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Riconoscimento dell’esonero contributivo, per i periodi di paga dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2026,\u0026nbsp;alle lavoratrici madri di tre o più figli con rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato e, per i periodi di paga dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2024, anche alle lavoratrici madri di due figli, con il medesimo rapporto di lavoro - Previsione che non riconosce l’esonero contributivo anche alle lavoratrici madri di tre o più figli (e, per i periodi di paga dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2024, anche alle lavoratrici madri di due figli) con rapporto di lavoro dipendente a tempo determinato – Previsione che esclude l’esonero contributivo per i rapporti di lavoro domestico – Denunciata previsione che determina un trattamento deteriore per le lavoratrici madri a tempo determinato rispetto a quelle a tempo indeterminato, benché le due categorie siano omogenee sul piano contributivo – Ingiustificato trattamento deteriore per le lavoratrici madri con rapporto di lavoro domestico, rispetto a tutte le altre lavoratrici madri a tempo indeterminato - Irragionevole disparità di trattamento –\u0026nbsp;Incidenza negativa sul piano della tutela della maternità e della famiglia -\u0026nbsp;Disposizione che confligge con la normativa europea di riferimento che impone il rispetto della parità di trattamento e del principio di non discriminazione – Disposizione, apparentemente neutra, che, ponendo in una situazione di particolare svantaggio le persone di nazionalità straniera, contrasta con il principio di parità di trattamento del cittadino straniero nelle condizioni di lavoro, come cristallizzato dalle norme europee di diritto derivato – Lesione dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario - Violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza.\u003c/p\u003e","prima_parte":"Associazione Avvocati Per Niente ONLUS e altri","prima_controparte":"INPS","altre_parti":"ANIEF, Associazione “Comma2 – Lavoro è dignità”, Istituto Nazionale della Previdenza Sociale - INPS, ASGI - Associazione studi giuridici sull\u0027immigrazione aps, APN Avvocati per niente onlus","testo_atto":"N. 217 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 ottobre 2024\n\r\nOrdinanza del 23 ottobre 2024 del Tribunale di Milano nel\nprocedimento civile promosso da Associazione Avvocati Per Niente\nOnlus e altri contro Istituto nazionale della previdenza sociale -\nINPS . \n \nPrevidenza - Lavoro - Rapporto di lavoro a tempo indeterminato -\n Riconoscimento dell\u0027esonero contributivo, per i periodi di paga dal\n 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2026, alle lavoratrici madri di tre\n o piu\u0027 figli con rapporto di lavoro dipendente a tempo\n indeterminato e, per i periodi di paga dal 1° gennaio 2024 al 31\n dicembre 2024, anche alle lavoratrici madri di due figli, con il\n medesimo rapporto di lavoro - Previsione che non riconosce\n l\u0027esonero contributivo anche alle lavoratrici madri di tre o piu\u0027\n figli (e, per i periodi di paga dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre\n 2024, anche alle lavoratrici madri di due figli) con rapporto di\n lavoro dipendente a tempo determinato - Previsione che esclude\n l\u0027esonero contributivo per i rapporti di lavoro domestico. \n- Legge 30 dicembre 2023, n. 213 (Bilancio di previsione dello Stato\n per l\u0027anno finanziario 2024 e bilancio pluriennale per il triennio\n 2024-2026), art. 1, commi 180 e 181. \n\n\r\n(GU n. 48 del 27-11-2024)\n\r\n \n TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO \n Sezione lavoro \n \n In persona del Giudice Franco Caroleo, a scioglimento della\nriserva, ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa iscritta al\nn. 6446 del Ruolo Generale per l\u0027anno 2024 \n \n tra: \n \n APN - Avvocati Per Niente ONLUS, in persona del legale\nrappresentante p.t., e ASGI - Associazione degli Studi Giuridici\nsull\u0027immigrazione, Maria Nicolai, Caterina Cottatellucci, Federica\nBernard ed Elena Belotti, con gli avv.ti Alberto Guariso, Livio Neri\ne Mara Marzolla - parti attrici; \n \n e \n \n INPS, in persona del legale rappresentante p.t., con l\u0027avv.\nGiulio Pecco - parte convenuta. \n1. L\u0027oggetto del ricorso. \n Con ricorso ex art. 28, decreto legislativo n. 150/2011 le parti\nattrici hanno chiesto: \n «Voglia il Tribunale, disattesa ogni contraria istanza in\naccoglimento delle domande delle signore Maria Nicolai, Caterina\nCottatellucci, Federica Bernard, Elena Belotti: \n a) accertare dichiarare il carattere discriminatorio della\ncondotta tenuta dall\u0027INPS consistente nell\u0027aver omesso di applicare\nalle ricorrenti il medesimo esonero contributivo applicato, ai sensi\ndell\u0027art. 1, commi 180 e 181, legge n. 213/2023, alle lavoratrici in\nidentiche condizioni con rapporto di lavoro a tempo indeterminato e\npertanto nell\u0027aver richiesto/ricevuto/trattenuto per contributi IVS\nuna quota della retribuzione che non viene invece\nrichiesta/ricevuta/trattenuta dalle lavoratrici con rapporto a temo\nindeterminato. E, conseguentemente, adottare ogni provvedimento\nnecessario al fine di rimuovere la predetta discriminazione e farne\ncessare gli effetti; e pertanto, occorrendo nell\u0027ambito del piano di\nrimozione di cui all\u0027art. 28, decreto legislativo n. 150/2011; \n b) ordinare all\u0027INPS di restituire alle ricorrenti sopra\nindicate gli importi trattenuti sulle retribuzioni maturate da\ngennaio 2024 per il titolo di cui sopra e di comunicare ai datori di\nlavoro delle stesse che detti importi non devono essere versati\nneppure per le mensilita\u0027 necessarie alla sentenza, fino a che\nsussistano le condizioni prevista dall\u0027art. 1, comma 180, legge n.\n213/2023; in accoglimento delle domande proposte da ASGI aps e APN\nOnlus; \n c) ove ritenuto necessario, dichiarare rilevante e non\nmanifestatamente infondata la questione di costituzionalita\u0027\ndell\u0027art. 1, commi 180 e 181, legge n. 181/2023 nella parte in cui\nlimitano l\u0027esonero contributivo ivi previsto alle sole lavoratrici\nmadri con contratto a tempo indeterminato e escludendo in ogni caso\nle lavoratrici con contratto di lavoro domestico, per violazione\ndegli articoli 3, 31, 117 della Costituzione, quest\u0027ultimo in\nrelazione alla clausola 4 dell\u0027accordo allegato alla direttiva\n1999/70, all\u0027art. 24, direttiva 2004/38, all\u0027art. 11, par. 1, lettera\na), direttiva 2003/109, art. 12, par. 1, lettera a), direttiva\n2011/98, all\u0027art. 16, par. 1, direttiva 2021/1883, nonche\u0027 all\u0027art.\n10 Convenzione OIL 143/75; e all\u0027esito del giudizio di\ncostituzionalita\u0027; \n d) accertare e dichiarare il carattere discriminatorio della\ncondotta tenuta dall\u0027INPS consistente nell\u0027aver omesso di applicare a\ntutte le lavoratrici con contratto di lavoro a tempo determinato e\nalle lavoratrici domestiche il medesimo esonero contributivo previsto\ndall\u0027art. 1, commi 180 e 181, legge n. 213/2023 e applicato alle\nlavoratrici in identiche condizioni soggettive con rapporto di lavoro\na tempo indeterminato e non domestico; e pertanto nell\u0027aver\nrichiesto/ricevuto/trattenuto da dette lavoratrici una quota per\ncontributi IVS che non viene invece richiesta/ricevuta/trattenuta\nalle lavoratrici con rapporto lavoro a tempo indeterminato e non\ndomestico. E conseguentemente, adottare ogni provvedimento necessario\nal fine di rimuovere la predetta discriminazione e farne cessare gli\neffetti e, pertanto, occorrendo nell\u0027ambito del piano di rimozione di\ncu all\u0027art. 28, decreto legislativo n. 150/2011; \n e) ordinare all\u0027INPS: \n di restituire a tutte le lavoratrici con rapporto di lavoro\na tempo determinato e con rapporto di lavoro domestico che si trovino\nnelle condizioni soggettive di cui all\u0027art. 1, commi 180 e 181, legge\nn. 213/2023 gli importi trattenuti per contributi IVS sulle\nretribuzioni maturate da gennaio 2024 per il titolo di cui sopra; \n di modificare sul punto sopra indicato la circolare n. 27\ndel 31 gennaio 2024 e ogni altra circolare o messaggio pertinente,\ncomunicando al pubblico sul proprio sito istituzionale e a mezzo\napposita circolare che l\u0027esenzione contributiva prevista dai predetti\ncommi deve trovare applicazione anche per le lavoratrici con\ncontratto a tempo determinato e con contratto di lavoro domestico che\nsi trovino nelle condizioni soggettive previste da detti commi; \n f) dato atto che statuizioni richieste sub e) attengono a\nobblighi di fare infungibili, condannare l\u0027amministrazione convenuta\na pagare alle associazioni ricorrenti, ai sensi dell\u0027art. 614-bis del\ncodice di procedura civile, euro 100,00 per ogni giorno di ritardo\nnell\u0027adempimento del predetto obbligo, a decorrere dal novantesimo\ngiorno successivo alla notifica della emananda sentenza; \n g) disporre la pubblicazione dell\u0027emananda sentenza sulla\nhome page del sito istituzionale dell\u0027amministrazione per minimo di\ngiorni trenta e/o o su uno o piu\u0027 quotidiani a tiratura nazionale che\nil Tribunale vorra\u0027 indicare. \n h) condannare l\u0027INPS a rifondere alle ricorrenti spese\ndiritti del presente procedimento (ivi compreso il rimborso del\ncontributo unificato) spese da distrarsi in favore dei procuratori\nche si dichiarano antistatari». \n In particolare, le attrici hanno denunciato il carattere\ndiscriminatorio della condotta tenuta dall\u0027INPS consistente nell\u0027aver\nomesso di applicare alle lavoratrici attrici (tutte madri con due o\ntre figli e assunte con contratti a tempo determinato) e, in\ngenerale, a tutte le lavoratrici con contratto di lavoro a tempo\ndeterminato e alle lavoratrici domestiche l\u0027esonero contributivo di\ncui ai commi 180 e 181, dell\u0027art. 1, legge n. 213/2023. \n Per questo, hanno chiesto l\u0027accertamento dell\u0027illegittimita\u0027 di\ntale norma nella parte in cui esclude dall\u0027esenzione contributiva le\nlavoratrici madri