvenuta la costituzione di parte civile. In  buona  sostanza,\nse alla data di entrata  in  vigore  della  legge  n.  134/2021,  con\nriguardo ad impugnazioni relative a processi aventi ad oggetto  reati\ncommessi dopo il 1° gennaio 2020, risultava gia\u0027 costituita la  parte\ncivile, l\u0027art. 578, comma 1-bis, c.p.p. ha comunque piena  efficacia,\nessendo ancorata  la  sua  operativita\u0027  esclusivamente  all\u0027istituto\ndell\u0027improcedibilita\u0027 di cui all\u0027art. 344-bis c.p.p. Ne consegue che,\nanche  sotto  questo  aspetto,   non   vi   e\u0027   alcuna   preclusione\nnell\u0027estendere, in via pretoria costituzionale, la disciplina di  cui\nal comma 1-bis dell\u0027art. 578 c.p.p.  alla fattispecie di cui al comma\n1 della medesima  disposizione,  poiche\u0027,  come  nel  primo  caso  il\nlegislatore  ha  ritenuto   recessiva,   a   seguito   dell\u0027eventuale\ndeclaratoria  di  improcedibilita\u0027  dell\u0027azione  penale,  l\u0027eventuale\naspettativa delle parti  private  (imputato  e/o  parte  civile  gia\u0027\ncostituita al momento dell\u0027entrata in vigore della norma)  a  che  il\nprocesso fosse  definito  nel  merito,  anche  con  riferimento  alle\nquestioni civili, dal giudice penale, cosi\u0027  allo  stesso  modo  puo\u0027\nritenersi recessiva analoga aspettativa  riguardo  alla  sopravvenuta\ndeclaratoria di estinzione del reato per prescrizione. \n    In conclusione, ai fini di rendere  costituzionalmente  legittimo\nil disposto dell\u0027art. 578, comma 1, c.p.p. l\u0027intervento  «correttivo»\nnon dovrebbe limitarsi  alla  declaratoria  di  illegittimita\u0027  della\nnorma, come interpretata dal «diritto vivente», ma dovrebbe spingersi\na renderla conforme all\u0027analoga disposizione di cui  al  comma  1-bis\ndel medesimo art.  578  c.p.p.  (con  eventuale  estensione,  in  via\nderivata, anche rispetto al comma 1-ter della  citata  disposizione),\nin  tale  modo  eliminando,  altresi\u0027,  irragionevoli  disparita\u0027  di\ntrattamento tra imputati, a fronte di situazioni del tutto  analoghe,\ndeterminate semplicemente sulla base della data del commesso reato. \n    Invero, solo per avere commesso il reato in epoca  successiva  al\n1° gennaio 2020, a fronte di un\u0027identica situazione (interruzione del\nprocesso senza un\u0027affermazione definitiva di responsabilita\u0027 penale),\nl\u0027imputato godrebbe di una tutela maggiore rispetto al  diritto  alla\npresunzione di innocenza di quella di cui godrebbe l\u0027imputato  di  un\nreato commesso fino al 31 dicembre 2019. Quest\u0027ultimo, infatti, anche\na fronte di  un\u0027interpretazione  conforme  dell\u0027art.  578,  comma  1,\nc.p.p. ai parametri costituzionali ed europei, permanendo il giudizio\nsugli interessi civili dinanzi al giudice  dell\u0027impugnazione  penale,\ncorrerebbe comunque il rischio  di  violazioni  del  suo  diritto  ad\nessere presunto innocente,  rischio  che  il  legislatore  ha  voluto\ndefinitivamente escludere per l\u0027autore di un reato  commesso  dal  1°\ngennaio 2020,  trasferendo  il  residuale  giudizio  sulle  questioni\ncivili nella sua sede naturale, e cioe\u0027 dinanzi al competente giudice\ncivile. \n    D\u0027altronde,  non  puo\u0027  neppure  tacersi   che   ben   potrebbero\nverificarsi fattispecie in  cui  al  medesimo  imputato,  nell\u0027ambito\ndello stesso processo, risultano contestati fatti commessi prima  del\n1° gennaio 2020 e fatti commessi successivamente, con la  conseguenza\nche, verificatesi, per ipotesi, le condizioni previste  dai  commi  1\n(con riguardo ai fatti commessi prima del 1° gennaio  2020)  e  1-bis\n(in relazione ai fatti commessi successivamente al 1°  gennaio  2020)\ndell\u0027art. 578 c.p.p., la presenza della parte  civile  determinerebbe\nl\u0027operativita\u0027  di  due  diverse  discipline  in  maniera  del  tutto\nirragionevole. \n    Come e\u0027  noto,  secondo  il  costante  orientamento  della  Corte\ncostituzionale, si ha violazione dell\u0027art. 3 Cost. quando  situazioni\nsostanzialmente    identiche    siano    disciplinate     in     modo\ningiustificatamente diverso  (ex  plurimis  Corte  costituzionale  n.