con contratto a termine e quelle con rapporto di\nlavoro domestico. \n A parere della difesa attorea, la discriminazione si\nsostanzierebbe sotto le seguenti concorrenti prospettive: \n a) per violazione dell\u0027obbligo di parita\u0027 di trattamento nelle\ncondizioni di lavoro tra lavoratrici a tempo determinato e\nlavoratrici a tempo indeterminato sancito dalla clausola 4, punto 1,\ndell\u0027accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE; \n b) per una discriminazione indiretta in danno delle lavoratrici\nstraniere (titolari di permessi di lavoro) che sono statisticamente\npresenti tra le lavoratrici a tempo determinato in percentuale\nnotevolmente piu\u0027 alta delle lavoratrici di cittadinanza italiana; \n c) perche\u0027, escludendo le lavoratrici domestiche, si avrebbe\nuna ulteriore discriminazione indiretta in danno delle lavoratrici\nstraniere (titolari di permessi di lavoro), che sono statisticamente\npresenti tra le lavoratrici di detto settore in percentuale\nnotevolmente piu\u0027 alta rispetto alle lavoratrici della cittadinanza\nitaliana; \n d) perche\u0027, in ogni caso, vi sarebbe un contrasto con gli\narticoli 3 e 31 della Costituzione. \n Su questa linea, l\u0027illegittimita\u0027 delle disposizioni censurate e\u0027\nstata fatta valere sotto due differenti profili: \n 1) quello della discriminazione individuale, in relazione alle\nattrici persone fisiche, in quanto «Costoro sono legittimate a\ncontestare la predetta norma in quanto si trovano (a parita\u0027 di ogni\naltra condizione, ivi compresi gli ditti sulla futura pensione) a\npercepire una retribuzione netta inferiore di almeno il 2% rispetto a\nquella percepita da una lavoratrice a tempo indeterminato» (cfr. pag.\n7 del ricorso); \n 2) quello della discriminazione collettiva, «in quanto i\nrequisiti che vengono dedotti come discriminatoti pongono\nindirettamente in una posizione di particolare svantaggio la\ncollettivita\u0027 indeterminata delle lavoratrici madri straniere con\nalmeno 2 figli (o 3 dal gennaio prossimo) che si trovano a percepire\nuna retribuzione netta inferiore del 2,19% o del 3,19% (a seconda del\nlivello retributivo5 ) rispetto a quella percepita da una lavoratrice\na tempo indeterminato per il solo 2024; e inferiore del 9,19% per i l\n2025 e 2026» (cfr. pag. 7 del ricorso). \n In tal senso, le parti attrici hanno sollevato questione di\nlegittimita\u0027 costituzionale dell\u0027art. 1, commi 180 e 181, legge n.\n213/2023: \n per violazione dell\u0027art. 117, comma 1, della Costituzione,\npoiche\u0027 la norma contestata, nel prevedere un trattamento meno\nfavorevole per le lavoratrici madri titolari di un rapporto di lavoro\na tempo determinato o di un contratto di lavoro domestico rispetto\nalle lavoratrici madri con rapporto di lavoro a tempo indeterminato,\nsi porrebbe in contrasto con la clausola 4, punto 1, dell\u0027accordo\nquadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, e, nell\u0027implicare una\ndiscriminazione indiretta in ragione della nazionalita\u0027 consistente\nnell\u0027esclusione delle lavoratrici a tempo determinato e delle\nlavoratrici domestiche (essendo ambiti lavorativi occupati da una\npercentuale di lavoratrici straniere notevolmente piu\u0027 alta rispetto\nalle lavoratrici di cittadinanza italiana), si porrebbe in contrasto\ncon le direttive dell\u0027Unione europea nn. 2004/38, 2003/109, 2011/98,\n2021/1883; \n per violazione dell\u0027art. 3 della Costituzione, per\nl\u0027irragionevolezza dell\u0027esclusione dall\u0027esonero contributivo delle\nlavoratrici madri con due figli titolari di un rapporto di lavoro a\ntempo determinato o di un contratto di lavoro domestico \n per violazione dell\u0027art. 31 della Costituzione, posto che,\nuna volta che l\u0027ordinamento abbia valutato come opportuno un\ndeterminato intervento a sostegno della famiglia e della maternita\u0027,\nnon puo\u0027 irragionevolmente escludere famiglie e madri che si trovino\nnella medesima condizione personale e familiare oggetto di tutela. \n2. Le difese dell\u0027INPS. \n L\u0027INPS si e\u0027 costituito in giudizio ed ha contestato le pretese\navversarie, eccependo in via preliminare il difetto di legittimazione\nattiva delle associazioni attrici e l\u0027inammissibilita\u0027 del ricorso. \n Con riferimento ai paventati dubbi di costituzionalita\u0027, a parere\ndell\u0027INPS: \n la norma oggetto di denuncia non crea alcuna disparita\u0027, non\navendo peraltro ne\u0027 finalita\u0027 sociale ne\u0027 finalita\u0027 di incentivo alla\nmaternita\u0027 ne\u0027 finalita\u0027 d\u0027incentivo alla partecipazione femminile\ngenerica al lavoro; \n essendo l\u0027assenza di stabilita\u0027 la caratteristica comune al\nlavoro a tempo determinato e al lavoro domestico, dovrebbe ritenersi\nche il legislatore abbia inteso incentivare la partecipazione\nfemminile al lavoro, ma non genericamente a qualsiasi lavoro, bensi\u0027\nal lavoro stabile; \n la misura prevista dichiaratamente non e\u0027 eccezionale ed e\u0027\ncollegata alla maternita\u0027, in quanto evento tipicamente femminile e\nche, tipicamente, costituisce una delle principali cause di\ndiscriminazione femminile sul lavoro; \n la non eccezionalita\u0027 della misura e il collegamento con la\nmaternita\u0027 sono volti a consolidare nelle donne e nei datori di\nlavoro l\u0027affidamento sulla serieta\u0027 della previsione e sulla sua non\ncaducita\u0027. \n3. Sull\u0027eccezione di difetto di legittimazione attiva. \n Preliminarmente va disattesa l\u0027eccezione, sollevata dall\u0027INPS, in\nordine al difetto di legittimazione attiva delle associazioni APN -\nAvvocati Per Niente ONLUS e ASGI - Associazione degli Studi Giuridici\nsull\u0027immigrazione. \n Ed invero, l\u0027art. 4, comma 3, 1egge n. 67/2006 prevede che: «le\nassociazioni e gli enti di cui al comma 1 sono altresi\u0027 legittimati\nad agire, in relazione ai comportamenti discriminatoti di cui ai\ncommi 2 e 3 dell\u0027art. 2, quando questi assumano carattere\ncollettivo». \n Orbene, la controversia in esame, nella parte azionata dalle\nassociazioni attrici, ha proprio ad oggetto una fattispecie volta\nall\u0027accertamento di una discriminazione collettiva nei confronti di\nsoggetti non direttamente e immediatamente individuabili (la\ngeneralita\u0027 delle lavoratrici straniere) ed e\u0027 stata promossa da\nassociazioni iscritte nell\u0027apposito elenco di cui all\u0027art. 5, decreto\nlegislativo n. 215/2003 (all. n. 11 al ricorso), tenuto peraltro\nconto delle loro previsioni statutarie (all. nn. 12-13 al ricorso) e\ndelle finalita\u0027 perseguite da esse. \n Del resto, secondo formai consolidato orientamento\ngiurisprudenziale «nella materia della tutela contro le\ndiscriminazioni collettive, la legittimazione ad agire in capo ad un\nsonetto collettivo non rappresenta un\u0027eccezione ma una regola\nfunzionale all\u0027esigenza di apprestare tutela, attraverso un rimedio\ndi natura inibitoria, ad una serie indeterminata di soggetti per\ncontrastare il rischio di una lesione avente natura diffusiva e che\npercio\u0027 deve essere, per quanto possibile, prevenuta o circoscritta\nnella propria portata offensiva (voci fazione prevista dal decreto\nlegislativo n. 215 del 2003, art. 5 per la repressione di\ncomportamenti discriminatori per ragioni di razza o di origine\netnica; quella di cui al decreto legislativo n. 9 luglio 2003, n.\n216, art. 4 recante l\u0027attuazione della dir. 2000/78/CE per la parita\u0027\ndi trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro;\nfazione di cui all\u0027art. 4 per la repressione di comportamenti\ndiscriminatori in danno di persone con disabilita\u0027, di cui alla legge\n1° marzo 2006, n. 6, recante misure per la tutela giudiziaria delle\npersone con disabilita\u0027 vittime di discriminazioni; fazione per\ncontrastare le discriminazioni per ragioni di sesso nell\u0027accesso a\nbeni e servizi e loro fornitura, di cui al decreto legislativo 11\naprile 2006, n. 198, art. 55-quinquies, recante il codice delle pari\nopportunita\u0027 tra uomo e donna, a norma della legge 28 novembre 2005,\nn. 246, art. 6); e) costituirebbe percio\u0027 una vistosa eccezione il\nmancato conferimento della legittimazione ad agire in capo ad un ente\nesponenziale in caso di discriminazione collettiva per il fattore\nnazionalita\u0027, non giustificabile, alla luce del fatto che esso\nrisulta, come si e\u0027 visto, fattore discriminatorio parimenti vietato\nin ogni campo della vita sociale (lavorativa ed extra-lavorativa) ai\nsensi dell\u0027art. 43 TU immigrazione. 10. Anche la giurisprudenza della\nCGUE, ha gia\u0027 sostenuto (Corte di Giustizia CE, Sez. 2, 10 luglio\n2008 - C-54/07) la rilevanza della discriminazione collettiva, sia\npure alla luce della Direttiva 2000/43/CE (che attua il principio\ndella parita\u0027 di trattamento fra le persone indipendentemente dalla\nrazza e dall\u0027origine etnica); riconoscendo, da una parte, che\nl\u0027esistenza di una discriminazione diretta «non presuppone un\ndenunciante identificabile che asserisca di essere stato vittima di\ntale discriminazione» (e pertanto riconoscendo che essa potesse\nessere fatta valere in giudizio alla luce del diritto nazionale da\nuna associazione collettiva), ed affermando, dall\u0027altra, che allo\nscopo sia sufficiente considerare la potenzialita\u0027 lesiva della\ncondotta denunciata) (Cass. n. 28745/2019). \n L\u0027eccezione va comunque respinta. \n4. Sull\u0027eccezione di inammissibilita\u0027 del ricorso. \n Neppure sembra cogliere nel segno l\u0027eccezione dell\u0027INPS in\nrelazione all\u0027asserita inammissibilita\u0027 del ricorso in quanto la\ncontribuzione non rientrerebbe tra le materie per cui e\u0027 azionabile\nil rimedio di cui all\u0027art. 28 decreto legislativo n. 150/2011. \n Ed invero, l\u0027art. 44, decreto legislativo n. 286/1998,\nespressamente menzionato dall\u0027art. 28, decreto legislativo n.