\n340/2004). \n    In subordine, comunque, ove la Corte ritenga non equiparabili  le\nsituazioni previste dai commi 1 e  1-bis  dell\u0027art.  578  c.p.p.,  la\nquestione di legittimita\u0027 costituzionale viene in ogni caso sollevata\ncon riferimento all\u0027art. 6, comma 2, CEDU, quale parametro interposto\ndell\u0027art. 117, comma 1, Cost., in relazione agli articoli 3 e 4 della\ndirettiva 2016/UE/343 e art. 48 della Carta dei diritti  fondamentali\ndell\u0027U.E., quali parametri interposti degli articoli 11 e 117,  comma\n1, Cost., nella parte in  cui  l\u0027art.  578,  comma  1,  c.p.p.  viene\ninterpretato  secondo  il  «diritto  vivente»   rappresentato   dalle\nsentenze delle Sezioni Unite della Cassazione    e     ,  e  non  nel\nsenso gia\u0027 fatto proprio dalla Corte costituzionale con  la  sentenza\nn. 182/2021. \n\n \n                               P. Q. M. \n \n \n                              LA CORTE \n \n    Visto  l\u0027art.  23  della  legge  n.  87/1953  solleva,   in   via\nprincipale, di ufficio, questione di legittimita\u0027 costituzionale,  in\nrelazione all\u0027art. 6,  comma  2,  CEDU,  quale  parametro  interposto\ndell\u0027art. 117, comma 1, Cost., in relazione agli articoli 3 e 4 della\ndirettiva 2016/UE/343 e art. 48 della Carta dei diritti  fondamentali\ndell\u0027U.E., quali parametri interposti degli articoli 11 e 117,  comma\n1, Cost., nonche\u0027 in relazione agli articoli 3 e 27, comma 2,  Cost.,\ncon riferimento all\u0027art. 578, comma 1, c.p.p.,  nella  parte  in  cui\nstabilisce  che,  quando  nei  confronti   dell\u0027imputato   e\u0027   stata\npronunciata  condanna,  anche  generica,  alle  restituzioni   o   al\nrisarcimento dei danni cagionati dal  reato,  a  favore  della  parte\ncivile, il giudice  di  appello  (o  la  Corte  di  cassazione),  nel\ndichiarare   estinto    il    reato    per    prescrizione,    decide\nsull\u0027impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della\nsentenza che concernono gli effetti civili, e  non  prevede,  invece,\nche, analogamente alla norma di cui  al  comma  1-bis  dell\u0027art.  578\nc.p.p., se l\u0027impugnazione non e\u0027 inammissibile, il giudice di appello\n(o la Corte di cassazione) rinviano per la prosecuzione al giudice  o\nalla sezione civile competente nello stesso grado, che decidono sulle\nquestioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e\nquelle eventualmente acquisite nel giudizio civile; \n    in  via  subordinata,   solleva,   di   ufficio,   questione   di\nlegittimita\u0027 costituzionale, in relazione all\u0027art. 6, comma 2,  CEDU,\nquale parametro interposto  dell\u0027art.  117,  comma  1,  Cost.,  e  in\nrelazione agli articoli 3 e 4 della direttiva 2016/UE/343 e  art.  48\ndella Carta  dei  diritti  fondamentali  dell\u0027U.E.,  quali  parametri\ninterposti degli articoli 11 e 117, comma 1, Cost.,  con  riferimento\nall\u0027art. 578, comma 1, c.p.p., per  come  interpretato  dal  «diritto\nvivente» rappresentato  dalle  sentenze  delle  Sezioni  Unite  della\nCassazione n. 35490/09 imp.    e  n.  36208/2024,     c/     ,  nella\nparte in cui si afferma che  «nel  giudizio  di  appello  avverso  la\nsentenza di\u0027 condanna dell\u0027imputato anche al risarcimento dei  danni,\nil  giudice,  intervenuta  nelle  more  l\u0027estinzione  del  reato  per\nprescrizione,  non  puo\u0027  