\n150/2011, attiene a qualsiasi comportamento discriminatorio adottato\nda un privato o da una pubblica amministrazione. Inoltre, l\u0027art. 3,\ndecreto legislativo n. 216/2003, anch\u0027esso espressamente menzionato\ndall\u0027art. 28, decreto legislativo n. 150/2011, prevede tra le aree di\npertinenza anche «occupazione e condizioni di lavoro», in cui puo\u0027\nfarsi rientrare una misura come quella di causa che, pur riconoscendo\nun esonero contributivo, incide sulla retribuzione netta percepita. \n Tanto basta a respingere anche questa eccezione. \n5. La questione di legittimita\u0027 costituzionale. \n Avuto riguardo alle domande attoree, il Tribunale ritiene\nrilevante e non manifestamente infondata la sollevata questione di\nlegittimita\u0027 costituzionale dell\u0027art. 1, commi 180 e 181, legge n.\n213/2023 per le ragioni che si espongono di seguito. \n5.1. Con riferimento alla rilevanza della questione di legittimita\u0027\ncostituzionale. \n L\u0027art. 1, legge 30 dicembre 2023, n. 213, ai commi 180, 181 e 182\ndispone: \n «180. Fermo restando quanto previsto al comma 15, per i periodi\ndi paga dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2026 alle lavoratrici\nmadri di tre o piu\u0027 figli con rapporto di lavoro dipendente a tempo\nindeterminato, ad esclusione dei rapporti di lavoro domestico, e\u0027\nriconosciuto un esonero del 100 per cento della quota dei contributi\nprevidenziali per l\u0027invalidita\u0027, la vecchiaia e i superstiti a carico\ndel lavoratore fino al mese di compimento del diciottesimo anno di\neta\u0027 de/figlio piu\u0027 piccolo, nel limite massimo annuo di 3.000 euro\nriparametrato su base mensile. \n 181. L\u0027esonero di cui al comma 180 e\u0027 riconosciuto, in via\nsperimentale, per i periodi di paga dal 1° gennaio 2024 al 31\ndicembre 2024 anche alle lavoratrici madri di due figli con rapporto\ndi lavoro dipendente a tempo indeterminato, ad esclusione dei\nrapporti di lavoro domestico, fino al mese del compimento del decimo\nanno di eta\u0027 de/figlio piu\u0027 piccolo. \n 182. Per gli esoneri di cui ai commi 180 e 181 resta ferma\nl\u0027aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche». \n Con circolare n. 27 del 31 gennaio 2024 (all. n. 2 al ricorso)\nl\u0027INPS ha. fornito chiarimenti e adottato istruzioni operative in\nrelazione alle citate disposizioni, confermando tra l\u0027altro che le\nlavoratrici a tempo determinato e le lavoratrici domestiche sono\nescluse dal beneficio. \n Quanto alla situazione delle lavoratrici attrici, e\u0027 pacifico\nche: \n Maria Nicolai, assunta con contratto a tempo determinato alle\ndipendenze di Azione Solidale soc. coop. e madre di tre figli, nel\n2024 ha subito mensilmente una trattenuta del 9,19% della sua\nretribuzione a titolo di contributi INPS e, al contempo, una\n«restituzione» del 7% a titolo di «esonero contributi IVS»,\npercependo mediamente una retribuzione inferiore di euro 21,00\nrispetto a quella percepita, a parita\u0027 di ogni altra condizione, da\nuna lavoratrice a tempo indeterminato; \n Caterina Cottatellucci, Federica Bernard ed Elena Belotti,\ntutte assunte con contratto a tempo determinato alle dipendenze del\nMinistero dell\u0027Istruzione e madri di due figli, hanno subito\nmensilmente una trattenuta dell\u00278,8% su 118 della loro retribuzione a\ntitolo di contributi INPS-ex INPDAP e, al contempo, la «restituzione»\ndel 6% a titolo di «esonero contributi IVS», percependo cosi\u0027 una\nretribuzione inferiore del 2,8% (quindi mediamente euro 46,99 per\nciascuna) rispetto a quella percepita, a parita\u0027 di ogni altra\ncondizione, da una lavoratrice a tempo indeterminato. \n Con il ricorso introduttivo del presente procedimento le parti\nattrici, tra le altre cose, hanno chiesto al Tribunale di ordinare\nall\u0027INPS: \n a) di restituire a tutte le lavoratrici con rapporto di lavoro\na tempo determinato e con rapporto di lavoro domestico che si trovino\nnelle condizioni soggettive di cui all\u0027art. 1, commi 180 e 181, legge\nn. 213/2023 gli importi trattenuti per contributi IVS sulle\nretribuzioni maturate da gennaio 2024; \n b) di modificare la circolare n. 27 del 31 gennaio 2024 e ogni\naltra circolare o messaggio pertinente, nella parte in cui escludono\nl\u0027applicazione dell\u0027esonero contributivo per le lavoratrici con\nrapporto di lavoro a tempo determinato e con rapporto di lavoro\ndomestico, comunicando al pubblico sul proprio sito istituzionale e a\nmezzo apposita circolare che l\u0027esenzione contributiva deve trovare\napplicazione anche per le lavoratrici con contratto a tempo\ndeterminato e con contratto di lavoro domestico che si trovino nelle\ncondizioni soggettive previste dall\u0027art. 1, commi 180 e 181, legge n.\n213/2023. \n Le domande cosi\u0027 formulate appaiono quindi tese a impedire il\nripetersi de futuro di discriminazioni che possano coinvolgere\nqualsiasi lavoratrice madre con rapporto di lavoro a tempo\ndeterminato o con rapporto di lavoro domestico, attraverso la\nrimozione delle disposizioni contenute nella circolare INPS n. 27 del\n31 gennaio 2024, che sono sostanzialmente riproduttive della norma\nlegislativa oggetto di censura. \n Proprio in ragione di cio\u0027, il presente giudizio non puo\u0027 essere\ndefinito indipendentemente dalla risoluzione della questione di\nlegittimita\u0027 costituzionale, tenuto conto che, in presenza di un\ncontrasto con norme del diritto dell\u0027Unione europea aventi efficacia\ndiretta, non risulta percorribile la via della disapplicazione della\nnorma interna. \n Infatti, come chiarito nella sentenza della Corte costituzionale\nn. 1512024, nell\u0027ambito di un giudizio ex art. 28 del decreto\nlegislativo n. 150 del 2011 in cui si discuta di norme legislative e\nregolamentari in contrasto (anche) con norme del diritto dell\u0027Unione\neuropea dotate di efficacia diretta: da un lato, il giudice ordinario\npuo\u0027 impartire un ordine di rimozione delle discriminazioni accertate\na tutela del bene della vita delle parti attrici, dando piena e\nimmediata attuazione al diritto dell\u0027Unione europea; dall\u0027altro lato,\npero\u0027, se il giudice ordinario intende impedire il ripetersi de\nfuturo di discriminazioni identiche o analoghe che possano\ncoinvolgere qualsiasi altro soggetto che si trovi nelle medesime\ncondizioni, deve sollevare questione di legittimita\u0027 costituzionale\nsulle norme legislative ritenute incompatibili con le norme di\ndiritto dell\u0027Unione europea aventi efficacia diretta. \n In tal senso, la Corte costituzionale ha affermato che, laddove\nla norma regolamentare sia sostanzialmente riproduttiva di norma\nlegislativa, ordinarne la rimozione, con effetti che travalicano il\ncaso che ha originato il giudizio antidiscriminatorio, implica che\nsia sollevata questione di legittimita\u0027 costituzionale sulla seconda\n(cfr. Corte costituzionale n. 1512024: «In particolare, nell\u0027ambito\ndel giudizio ex art. 28 del decreto legislativo n. 150 del 2011, la\nprimaute\u0027 e\u0027 garantita dal giudice ordinario innanzitutto allorche\u0027\ne\u0027 chiamato ad accertare l\u0027esistenza dell\u0027asserita discriminazione.\nE\u0027 in questo momento del giudizio che egli, ove accerti che la\ncondotta per cui e\u0027 causa trova fondamento in atti normativi\nincompatibili con normativa dell\u0027Unione europea a efficacia diretta,\nda\u0027 immediata applicazione a quest\u0027ultima e ordina la cessazione\ndella discriminazione. \n Nel giudizio dinanzi al Tribunale di Udine, il giudice ha\nritenuto, per l\u0027appunto, che fosse discriminatoria e in contrasto con\nl\u0027art. 11 della direttiva 2003/109/CE l\u0027impossibilita\u0027 per i\nricorrenti di avvalersi, per attestare l\u0027impossidenza di immobili, di\nuna dichiarazione sostitutiva ai sensi del decreto del Presidente\ndella Repubblica n. 445 del 2000. Conseguentemente, e correttamente,\nnon ha applicato la normativa legislativa e regolamentare che prevede\ndetta impossibilita\u0027 e, in diretta applicazione della richiamata\nnormativa europea, ha ordinato di valutare la domanda dei ricorrenti\n- volta a ottenere il contributo per l\u0027acquisto dell\u0027alloggio da\ndestinare a prima casa - «come se la documentazione attestante\nl\u0027impossidenza di altri immobili fosse stata regolarmente prodotta in\nbase agli stessi criteri valevoli per i cittadini comunitari». E\u0027 in\nquesto momento del giudizio che il Tribunale di Udine, adottando il\npredetto ordine, ha a pieno garantito i principi del primato e\ndell\u0027effetto diretto del diritto dell\u0027Unione europea. \n L\u0027impartito ordine di rimuovere l\u0027art. 12, comma 3-bis, del\nregolamento regionale n. 0144 del 2016, che sostanzialmente riproduce\nl\u0027art. 29, comma 1-bis, della legge regionale Friuli-Venezia Giulia\nn. 1 del 2016, costituisce, invece, il piano di rimozione delle\ndiscriminazioni accertate che il Tribunale di Udine ha ritenuto di\ndover adottare. Una volta attribuito il bene della vita ai\nricorrenti, dando piena e immediata attuazione al diritto dell\u0027Unione\neuropea, il giudice ha inteso poi impedire il ripetersi di\ndiscriminazioni identiche o analoghe che possano coinvolgere non\ntanto i ricorrenti, ma qualsiasi altro soggetto che si trovi nelle\nmedesime condizioni. \n In quest\u0027ambito del giudizio non viene piu\u0027 in rilievo l\u0027esigenza\nche il diritto dell\u0027Unione europea dotato di efficacia diretta trovi\nimmediata applicazione (Corte di giustizia, sentenza 22 giugno 2010,\nin cause C-188/10, Melki e C-189/10, Abdeli), perche\u0027 tale esigenza\ne\u0027 stata, appunto, gia\u0027 pienamente soddisfatta. Qui viene in gioco,\ninvece, una logica interna all\u0027ordinamento nazionale che, con una\nforma rimediale peculiare e aggiuntiva, e\u0027 funzionale a garantire\nun\u0027efficace rimozione, anche pro futuro, della discriminazione: il\nche peraltro, quando sia stata rilevata un\u0027incompatibilita\u0027 con il\ndiritto dell\u0027Unione europea, fa dell\u0027art. 28 del decreto legislativo\nn. 150 del 2011 uno strumento che garantisce anche l\u0027uniforme\napplicazione di tale diritto e che contribuisce alla «costruzione di\ntutele sempre piu\u0027 integrate» (sentenza n. 67 del 2022). \n In quest\u0027ottica, laddove la norma regolamentare sia\nsostanzialmente riproduttiva di norma legislativa, ordinarne la\nrimozione implica che sia sollevata questione di legittimita\u0027\ncostituzionale sulla seconda. La non applicazione per contrasto con\nil diritto dell\u0027Unione europea a efficacia diretta - necessaria per\nl\u0027attribuzione immediata del bene della vita negato sulla base\ndell\u0027accertata discriminazione - non rimuove, infatti, la legge\ndall\u0027ordinamento con immediata efficacia erga omnes, ma impedisce\nsoltanto «che tale norma venga in rilievo per la definizione della\ncontroversia innanzi al giudice nazionale» (sentenza n. 170 del\n1984). L\u0027ordine di rimozione della norma regolamentare - che proietta\ni suoi effetti, per espressa scelta del legislatore compiuta con\nl\u0027art. 28 del decreto legislativo n. 150 del 2011, oltre il caso che\nha originato il giudizio antidiscriminatorio - richiede, allora, che\nsia dichiarata l\u0027illegittimita\u0027 costituzionale della legge, la quale,\nancorche\u0027 non applicata nel caso concreto, e\u0027 ancora vigente,\nefficace e, sia pure in ipotesi erroneamente, suscettibile di\napplicazione da parte della pubblica amministrazione o anche di altri\ngiudici che ne valutino diversamente la compatibilita\u0027 con il diritto\ndell\u0027Unione europea. \n Sono, dunque, tanto l\u0027ordinato funzionamento del sistema delle\nfonti interne - e, nello specifico, i rapporti tra legge e\nregolamento regionali anche in relazione al diritto dell\u0027Unione\neuropea - quanto l\u0027esigenza che i piani di rimozione della\ndiscriminazione siano efficaci a richiedere che il giudice ordinario,\nse correttamente intenda ordinare la rimozione di una norma\nregolamentare al fine di evitare il riprodursi della discriminazione\nde futuro, sollevi questione di legittimita\u0027 costituzionale sulla\nnorma legislativa sostanzialmente riprodotta dall\u0027atto regolamentare,\nanche dopo che si sia accertata l\u0027incompatibilita\u0027 di dette norme\ninterne con norme di diritto dell\u0027Unione europea aventi efficacia\ndiretta. \n E lo stesso discorso non puo\u0027 che valere in una fattispecie, come\nquella di causa, afferente ad una circolare di un ente pubblico\nriproduttiva di norma legislativa (in contrasto con la normativa\neuropea) e al comportamento dell\u0027ente che si e\u0027 conformato a tale\nnorma. \n Infatti, solo una pronuncia di illegittimita\u0027 costituzionale\nconsentirebbe di rimuovere la norma dall\u0027ordinamento con immediata\nefficacia erga omnes ed evitare cosi\u0027 il riprodursi della\ndiscriminazione de futuro (finalita\u0027, questa, evidentemente collegata\nalle pretese azionate nel presente giudizio). \n5.2. Con riferimento alla non manifesta infondatezza della questione\ndi legittimita\u0027 costituzionale. \n L\u0027art. 1, commi 180 e 181, legge n. 213/2023 pone dubbi di\nlegittimita\u0027 costituzionale in due parti: \n 1) nella parte in cui non riconosce l\u0027esonero contributivo\nanche alle lavoratrici madri di tre o piu\u0027 figli (e, per i periodi di\npaga dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2024, anche alle lavoratrici\nmadri di due figli) con rapporto di lavoro dipendente a tempo\ndeterminato; \n 2) nella parte in cui esclude l\u0027esonero contributivo per i\nrapporti di lavoro domestico. Il Tribunale non ritiene che la\nquestione di legittimita\u0027 costituzionale sia manifestamente infondata\ncon riguardo ad entrambe le parti. \n Deve allora procedersi ad un esame distinto delle due parti della\nnorma impugnata, si da evidenziare le disposizioni della Costituzione\nche si assumono violate. \n 5.2.1. In relazione al mancato riconoscimento dell\u0027esonero\ncontributivo alle lavoratrici madri a tempo determinato. \n 5.2.1.1. Violazione dell\u0027art. 3 della Costituzione \n Con riferimento alla parte della norma impugnata che limita\nl\u0027esonero contributivo alle lavoratrici con rapporto di lavoro a\ntempo indeterminato e non lo estende anche a quelle con rapporto di\nlavoro a tempo determinato, si ritiene che il parametro di\nriferimento debba essere individuato anzitutto nell\u0027art. 3 della\nCostituzione, per l\u0027ingiustificata e irragionevole disparita\u0027 di\ntrattamento. \n Non sembra infatti potersi giustificare, alla stregua dell\u0027art. 3\ndella Costituzione, che le lavoratrici madri a tempo determinato\nsiano trattate in modo deteriore rispetto alle lavoratrici madri a\ntempo indeterminato, tenuto conto che si tratta di due categorie, sul\npiano contributivo, sostanzialmente omogenee. \n Del resto, come rilevato in ricorso, il beneficio previsto dalla\nnorma non ha alcuna incidenza sul regime legale di previdenza sociale\n(che rimane identico per le due tipologie di contratto qui\nconsiderate), ma incide esclusivamente sulla retribuzione netta\npercepita, a parita\u0027 di ogni altra condizione, «sottraendo» alla sola\nlavoratrice a tempo determinato una quota della retribuzione stessa,\nche viene invece lasciata nella retribuzione della lavoratrice a\ntempo indeterminato. \n Peraltro, il beneficio, diversamente da quello previsto dal comma\n15 del medesimo art. 1 («In via eccezionale, per i periodi di paga\ndal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2024, per i rapporti di lavoro\ndipendente, con esclusione dei rapporti di lavoro domestico, e\u0027\nriconosciuto un esonero, senza effetti sul rateo di tredicesima,\nsulla quota dei contributi previdenziali per l\u0027invalidita\u0027, la\nvecchiaia e i superstiti a carico del lavoratore di 6 punti\npercentuali, a condizione che la retribuzione imponibile, parametrata\nsu base mensile per tredici mensilita\u0027, non ecceda l\u0027importo mensile\ndi 2.692 euro, al netto del rateo di tredicesima, opera per qualsiasi\nretribuzione (anche una retribuzione elevata gode dello sconto\ncontributivo, se pure solo fino al limite di 3.000,00 euro). \n Inoltre, non puo\u0027 dirsi (come pure confermato dall\u0027INPS) che la\nfinalita\u0027 della norma sia quella di incentivo all\u0027assunzione a tempo\nindeterminato, dacche\u0027 il beneficio e\u0027 riconosciuto anche alle\nlavoratrici a tempo indeterminato gia\u0027 assunte. \n Ne\u0027 il carattere di stabilita\u0027 dei contratti di lavoro a tempo\nindeterminato potrebbe valere ex se a giustificare la previsione in\nesame: al contrario, sembrerebbe piu\u0027 ragionevole attribuire il\nbeneficio contributivo (con effetti diretti di natura retributiva)\nalle lavoratrici precarie, che hanno minori certezze lavorative e\ndispongono mediamente di retribuzioni piu\u0027 basse rispetto alle\nlavoratrici a tempo indeterminato. \n 5.2.1.2. Violazione dell\u0027art. 31 della Costituzione \n Neppure sembra manifestamente infondata la deduzione relativa\nalla paventata violazione dell\u0027art. 31 della Costituzione, per come\nprospettato dalla difesa attorea. \n Ed invero, la norma impugnata risulterebbe garantire alla\nmaternita\u0027 e alla famiglia numerosa di una donna, con contratto di\nlavoro a tempo indeterminato una protezione diversa (e migliore)\nrispetto a quelle di una donna con contratto di lavoro a tempo\ndeterminato. \n L\u0027irragionevolezza dell\u0027esclusione dal beneficio delle\nlavoratrici madri a tempo determinato finisce quindi per incidere\nnegativamente sul piano delle tutele della maternita\u0027 e della\nfamiglia, implicando cosi\u0027 anche la violazione dell\u0027art. 31 della\nCostituzione. \n 5.2.1.3. Violazione dell\u0027art. 117, comma 1, della Costituzione\nper contrasto con la clausola 4, punto 1, dell\u0027accordo quadro\nallegato alla direttiva 1999/70/CE \n Oltre alla violazione degli articoli 3 e 31 della Costituzione,\nsembra poi venire in rilievo anche la violazione dell\u0027art. 117, comma\n1, della Costituzione in relazione ai vincoli derivanti\ndall\u0027ordinamento dell\u0027Unione europea. \n Ed invero, la clausola 4, punto 1, dell\u0027accordo quadro allegato\nalla direttiva 1999/70/CE prevede che «Per quanto riguarda le\ncondizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono\nessere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo\nindeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o\nrapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano\nragioni oggettive». \n Detta clausola, dunque, sancisce il divieto, per quanto riguarda\nle condizioni di impiego, di trattare i lavoratori a tempo\ndeterminato in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo\nindeterminato che si trovano in una situazione comparabile, per il\nsolo fatto che essi lavorano a tempo determinato, a meno che non\nsussistano ragioni oggettive. \n Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia dell\u0027Unione\neuropea, la direttiva 1999/70 e l\u0027accordo quadro trovano applicazione\nnei confronti di tutti i lavoratori che forniscono prestazioni\nretribuite nell\u0027ambito di un rapporto di impiego a tempo determinato\nche li vincola al loro datore di lavoro (cfr. CGUE ordinanza del 22\nmarzo 2018, Centeno Melendez, C-315/17, EU:C:2018:207, punto 38 e\ngiurisprudenza ivi citata). \n Per quanto riguarda la nozione di «condizioni di impiego» ai\nsensi della citata clausola 4, punto 1, dalla giurisprudenza della\nCorte di giustizia risulta che il criterio decisivo per determinare\nse una misura rientri in tale nozione e\u0027 proprio quello dell\u0027impiego,\nvale a dire il rapporto di lavoro sussistente tra un lavoratore e il\nsuo datore di lavoro (cfr. CGUE sentenza del 5 giugno 2018, Grupo\nNorte Facility, C-574/16, EU:C:2018:390, punto 41 e giurisprudenza\nivi citata; sentenza del 20 giugno 2019, Ustariz Arostegui, C-72/18,\nEU:C:2019:516, punto 25 e giurisprudenza ivi citata). \n La CGUE ha pertanto ritenuto che rientrino in detta nozione, tra\nl\u0027altro, le indennita\u0027 triennali per anzianita\u0027 di servizio (v., in\ntal senso, sentenza del 22 dicembre 2010, Gavieiro Gavieiro e\nIglesias Torres, C-444/09 e C-456/09, EU:C:2010:819, punto 50, e\nordinanza del 18 marzo 