limitarsi  a  prendere  atto  della   causa\nestintiva, adottando le conseguenti statuizioni  civili  fondate  sui\ncriteri enunciati dalla sentenza della Corte  costituzionale  n.  182\ndel 2021, ma e\u0027 comunque  tenuto,  stante  la  presenza  della  parte\ncivile,  a  valutare,  anche  a  fronte  di  prove  insufficienti   o\ncontraddittorie, la sussistenza dei presupposti per l\u0027assoluzione nel\nmerito». \n    Dispone  l\u0027immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte\ncostituzionale e la sospensione del presente giudizio. \n    Dispone  che  la  presente  ordinanza  sia  notificata  al   sig.\nPresidente del Consiglio dei ministri,  nonche\u0027  comunicata  al  sig.\nPresidente della Camera  dei  deputati  ed  al  sig.  Presidente  del\nSenato. \n    Manda alla cancelleria per gli adempimenti. \n      Cosi\u0027 deciso in Lecce all\u0027esito della Camera di  consiglio  del\n13 dicembre 2024 \n \n                      Il Presidente: Ottaviano \n \n \n                                           Il consigliere est: Biondi","elencoNorme":[{"id":"62403","ordinanza_anno":"","ordinanza_numero":"","ordinanza_numero_parte":"","cod_tipo_legge":"ppn","denominaz_legge":"codice di procedura penale","data_legge":"","data_nir":"","numero_legge":"","descrizionenesso":"","legge_articolo":"578","specificaz_art":"","comma":"1","specificaz_comma":"","descrizione_attributo":"","descrizione_cat_rn":"","id_qualificazione":"","descrizione_qualificazione":"","link_norma_attiva":""}],"elencoParametri":[{"id":"79071","ordinanza_numero_parte":"","tipo_lex_cost":"c","descriz_costit":"Costituzione","numero_legge":"","data_legge":"","articolo":"3","specificaz_art":"","comma":"","specificaz_comma":"","descrizionenesso":"","link_norma_attiva":"","unique_identifier":""},{"id":"79072","ordinanza_numero_parte":"","tipo_lex_cost":"c","descriz_costit":"Costituzione","numero_legge":"","data_legge":"","articolo":"11","specificaz_art":"","comma":"","specificaz_comma":"","descrizionenesso":"","link_norma_attiva":"","unique_identifier":""},{"id":"79073","ordinanza_numero_parte":"","tipo_lex_cost":"c","descriz_costit":"Costituzione","numero_legge":"","data_legge":"","articolo":"27","specificaz_art":"","comma":"2","specificaz_comma":"","descrizionenesso":"","link_norma_attiva":"","unique_identifier":""},{"id":"79074","ordinanza_numero_parte":"","tipo_lex_cost":"c","descriz_costit":"Costituzione","numero_legge":"","data_legge":"","articolo":"117","specificaz_art":"","comma":"1","specificaz_comma":"","descrizionenesso":"","link_norma_attiva":"","unique_identifier":""},{"id":"79075","ordinanza_numero_parte":"","tipo_lex_cost":"cedu","descriz_costit":"Convenzione per la salvaguardia diritti dell\u0027uomo e libertà fondamentali","numero_legge":"","data_legge":"","articolo":"6","specificaz_art":"par.2","comma":"","specificaz_comma":"","descrizionenesso":"","unique_identifier":""},{"id":"79076","ordinanza_numero_parte":"","tipo_lex_cost":"cue","descriz_costit":"Carta dei diritti fondamentali dell\u0027Unione europea","numero_legge":"","data_legge":"","articolo":"48","specificaz_art":"","comma":"","specificaz_comma":"","descrizionenesso":"","unique_identifier":""},{"id":"79077","ordinanza_numero_parte":"","tipo_lex_cost":"000074","descriz_costit":"direttiva UE","numero_legge":"343","data_legge":"09/03/2016","articolo":"3","specificaz_art":"","comma":"","specificaz_comma":"","descrizionenesso":"","unique_identifier":""},{"id":"79078","ordinanza_numero_parte":"","tipo_lex_cost":"000074","descriz_costit":"direttiva UE","numero_legge":"343","data_legge":"09/03/2016","articolo":"4","specificaz_art":"","comma":"","specificaz_comma":"","descrizionenesso":"","unique_identifier":""}],"elencoParti":[]}}"
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