2011, Montoya Medina, C-273/10, non\npubblicata, EU:C:2011:167, punto 32), le indennita\u0027 sessennali per\nformazione continua (v., in tal senso, ordinanza del 9 febbraio 2012,\nLorenzo Martinez, C-556/11, non pubblicata, EU:C:2012:67, punto 38),\nla partecipazione a un piano di valutazione professionale e\nl\u0027incentivo economico che ne consegue in caso di valutazione positiva\n(ordinanza del 21 settembre 2016, Alvarez Santirso, C-631/15,\nEU:C:2016:725, punto 36), nonche\u0027 la partecipazione a una carriera\nprofessionale orizzontale che da\u0027 luogo a un\u0027integrazione salariale\n(ordinanza del 22 marzo 2018, Centeno Melendez, C-315/17, non\npubblicata, EU:C:2018:207, punto 47). \n Peraltro, «la clausola 4 dell\u0027accordo quadro dev\u0027essere intesa\nnel senso che esprime un principio di diritto sociale comunitario che\nnon puo\u0027 essere intepretato in modo restrittivo (v. citata sentenza\nDel Cerro Alonso, punto 38). \n Come hanno fatto valere sia l\u0027Impact sia la Commissione,\nun\u0027interpretazione della clausola 4 dell\u0027accordo quadro che\nescludesse categoricamente dalla nozione di \"condizioni di impiego\"\nai sensi di quest\u0027ultima le condizioni finanziarie come quelle\nrelative alle retribuzioni ed alle pensioni equivarrebbe a ridurre,\nin spregio dell\u0027obiettivo assegnato alla suddetta clausola, l\u0027ambito\ndella protezione accordata ai lavoratori interessati contro le\ndiscriminazioni, introducendo una distinzione, fondata sulla natura\ndelle condizioni di impiego, che i termini di tale clausola non\nsuggeriscono affatto. \n Del resto, come ha rilevato l\u0027avvocato generale al paragrafo 161\ndelle sue conclusioni, un\u0027interpretazione siffatta condurrebbe a\nprivare di senso il riferimento, operato alla clausola 4, punto 2,\ndell\u0027accordo quadro, al principio del pro rata temporis, la cui\napplicabilita\u0027 e\u0027 concepibile per definizione solo in presenza di\nprestazioni divisibili come quelle derivanti da condizioni di impiego\nfinanziarie, connesse, ad esempio, alle retribuzioni ed alle\npensioni» (cfr. CGUE sentenza Impact 15 aprile 2008 C-268/06). \n Inoltre, si deve ricordare che, secondo la giurisprudenza\ncostante della Corte di giustizia dell\u0027Unione europea, il principio\ndi non discriminazione, di cui la clausola 4, punto 1, dell\u0027accordo\nquadro costituisce un\u0027espressione specifica, richiede che situazioni\nparagonabili non siano trattate in maniera diversa e che situazioni\ndiverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che tale\ntrattamento non sia oggettivamente giustificato (cfr. CGUE sentenza\ndel 5 giugno 2018, Grupo Norte Facility, C-574/16, EU:C:2018:390,\npunto 46 e giurisprudenza ivi citata). \n In tal senso, al fine di valutare se le persone interessate\nesercitino un lavoro identico o simile nel senso dell\u0027accordo quadro,\noccorre stabilire, conformemente alla clausola 3, punto 2, e alla\nclausola 4, punto 1, dell\u0027accordo quadro, se, tenuto conto di un\ninsieme di fattori, come la natura del lavoro, le condizioni di\nformazione e le condizioni di impiego, si possa ritenere che tali\npersone si trovino in una situazione comparabile (cfr. CGUE sentenza\ndel 5 giugno 2018, Grupo Norte Facility, C-574/16, EU:C:2018:390,\npunto 48 e giurisprudenza ivi citata). \n Tanto evidenziato, occorre rilevare che, nel caso di specie, le\nlavoratrici attrici e i soggetti per cui le associazioni attrici\ninvocano tutela, in quanto titolari di rapporti contrattuali a tempo\ndeterminato, rientrano certamente nella nozione di «lavoratore a\ntempo determinato». \n Allo stesso modo, non pare potersi dubitare del fatto che\nl\u0027esonero contributivo di cui ai commi 180 e 181 dell\u0027art. 1 della\nlegge n. 213/2023 sia riconosciuto proprio in ragione del rapporto di\nlavoro, cosicche\u0027 la sua previsione deve essere considerata una\n«condizione di impiego», ai sensi della clausola 4, punto 1,\ndell\u0027accordo quadro. \n Del resto, come condivisibilmente evidenziato dalla difesa\nattorea, il beneficio previsto dalla norma non ha alcuna incidenza\nsul regime legale di previdenza sociale (che rimane identico per le\ndue tipologie di contratto qui considerate), ma incide esclusivamente\nsulla retribuzione netta percepita, a parita\u0027 di ogni altra\ncondizione, «sottraendo» alla sola lavoratrice a tempo determinato\nuna quota della retribuzione stessa, che viene invece lasciata nella\nretribuzione della lavoratrice a tempo indeterminato. \n Lo sgravio contributivo e\u0027 poi connesso alla sussistenza di un\nrapporto di lavoro dipendente (a tempo indeterminato) e la\nsussistenza di tale rapporto di impiego costituisce la «condizione\noggettiva» per l\u0027accesso alla misura di miglior favore: in assenza di\nimpiego, lo sgravio non e\u0027 applicabile e, in costanza di impiego,\nrisulta parametrato (entro certi limiti) alla retribuzione percepita\ndalle lavoratrici. \n Sussistono dunque i caratteri richiesti dalla giurisprudenza\neuropea al fine della qualificazione quale «condizioni di impiego»\n(cfr. CGUE sentenza 20 giugno 2019, n. C-72/18, Arostegui). \n Quanto poi alla comparabilita\u0027 tra lavoratrici assunte con\ncontratti di lavoro a tempo determinato e lavoratrici assunte con\ncontratti di lavoro a tempo indeterminato, la stessa non puo\u0027 che\nessere convalidata, tenuto conto che non vi sono fattori di\ndiversita\u0027 sul piano della natura del lavoro o delle condizioni\nimpiego, esistendo invece una differenza di trattamento in quanto le\nlavoratrici a tempo determinato non beneficiano dell\u0027esonero di\ncausa. \n Ne\u0027, tantomeno, si rinvengono ragioni oggettive, ai sensi della\nclausola 4, punto 1, dell\u0027accordo quadro, che giustifichino questa\ndifferenza di trattamento. \n Tali elementi potrebbero risultare, segnatamente, dalla\nparticolare natura delle funzioni per l\u0027espletamento delle quali sono\nstati conclusi contratti a tempo determinato e dalle caratteristiche\ninerenti alle medesime o, eventualmente, dal perseguimento di una\nlegittima finalita\u0027 di politica sociale di uno Stato membro (cfr.\nCGUE sentenza del 20 giugno 2019, Ustariz Arostegui, C-72/18,\nEU:C:2019:516, punto 40 e giurisprudenza ivi citata). \n Tuttavia, nel caso in esame, si scorge esclusivamente il\nriferimento alla mera natura temporanea della prestazione delle\nlavoratrici con contratto a tempo determinato. \n E tale riferimento non e\u0027 conforme ai menzionati requisiti e non\npuo\u0027 costituire di per se\u0027 una ragione oggettiva, ai sensi della\nclausola 4, punto 1, dell\u0027accordo quadro: «Infatti, ammettere che la\nmera natura temporanea di un rapporto di lavoro basti a giustificare\nuna differenza di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e\nlavoratori a tempo indeterminato priverebbe del loro contenuto gli\nscopi della direttiva n. 1999/70 e dell\u0027accordo quadro ed\nequivarrebbe a perpetuare ,ma situazione svantaggiosa per i\nlavoratori a tempo determinato» (CGUE sentenza dell\u00278 settembre 2011,\nRosado Santana, C-177/10, EU:C:2011:557, punto 74 e giurisprudenza\nivi citata; confermata successivamente da sentenza del 20 giugno\n2019, Ustariz Arostegui, C-72/18, EU:C:2019:516). \n E\u0027 allora evidente che l\u0027avere riferito l\u0027esonero contributivo\nsolamente alla durata del rapporto contrattuale non consente di\nescludere da un\u0027identica applicazione di esso quelle lavoratrici a\ntempo determinato il cui lavoro, secondo l\u0027ordinamento, abbia analoga\ntaratura. \n L\u0027art. 1, commi 180 e 181, legge n. 213/2023, nella parte in cui\nnon riconosce l\u0027esonero contributivo anche alle lavoratrici madri di\ntre o piu\u0027 figli (e, per i periodi di paga dal 1° gennaio 2024 al 31\ndicembre 2024, anche alle lavoratrici madri di due figli) con\nrapporto di lavoro dipendente a tempo determinato, sembra dunque\nporsi in contrasto con il principio di parita\u0027 di trattamento di cui\nalla clausola 4, punto 1, dell\u0027accordo quadro allegato alla direttiva\n1999/70/CE, cosi\u0027 da comportare una violazione dell\u0027art. 117, comma\n1, della Costituzione. \n 5.2.1.4. Violazione dell\u0027art. 117, comma 1, della Costituzione\nper contrasto con il principio di parita\u0027 di trattamento del\ncittadino straniero nelle condizioni di lavoro (discriminazione\nindiretta) \n La violazione dell\u0027art. 117, comma 1, della Costituzione sembra\nravvisabile anche in relazione ad un altro parametro di matrice\neuropea. \n Ed invero, l\u0027ordinamento europeo riconosce da tempo il principio\ndi parita\u0027 di trattamento del cittadino straniero nelle condizioni di\nlavoro. \n Cio\u0027 emerge: \n dall\u0027art. 24 direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e\ndel Consiglio del 29 aprile 2004 per i cittadini dell\u0027Unione europea\n(«1. Fatte salve le disposizioni specifiche espressamente previste\ndal trattato e dal diritto derivato, ogni cittadino dell\u0027Unione che\nrisiede, in base alla presente direttiva, nel territorio dello Stato\nmembro ospitante gode di pari trattamento rispetto ai cittadini di\ntale Stato nel campo di applicazione del trattato»); \n dall\u0027art. 11, lettera a), direttiva 2003/109 /CE del\nConsiglio del 25 novembre 2003 per i cittadini di paesi terzi che\nsiano soggiornanti di lungo periodo («1. Il soggiornante di lungo\nperiodo gode dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per\nquanto riguarda: a) l\u0027esercizio di un\u0027attivita\u0027 lavorativa\nsubordinata o autonoma, purche\u0027 questa non implichi nemmeno in via\noccasionale la partecipazione all\u0027esercizio di pubblici poteri,\nnonche\u0027 le condizioni di assunzione e lavoro, ivi comprese quelle di\nlicenziamento e di retribuzioni»); \n dall\u0027art. 12, lettera a), direttiva 2011 /98/UE del\nParlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011 per i\ntitolari di permesso unico lavoro («1. I lavoratori dei paesi terzi\ndi cui all\u0027art. 3, paragrafo 1, lettere b e c), beneficiano dello\nstesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui\nsoggiornano per quanto concerne: a) le condizioni di lavoro, tra cui\nla retribuzione e il licenziamento nonche\u0027 la salute e la sicurezza\nsul luogo di lavoro»); \n dall\u0027art. 16, lettera a), direttiva 2021/1883/UE del\nParlamento europeo e del Consiglio del 20 ottobre 2021 per i titolari\ndi Carta blu UE («1. I titolari di Carta blu UE beneficiano di un\ntrattamento uguale a quello riservato ai cittadini dello Stato membro\nche ha rilasciato la Carta blu UE per quanto concerne: a) le\ncondizioni di impiego, compresa l\u0027eta\u0027 minima di ammissione al\nlavoro, e le condizioni di lavoro, tra cui la retribuzione e il\nlicenziamento, l\u0027orario di lavoro, le ferie e i giorni festivi,\nnonche\u0027 le prescrizioni relative alla salute e alla sicurezza sul\nluogo di lavoro»). \n Con particolare riferimento alla direttiva 2011/98/UE, vale la\npena ricordare quanto evidenziato dalla Corte costituzionale nella\nrecente sentenza n. 54/2022: «Nel sistema delineato dalla direttiva\n2011/98/UE, il diritto alla parita\u0027 di trattamento rappresenta la\nregola generale, cui gli Stati membri possono apportare deroghe solo\nentro limiti rigorosi. All\u0027interpretazione restrittiva delle\npossibili deroghe fa riscontro la necessita\u0027 che gli Stati membri\nmanifestino in modo inequivocabile la volonta\u0027 di limitare\nl\u0027applicazione della parita\u0027 di trattamento (Corte di giustizia\ndell\u0027Unione europea, sentenze 25 novembre 2020, nella causa C-302/19,\nIstituto nazionale della previdenza sociale, punto 27, e 21 giugno\n2017, nella causa C449/16, Kerly Del Rosario Martinez Silva, punto\n29). \n L\u0027onere di dichiarazione espressa di eventuali deroghe, nel corso\ndell\u0027attivita\u0027 di trasposizione, emerge dal sistema normativo,\nconsiderato nel suo insieme e nelle finalita\u0027 che lo ispirano. Esso\nsi correla non soltanto alla salvaguardia dell\u0027effetto utile della\ndirettiva, ma anche a una fruttuosa e trasparente fase di\nrecepimento, che lo stesso legislatore: dell\u0027Unione europea vuole\ncontraddistinta dall\u0027impegno degli Stati membri a una costante\ninterlocuzione con la Commissione e alla «modifica delle loro misure\ndi recepimento con uno o piu\u0027 documenti intesi a chiarire il rapporto\ntra gli elementi di una direttiva e le parti corrispondenti degli\nstrumenti nazionali di recepimento» (considerando n. 32 della\ndirettiva 2011/98/UE). \n La Corte di giustizia dell\u0027Unione europea, nella piu\u0027 volte\nrichiamata sentenza del 2 settembre 2021, ha ricordato che la\nRepubblica italiana non si e\u0027 avvalsa in alcun modo della facolta\u0027 di\nlimitare la parita\u0027 di trattamento (punto 64)». \n Quanto alla vicenda oggetto del presente giudizio, e\u0027 indiscusso\nche l\u0027art. 1, commi 180 e 181, legge n. 213/2023 non comporti una\ndiscriminazione diretta fondata sulla nazionalita\u0027, dal momento che\nsi applica indistintamente alle lavoratrici di nazionalita\u0027 italiana\ne alle lavoratrici di nazionalita\u0027 straniera con contratti a tempo\ndeterminato. \n Cio\u0027 che invece occorre approfondire in questa sede e\u0027 se, come\nsostenuto dalla difesa attorea, la disposizione legislativa comporti\nuna discriminazione indiretta fondata sulla nazionalita\u0027: ossia se la\ndisposizione, apparentemente neutra, possa porre in una situazione di\nparticolare svantaggio le persone di nazionalita\u0027 straniera rispetto\nalle persone di nazionalita\u0027 italiana, a meno che detta disposizione\nsia oggettivamente giustificata da una finalita\u0027 legittima e i mezzi\nimpiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari. \n Sul punto, nella sentenza 24 febbraio 2022, causa C-389/20, la\nCorte di Giustizia dell\u0027Unione europea (Sezione Terza), decidendo su\nun caso di discriminazione indiretta fondata sul sesso, ha affermato\nche l\u0027esistenza del particolare svantaggio per le persone\nasseritamente discriminate «potrebbe essere dimostrata, segnatamente,\nse fosse provato che detta disposizione, detto criterio o detta\nprassi colpiscono negativamente in proporzione significativamente\nmaggiore le persone di un determinato sesso rispetto a quelle\ndell\u0027altro sesso. Spetta al giudice nazionale verificare se cio\u0027\navvenga nel procedimento principale (v., in tal senso, sentenze\ndell\u00278 maggio 2019, Villar Laiz C-161/18, EU:C:2019:382, punto 38, e\ndel 21 gennaio 2021, INSS, C-843/19, EU:C:2021:55, punto 25). \n 42. Nell\u0027ipotesi in cui il giudice nazionale disponga di dati\nstatistici, la Corte ha affermato che quest\u0027ultimo deve, da un lato,\nprendere in considerazione l\u0027insieme dei lavoratori assoggettati alla\nnormativa nazionale da cui ha origine la disparita\u0027 di trattamento e,\ndall\u0027altro, comparare le proporzioni rispettive dei lavoratori che\nsono e che non sono colpiti dall\u0027asserita disparita\u0027 di trattamento\nnell\u0027ambito della mano d\u0027opera femminile rientrante nel campo di\napplicazione di tale normativa e le medesime proporzioni nell\u0027ambito\ndella mano d\u0027opera maschile ivi rientrante [v., in tal senso,\nsentenze del 24 settembre 2020, YS (Pensioni aziendali del personale\ndirigente), C-223/19, EU:C:2020:753, punto 52 e giurisprudenza ivi\ncitata, e del 21 gennaio 2021, INSS, C-843/19, EU:C:2021:55, punto\n26]. \n 43. A tal proposito, spetta al giudice nazionale valutare in qual\nmisura i dati statistici prodotti dinanzi ad esso siano affidabili e\nse possano essere presi in considerazione, vale a dire se, in\nparticolare, non riflettano fenomeni puramente fortuiti o\ncongiunturali e se siano sufficientemente significativi [sentenze del\n24 settembre 2020, YS (Pensioni aziendali del personale dirigente),\nC-223/19, EU:C:2020:753, punto 51 e giurisprudenza ivi citata, e del\n21 gennaio 2021, INSS, C-843/19, EU:C·2021:55, punto 27]» (si veda\nsulla stessa linea CGUE - Prima Sezione, 29 luglio 2024, cause\nriunite C-184/22 e C-185/22, secondo cui: «... la valutazione dei\nfatti che consentono di presumere l\u0027esistenza di una discriminazione\nindiretta e\u0027 una questione di competenza dell\u0027organo giurisdizionale\nnazionale, secondo il diritto o la prassi nazionale, che possono\nprevedere, in particolare, che la discriminazione indiretta sia\naccertata con qualsiasi mezzo, compresa l\u0027evidenza statistica\n(sentenza del 3 ottobre 2019, Schuch-Ghannadan, C-274/18,\nEU:C:2019:828, punto 46 e giurisprudenza citata). \n 59. Per quanto riguarda i dati statistici, occorre ricordare,\nanzitutto, che spetta ai giudice nazionale valutare in quale misura\ntali dati prodotti dinanzi ad esso, che caratterizzano la situazione\ndella mano d\u0027opera, siano validi e se possano essere presi in\nconsiderazione, vale a dire se, in particolare, non riflettano\nfenomeni puramente fortuiti o congiunturali e se, in generale,\nappaiano significativi (sentenza del 3 ottobre 2019,\nSchuch-Ghannadan, C-274/18, EU:C:2019:828, punto 48 e giurisprudenza\ncitata). \n 60. Poi, qualora ii giudice nazionale disponga di tali dati,\nsecondo costante giurisprudenza, da un lato, esso e\u0027 tenuto a\nprendere in considerazione l\u0027insieme dei lavoratori assoggettati alla\nnormativa nazionale da cui ha origine la disparita\u0027 di trattamento e,\ndall\u0027altro, il miglior metodo di comparazione consiste nel comparare\nle proporzioni rispettive dei lavoratori che sono e che non sono\ncolpiti dalla norma in questione nell\u0027ambito della mano d\u0027opera\nmaschile e le medesime proporzioni nell\u0027ambito della mano d\u0027opera\nfemminile (sentenze del 6 dicembre 2007, Voß, C-300/06,\nEU:C:2007:757, punto 41 e giurisprudenza citata, nonche\u0027 del 3\nottobre 2019, Schuch-Ghannadan, C-274/18, EU:C:2019:828, punto 47 e\ngiurisprudenza citata) ... \n 64. In tale contesto, i dati statistici costituiscono solo un\nelemento tra gli altri al quale tale giudice puo\u0027 ricorrere e al\nquale la Corte fa riferimento, quando esistono, al fine di accertare\nl\u0027esistenza di una discriminazione indiretta nell\u0027ambito\ndell\u0027attuazione del principio della parita\u0027 di trattamento tra uomini\ne donne. Pertanto, secondo costante giurisprudenza della Corte,\nl\u0027esistenza di un siffatto particolare svantaggio puo\u0027 essere\ndimostrata, in particolare, se fosse provato che una normativa\nnazionale colpisce negativamente in proporzione significativamente\nmaggiore le persone di un determinato sesso rispetto a quelle\ndell\u0027altro sesso (sentenza del 5 maggio 2022, BVAEB, C-405/20,\nEU:C:2022:347, punto 49 e giurisprudenza citata)»). \n In questo modo, la Corte di Giustizia ha invitato a tenere in\nconsiderazione i dati statistici (ove ritenuti affidabili) al fine di\nverificare se la proporzione dei lavoratori di sesso femminile\ncolpiti dalla disparita\u0027 di trattamento derivante dalla disposizione\nnazionale censurata sia significativamente piu\u0027 elevata di quella\ndegli altri lavoratori di sesso maschile. \n La Corte ha cosi\u0027 inteso valorizzare il dato statistico per\naccertare se la categoria di lavoratori che si assume discriminata\nsia proporzionalmente piu\u0027 colpita dalla disparita\u0027 di trattamento\nrispetto all\u0027altra categoria di lavoratori che, seppur incisa\nanch\u0027essa dalla disposizione, ne subisce una ricaduta statisticamente\nmeno rilevante. \n Orbene, facendo applicazione dei criteri indicati dalla Corte di\nGiustizia dell\u0027Unione europea, si deve rilevare che le parti attrici\nhanno fornito dati statistici che risultano piuttosto affidabili e\nsufficientemente significativi, non apparendo incentrati su fenomeni\npuramente fortuiti o congiunturali. \n In particolare: \n dal «Rapporto annuale 2024 - La situazione del paese» al cap.\n2 «I cambiamenti del lavoro»\n(https://www.istat.it/produzione-editoriale/rapporto-annuale-2024-la-\nsituazione-del-paese-2/) risulta che i contratti a termine incidono\nmolto di piu\u0027 sulle donne (17,7% delle occupate sono a termine contro\nil 14,8% dei maschi); inoltre la recente dinamica di riduzione dei\ncontratti a termine e\u0027 «concentrata nella sola componente maschile\ndell\u0027occupazione, mentre in quella femminile si registra una leggera\ncrescita che ha riportato l\u0027occupazione a termine delle donne ai\nlivelli pre-pandemia» (cfr. pag. 72); \n secondo il Dossier statistico immigrazione - IDOS 2023 (all.\nn. 9 al ricorso), nel 2022 la percentuale di stranieri con contratto\na termine rispetto alla totalita\u0027 dei lavoratori stranieri era del\n22,5%, contro una percentuale nazionale del 12,6%; quest\u0027ultima\npercentuale riguarda sia italiani che stranieri ed e\u0027 dunque\ninfluenzata anche dal 22,5% degli stranieri; \n dal XIII Rapporto Gli Stranieri nel mercato del lavoro in\nItalia del 2023 pubblicato dal Ministero del lavoro e delle politiche\nsociali\n(https://www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita-immigtazione/focus/xiii-ra\npporto-mdl-stranieri-2023) risulta una percentuale nazionale di\nrapporti a termine e stagionali superiore a quella sopra indicata\n(26,8%), ma una percentuale riferita ai cittadini extra UE del 36%\n(31,1% a termine e 4,9% stagionali) (cfr. pag. 76 e ss.); in questo\nquadro, i lavoratori extra UE sono sovrappresentati tra i lavoratori\nstagionali (13,8% del totale) e a tempo determinato (14,7% del totale\ndei lavoratori a termine) laddove invece la percentuale di lavoratori\nextra UE rispetto al totale dei lavoratori e\u0027 del 10,8% (cfr. pag.\n76); \n secondo il rapporto Eurostat pubblicato in data 8 marzo 2022\n(https://ec.europa.eu/eurostat/en/web/products-eurostat-news/-/edn-20\n220308-2), nel 2020 in Europa la quota piu\u0027 alta di lavoratrici a\ntempo determinato si presentava tra le donne nate fuori dai territori\nextra-UE (21 %), rispetto alle donne nate in uno stato europeo\ndiverso da quello in cui lavorano (14%) e le donne nate nello stesso\nstato europeo in cui lavorano (13%) («The highest share of temporary\nemployees was also among women born outside the EU (21%), compared\nwith women born elsewhere in the EU (14%) and native-born women\n(13%)»); \n il rapporto Eurostat pubblicato in data 26 maggio 2021\n(https://ec.europa.eu/eurostat/en/web/products-eurostat-news/-/ddn-20\n210526-1) reca un grafico (all. n. 10 al ricorso) che fornisce i\nseguenti dati sul lavoro femminile: il 20,6% delle donne straniere\nextra-UE (Non-EU born persons) e\u0027 occupato in lavori a termine\n(temporary works), contro il 14% tra le donne nate in uno stato\neuropeo diverso da quello in cui lavorano (Persons born in another EU\nMember State) e il 12,8% delle donne nate nello stesso stato europeo\nin cui lavorano (Native-born persons). \n Sulla base di questi dati statistici, si puo\u0027 allora desumere\nche, tra le lavoratrici a tempo determinato, la percentuale delle\nlavoratrici straniere e\u0027 maggiore rispetto alla percentuale delle\nlavoratrici italiane. \n In tal senso, la proporzione delle lavoratrici a tempo\ndeterminato straniere colpite dalla disparita\u0027 di trattamento\nderivante dall\u0027art. 1, commi 180 e 181, legge n. 213/2023 di cui\ntrattasi si rivela piu\u0027 elevata di quella delle lavoratrici a tempo\ndeterminato italiane. \n Ne consegue che la norma impugnata pone in una situazione di\nparticolare svantaggio le lavoratrici a tempo determinato straniere\nrispetto alle lavoratrici a tempo determinato italiane. \n Peraltro, non si rinvengono elementi tali da far ritenere che la\ndisposizione in questione sia giustificata da fattori oggettivi ed\nestranei a qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalita\u0027. \n Al riguardo, la Corte di Giustizia dell\u0027Unione europea nella\ncitata sentenza del 24 febbraio 2022, causa C-389/20, ha chiarito che\npuo\u0027 ravvisarsi una giustificazione se la disposizione «risponde a un\nobiettivo legittimo di politica sociale, e\u0027 idonea a conseguire detto\nobiettivo ed e\u0027 necessaria a tal fine, fermo restando che essa puo\u0027\nessere considerata idonea a garantire l\u0027obiettivo invocato solo se\nrisponde realmente all\u0027intento di raggiungerlo e se e\u0027 attuata in\nmaniera coerente e sistematica (v., in tal senso, sentenze del 20\nottobre 2011, Brachner, C-123/10, EU:C:2011:675, punti 70 e 71 e\ngiurisprudenza ivi citata, nonche\u0027 del 21 gennaio 2021, INSS, C-843\n/19, EU:C:2021:55, punti 31 e 32 e giurisprudenza ivi citata)». \n Tuttavia, come gia\u0027 si e\u0027 rilevato relativamente alla violazione\ndell\u0027art. 3 Cost., non sembra che vi siano effettive ragioni (nemmeno\ndi politica sociale) che sorreggano l\u0027esclusione delle lavoratrici\nmadri a tempo determinato dall\u0027esonero contributivo in controversia. \n Del resto, come pure precisato dalla giurisprudenza europea,\nneppure sarebbe sufficiente che la norma risponda a obiettivi\nlegittimi di politica sociale, dovendo pure sussistere l\u0027idoneita\u0027\ndella norma nazionale a realizzare tali obiettivi e, in particolare,\nse venga attuata in maniera coerente e sistematica, occorrendo\ndimostrare che la categoria di lavoratori che essa esclude dalla\ntutela si distingue in modo pertinente da altre categorie di\nlavoratori che non ne sono escluse (cfr. CGUE sentenza del 24\nfebbraio 2022, causa C-389/20, par. 62). \n Ancora, nell\u0027ipotesi in cui si dovesse constatare che la\ndisposizione nazionale risponde a obiettivi legittimi di politica\nsociale e che essa e\u0027 idonea a realizzare tali obiettivi, dovrebbe\nverificarsi se tale disposizione non ecceda quanto necessario alla\nrealizzazione di detti obiettivi (cfr. CGUE sentenza del 24 febbraio\n2022, causa C-389/20, par. 68). \n Nel presente giudizio, pero\u0027, questi due ultimi profili non sono\nindagabili, a fronte del riscontro negativo circa la sussistenza di\nobiettivi atti a giustificare la discriminazione indiretta fondata\nsulla nazionalita\u0027 che la norma impugnata comporta. \n Alla luce delle considerazioni fin qui svolte, l\u0027art. 1, commi\n180 e 181, legge n. 213/2023, nella parte in cui non riconosce\nl\u0027esonero contributivo alle lavoratrici madri a tempo determinato,\nsembra porsi in contrasto con il principio di parita\u0027 di trattamento\ndel cittadino straniero nelle condizioni di lavoro (cristallizzato\nnelle citate direttive 2004/38/CE, 2003/109/CE, 2011/98/UE,\n2021/1883/UE), cosi\u0027 da configurare un\u0027altra violazione dell\u0027art.\n117, co. 1, Cost. \n 5.2.2. In relazione al mancato riconoscimento dell\u0027esonero\ncontributivo alle lavoratrici madri con rapporti di lavoro domestico. \n 5.2.2.1. Violazione dell\u0027art. 3 della Costituzione. \n Con riferimento alla parte della norma censurata che esclude\ndall\u0027esonero contributivo le lavoratrici madri con rapporti di lavoro\ndomestico, sembra ravvisarsi una violazione dell\u0027art. 3 della\nCostituzione per motivi similari a quelli gia\u0027 rappresentati per la\nprima parte della norma impugnata. \n Non pare infatti giustificabile, alla stregua dell\u0027art. 3 Cost.,\nche le lavoratrici madri con rapporti di lavoro domestico siano\ntrattate in modo deteriore rispetto a tutte le altre lavoratrici\nmadri a tempo indeterminato. \n Come gia\u0027 si e\u0027 detto, il beneficio previsto dalla nonna\nimpugnata opera per qualsiasi retribuzione. \n Parimenti, non sembra potersi ammettere che il carattere di\nstabilita\u0027 dei contratti di lavoro a tempo indeterminato diversi da\nquello domestico possa valere ex se a giustificare le previsioni in\nesame: al contrario, sembrerebbe piu\u0027 ragionevole attribuire il\nbeneficio contributivo (con effetti diretti di natura retributiva)\nalle lavoratrici domestiche, che hanno minori certezze lavorative\n(tenuto conto, tra le altre cose, del regime di recesso ad nutum) e\ndispongono mediamente di retribuzioni piu\u0027 basse rispetto alle\nlavoratrici a tempo indeterminato. \n 5.2.2.2. Violazione dell\u0027art. 31 della Costituzione. \n Anche per quanto concerne la paventata violazione dell\u0027art. 31\nCost., possono riprendersi le considerazioni gia\u0027 svolte per la prima\nparte della norma impugnata. \n Ed invero, l\u0027art. 1, commi 180 e 181, legge n. 213/2023\nrisulterebbe garantire alla maternita\u0027 e alla famiglia numerosa di\nuna donna con contratto di lavoro a tempo indeterminato una\nprotezione diversa (e migliore) rispetto a quelle di una donna con\ncontratto di lavoro domestico, senza che cio\u0027 trovi ragione sul piano\ndelle tutele della maternita\u0027 e della famiglia. \n 5.2.2.3. Violazione dell\u0027art. 117. co. 1, della Costituzione. \n Infine, oltre alla violazione degli articoli 3 e 31 Cost., pare\nprospettabile anche una violazione dell\u0027art. 117, co. 1, Cost. in\nrelazione ai vincoli derivanti dall\u0027ordinamento dell\u0027Unione europea. \n Al riguardo, si deve ribadire quanto gia\u0027 detto (nel precedente\npar. 5.2.1.4.) in relazione al principio di parita\u0027 di trattamento\ndel cittadino straniero nelle condizioni di lavoro, per come\nriconosciuto dall\u0027ordinamento europeo (cfr. articoli 24 direttiva\n2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004,\n11, lettera a), direttiva 2003/109/CE del Consiglio del 25 novembre\n2003, 12, lettera a), direttiva 2011/98/UE del Parlamento europeo e\ndel Consiglio del 13 dicembre 2011, 16, lettera a), direttiva\n2021/1883/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 ottobre\n2021). \n Come gia\u0027 evidenziato in relazione alla prima parte della norma\nimpugnata, e\u0027 indiscusso che l\u0027art. 1, commi 180 e 181, legge n.\n213/2023 non comporti una discriminazione diretta fondata sulla\nnazionalita\u0027, dal momento che si applica indistintamente alle\nlavoratrici di nazionalita\u0027 italiana e alle lavoratrici di\nnazionalita\u0027 straniera con rapporti di lavoro domestico. \n Occorre pero\u0027 verificare se la norma possa porre in una\nsituazione di particolare svantaggio le persone di nazionalita\u0027\nstraniera rispetto alle persone di nazionalita\u0027 italiana\n(discriminazione indiretta), a meno che detta disposizione sia\noggettivamente giustificata da una finalita\u0027 legittima e i mezzi\nimpiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari. \n Orbene, facendo applicazione dei criteri indicati dalla Corte di\nGiustizia dell\u0027Unione europea nella sentenza 24 febbraio 2022, causa\nC-389/20, si deve rilevare che le parti attrici hanno fornito dati\nstatistici che risultano piuttosto affidabili e sufficientemente\nsignificativi, non apparendo incentrati su fenomeni puramente\nfortuiti o congiunturali. \n In particolare: \n dal XIII Rapporto Gli Stranieri nel mercato del lavoro in\nItalia del 2023 pubblicato dal Ministero del lavoro e delle politiche\nsociali\n(https://www.layoro.gov.it/temi-e-priorita-immigrazione/focus/xiii-ra\npporto-mdl-stranieri-2023), i cui dati derivano dagli archivi delle\ncomunicazioni obbligatorie e dei versamenti contributivi effettuati\ndai datori di lavoro, risulta che «Nel 2022 poco piu\u0027 della meta\u0027 dei\nlavoratori domestici e\u0027 costituita da extracomunitari: se ne\nosservano 449.636 su un totale di 894.299 (50,28%). Tale percentuale\ne\u0027 in aumento rispetto a quelle del 2020 e del 2021, in cui\nrispettivamente si riscontra il 48,69% e il 50,03% dei lavoratori\nextracomunitari sul totale. In questa categoria di lavoratori nel\n2022 si conforma, come gia\u0027 visto nel biennio precedente, la netta\nprevalenza delle donne (86,4%)» (cfr. pag. 79); \n secondo il rapporto DOMINA 2022\n(https://www.osservatoriolavorodomestico.it/rapporto-annuale-lavoro-d\nomestico-2022), nell\u0027anno 2021, tra i lavoratori domestici\ncontribuenti all\u0027INPS, le donne straniere rappresentavano il 57,5%\n(le altre percentuali erano cosi\u0027 distribuite: donne italiane 27,4%;\nuomini stranieri 12,4%; uomini italiani 2,6%); \n secondo il rapporto IDOS «Le migrazioni femminili in Italia»\n(https://www.integrazionemigranti.gov.it/AnteprimaPDF.aspx?id\u003d3730),\nnel 2021, l\u002787% delle lavoratrici straniere erano occupate nel\nsettore dei servizi e, di queste, il 50% era occupato nei soli\nsettori del lavoro domestico, di cura e di pulizia (cfr. grafico a\npag. 9). \n Sulla base di questi dati statistici, si puo\u0027 allora desumere\nche, tra le lavoratrici domestiche, la percentuale delle lavoratrici\nstraniere e\u0027 considerevolmente maggiore rispetto alla percentuale\ndelle lavoratrici italiane (secondo il rapporto DOMINA 2022, le\nlavoratrici domestiche straniere contribuenti all\u0027INPS nel 2021\nerano, addirittura, piu\u0027 del doppio di quelle italiane). \n In tal senso, la proporzione delle lavoratrici domestiche\nstraniere colpite dalla disparita\u0027 di trattamento derivante dall\u0027art.\n1, commi 180 e 181, legge n. 213/2023 di cui trattasi si rivela\nsignificativamente piu\u0027 elevata di quella delle lavoratrici\ndomestiche italiane. \n Ne consegue che la norma impugnata pone in una situazione di\nparticolare svantaggio le lavoratrici domestiche straniere rispetto\nalle lavoratrici domestiche italiane. \n Peraltro, non si rinvengono elementi tali da far ritenere che la\ndisposizione in questione sia giustificata da fattori oggettivi ed\nestranei a qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalita\u0027. \n Infatti, come gia\u0027 si e\u0027 rilevato in relazione alla violazione\ndell\u0027art. 3 Cost., non sembra che vi siano effettive ragioni (nemmeno\ndi politica sociale) che sorreggano l\u0027esclusione delle lavoratrici\nmadri con rapporti di lavoro domestico dall\u0027esonero contributivo in\ncontroversia. \n Il riscontro negativo della sussistenza di obiettivi atti a\ngiustificare la discriminazione indiretta fondata sulla nazionalita\u0027\nche la norma impugnata esonera il Tribunale dalle ulteriori verifiche\n(sull\u0027idoneita\u0027 e la necessita\u0027 circa il conseguimento degli\nobiettivi di politica sociale) menzionate dalla CGUE nella richiamata\nsentenza 24 febbraio 2022, causa C-389/20. \n Alla luce delle considerazioni fin qui svolte, l\u0027art. 1, commi\n180 e 181, legge n. 213/2023, nella parte in cui esclude l\u0027esonero\ncontributivo per i rapporti di lavoro domestico, sembra porsi in\ncontrasto con il principio di parita\u0027 di trattamento del cittadino\nstraniero nelle condizioni di lavoro (cristallizzato nelle citate\ndirettive 2004/38/CE, 2003/109/CE, 2011/98/UE, 2021/1883/UE), cosi\u0027\nda configurare una violazione dell\u0027art. 117, co. 1, Cost. \n\n \n P.Q.M. \n \n Visti gli articoli 134 della Costituzione e 23 della legge n.\n87/1953, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per\nviolazione degli articoli 3, 31 e 117, comma 1, della Costituzione,\nla questione di legittimita\u0027 costituzionale dell\u0027art. 1, commi 180 e\n181, della legge n. 213/2023 nella parte in cui non riconosce\nl\u0027esonero contributivo anche alle lavoratrici madri di tre o piu\u0027\nfigli (e, per i periodi di paga dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre\n2024, anche alle lavoratrici madri di due figli) con rapporto di\nlavoro dipendente a tempo determinato e nella parte in cui esclude\nl\u0027esonero contributivo per i rapporti di lavoro domestico; \n Dispone l\u0027immediata trasmissione degli atti alla Corte\ncostituzionale; \n Sospende il presente giudizio; \n Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia\nnotificata alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei\nministri e ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. \n Milano, 23 ottobre 2024 \n \n Il giudice: Caroleo","elencoNorme":[{"id":"62192","ordinanza_anno":"","ordinanza_numero":"","ordinanza_numero_parte":"","cod_tipo_legge":"l","denominaz_legge":"legge","data_legge":"30/12/2023","data_nir":"2023-12-30","numero_legge":"213","descrizionenesso":"","legge_articolo":"1","specificaz_art":"","comma":"180","specificaz_comma":"","descrizione_attributo":"","descrizione_cat_rn":"","id_qualificazione":"","descrizione_qualificazione":"","link_norma_attiva":"http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:2023-12-30;213~art1"},{"id":"62193","ordinanza_anno":"","ordinanza_numero":"","ordinanza_numero_parte":"","cod_tipo_legge":"l","denominaz_legge":"legge","data_legge":"30/12/2023","data_nir":"2023-12-30","numero_legge":"213","descrizionenesso":"","legge_articolo":"1","specificaz_art":"","comma":"181","specificaz_comma":"","descrizione_attributo":"","descrizione_cat_rn":"","id_qualificazione":"","descrizione_qualificazione":"","link_norma_attiva":"http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:2023-12-30;213~art1"}],"elencoParametri":[{"id":"78647","ordinanza_numero_parte":"","tipo_lex_cost":"c","descriz_costit":"Costituzione","numero_legge":"","data_legge":"","articolo":"3","specificaz_art":"","comma":"","specificaz_comma":"","descrizionenesso":"","link_norma_attiva":"","unique_identifier":""},{"id":"78648","ordinanza_numero_parte":"","tipo_lex_cost":"c","descriz_costit":"Costituzione","numero_legge":"","data_legge":"","articolo":"31","specificaz_art":"","comma":"","specificaz_comma":"","descrizionenesso":"","link_norma_attiva":"","unique_identifier":""},{"id":"78649","ordinanza_numero_parte":"","tipo_lex_cost":"c","descriz_costit":"Costituzione","numero_legge":"","data_legge":"","articolo":"117","specificaz_art":"","comma":"1","specificaz_comma":"","descrizionenesso":"","link_norma_attiva":"","unique_identifier":""},{"id":"78684","ordinanza_numero_parte":"","tipo_lex_cost":"000001","descriz_costit":"direttiva CE","numero_legge":"70","data_legge":"28/06/1999","articolo":"","specificaz_art":"allegato quadro, clausola 4","comma":"","specificaz_comma":"punto 1","descrizionenesso":"","unique_identifier":""},{"id":"78650","ordinanza_numero_parte":"","tipo_lex_cost":"000001","descriz_costit":"direttiva CE","numero_legge":"109","data_legge":"25/11/2003","articolo":"11","specificaz_art":"lett. a)","comma":"","specificaz_comma":"","descrizionenesso":"","unique_identifier":""},{"id":"78651","ordinanza_numero_parte":"","tipo_lex_cost":"000001","descriz_costit":"direttiva CE","numero_legge":"38","data_legge":"29/04/2004","articolo":"24","specificaz_art":"","comma":"","specificaz_comma":"","descrizionenesso":"","unique_identifier":""},{"id":"78685","ordinanza_numero_parte":"","tipo_lex_cost":"000074","descriz_costit":"direttiva UE","numero_legge":"98","data_legge":"13/12/2011","articolo":"12","specificaz_art":"lett. a)","comma":"","specificaz_comma":"","descrizionenesso":"","unique_identifier":""},{"id":"78686","ordinanza_numero_parte":"","tipo_lex_cost":"000074","descriz_costit":"direttiva UE","numero_legge":"1883","data_legge":"20/10/2021","articolo":"","specificaz_art":"","comma":"","specificaz_comma":"","descrizionenesso":"","unique_identifier":""}],"elencoParti":[{"id":"54308","num_progressivo":"","nominativo_parte":"ANIEF","data_costit_part":"16/12/2024","flag_cost_fuori_termine":"No","indirizzo_difensore":"","id_avv_indirizzo":"","tipologia_parte":"AC","descrizione_tipologia_parte":"","sigla_parte":"ANIEF"},{"id":"54314","num_progressivo":"","nominativo_parte":"Associazione “Comma2 – Lavoro è dignità”","data_costit_part":"17/12/2024","flag_cost_fuori_termine":"No","indirizzo_difensore":"","id_avv_indirizzo":"","tipologia_parte":"AC","descrizione_tipologia_parte":"","sigla_parte":""},{"id":"54304","num_progressivo":"","nominativo_parte":"Istituto Nazionale della Previdenza Sociale - INPS","data_costit_part":"13/12/2024","flag_cost_fuori_termine":"No","indirizzo_difensore":"","id_avv_indirizzo":"","tipologia_parte":"C","descrizione_tipologia_parte":"Controparte","sigla_parte":""},{"id":"54310","num_progressivo":"","nominativo_parte":"ASGI - Associazione studi giuridici sull\u0027immigrazione aps","data_costit_part":"17/12/2024","flag_cost_fuori_termine":"No","indirizzo_difensore":"","id_avv_indirizzo":"","tipologia_parte":"P","descrizione_tipologia_parte":"Parte","sigla_parte":""},{"id":"54311","num_progressivo":"","nominativo_parte":"APN Avvocati per niente onlus","data_costit_part":"17/12/2024","flag_cost_fuori_termine":"No","indirizzo_difensore":"","id_avv_indirizzo":"","tipologia_parte":"P","descrizione_tipologia_parte":"Parte","sigla_parte":""}]}}" ] ] |